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Senigallia, assolto dopo sette anni in appello: “Non era peculato”

Accusato di aver prelevato denaro, in qualità di tutore, dal conto dell’anziana mamma. Ma i soldi erano i suoi

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Ritorno alla serenità per un sessantenne senigalliese accusato del grave reato di peculato e condannato in primo grado a due anni e 10 giorni di reclusione. Il sessantenne era finito sotto processo perché, in qualità di tutore dell’anziana madre, aveva effettuato tre prelievi dal conto corrente della mamma per spese personali.

La dura condanna derivava proprio dalla natura del reato: il tutore di una persona interdetta è infatti considerato un incaricato di pubblico servizio. Impietosa la sentenza di primo grado in cui il Tribunale di Ancona non aveva riconosciuto nemmeno l’attenuante del danno patrimoniale di ‘speciale tenuità’ in quanto, a detta dei giudici di primo grado, le somme prelevate erano pari alla metà della pensione dell’anziana donna.

Tutto ribaltato nella giornata del 26 settembre in Corte d’Appello di Ancona dove l’imputato, assistito dall’Avvocato Roberto Paradisi, ha dimostrato, con una ricostruzione analitica di tutti i movimenti bancari, che aveva sì prelevato quelle somme ma che si era trattato di una mera “leggerezza” fatta in buona fede avendo in realtà precedentemente bonificato nel conto della madre 2 mila euro personali in attesa dell’accredito della pensione per far fronte alle spese ordinarie.

Unico errore dell’imputato era stato quello di pensare di potersi riprendere parzialmente i soldi corrisposti senza chiedere l’autorizzazione al giudice tutelare. Un comportamento senza dubbio leggero, ma improntato alla assoluta onestà e, come ha precisato l’Avv. Paradisi in udienza, non penalmente rilevante che la riguardo ha detto: “Dopo sette anni è finito l’incubo per un senigalliese per bene che ha ottenuto giustizia dopo la pesante pena inflitta in primo grado. La Corte ha perfettamente recepito una linea difensiva improntata innanzitutto a valorizzare non il dato formale del comportamento ma la sostanza dei fatti e, soprattutto, l’elemento soggettivo, vale a dire la perfetta buona fede dell’imputato. D’altra parte è difficile anche pretendere che le persone non avvezze alle norme e al diritto sappiano sempre come muoversi nei meandri dei complicati istituti come quello della curatela o della tutela”. Lapidaria la sentenza della Corte che ha restituito la serenità all’ormai ex imputato: il fatto non costituisce reato.

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