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Senigallia: mancata continuità assistenziale, condannata l’H Muta

Dovrà risarcire la madre di un minore disabile per "grave condotta discriminatoria"

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Martelletto del giudice, udienza, tribunale

Aver negato l’educatore di riferimento a un bambino con disabilità grave costituisce una condotta discriminatoria. E’ quanto sancito lo scorso agosto dal Tribunale di Ancona, il cui giudice Dorita Fratini ha condannato una cooperativa locale a risarcire la madre del minore disabile.

I fatti hanno inizio a fine 2014, quando l’educatore affidato al minore disabile manifesta la propria indisponibilità a continuare l’assistenza domiciliare. La coop. H Muta dal gennaio 2015 ha provveduto a sostituire gradualmente l’assistente con altri operatori, verso i quali però la madre del ragazzo assistito ha manifestato forti dubbi sulle capacità e competenze assistenziali.

Nello stesso maggio 2015 viene approvato il progetto che prevedeva l’inserimento del minore alla scuola media di Ostra: un passaggio molto delicato per il quale la mamma aveva chiesto che almeno a scuola fosse garantita al figlio la continuità assistenziale con lo stesso operatore. La richiesta però non è stata accolta: per questo motivo, innanzitutto, la madre ha rifiutato di mandarlo a scuola e, in secondo luogo, è stata intentata la causa in sede civile.

Il giudice ha ritenuto che il non affidare tale operatore al minore (nel frattempo affiancato da altri) sia stato un comportamento discriminatorio da parte della cooperativa responsabile del servizio: privandolo cioè della continuità assistenziale con lo stesso operatore con cui si erano raggiunti dei buoni risultati, la cooperativa avrebbe secondo il giudice compromesso soprattutto quel clima di serenità e fiducia indispensabile per le persone più deboli per poter effettuare anche i più piccoli progressi educativi e sociali.

Inoltre, l’aver sostituito l’educatore con altre persone che non avevano le stesse competenze e professionalità in tema di autismo avrebbe minato il “benessere del disabile, che prevale persino sulle ragioni organizzative o di bilancio dell’ente e […]sui ‘motivi personali’ dell’educatore”, come confermato anche da sentenze del Consiglio di Stato (3104/2009) e in Cassazione (25011/2014).

Per tali motivi, la coop. H Muta è stata condannata al risarcimento simbolico del danno non patrimoniale quantificato in 3mila euro e delle spese legali; ma, soprattutto, a garantire la continuità educativo-assistenziale con l’educatore in questione sia a casa che a scuola; in caso di comprovata ed oggettiva indisponibilità di quest’ultimo, di assicurare al minore un’analoga figura professionale che garantisca la continuità e la stabilità dell’intervento educativo individuale.

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