Hollywood Talkies – Il cinema impara a parlare
Introduzione alla Storia del Cinema: Hollywood dal muto al sonoro
“L’avvento della tecnologia della riproduzione sonora diede luogo a un dibattito di portata internazionale cui parteciparono critici, teorici e cineasti. Un’obiezione ricorrente nei confronti del parlato consisteva nella paura che questo avrebbe finito per imporsi assoggettando a sé tutte le altre componenti espressive e riducendo sensibilmente l’autonomia del gesto e del movimento. […] Anche Luigi Pirandello osservò che il cinema avrebbe finito per diventare solo una copia fotografica e meccanica del teatro, dal momento che la voce appare in forte contrasto con la qualità di ombre delle immagini in movimento, delle quali anzi scopre e denuncia il meccanismo” (Film History: An Introduction, Kristin Thompson and David Bordwell, versione Ita, p.118)
Gli ultimi anni prima de Il cantante di Jazz
Hollywood, anni Venti. Le compagnie che controllavano la maggior parte delle catene di sale cinematografiche erano principalmente otto, divise nelle Tre Grandi (Paramaunt-Publix, MGM, First National) e le Cinque Piccole (Universal, Fox, Producers Distributing Corporation, Film Booking Office, Warner Bros). Accanto a queste sorgeva la United Artist, la quale non possedendo né sale né teatri di posa, si limitava a distribuire i film prodotti indipendentemente dai suoi quattro proprietari: Charlie Chaplin, Douglas Fairbanks, David W.Griffith e Mary Pickford. Fairbanks fu una delle star più amate dal pubblico negli anni Venti, e così pure Chaplin che nel 1921 esordì con il suo celebre lungometraggio “Il Monello”, il quale ottenne tanto successo da iniettare coraggio al giovane autore che realizzò presto “Una donna di Parigi” (in cui fece solo una fugace apparizione come attore), “La febbre dell’Oro” e “Il Circo”. A seguire le orme del collega fu pure il comico Harold Lloyd, che si cimentò nei lungometraggi “A Sailor-Made Man” (1921) e “Preferisco l’ascensore” (1923) di Fred Newmayer. Ricche di umorismo bizzarro e di una comicità ai limiti del surreale erano le opere che vedevano coinvolto Buster Keaton, famoso come ‘faccia di pietra’ a causa della mancanza assoluta di sorriso nel suo volto. Tra le sue performance più celebri ricordiamo quella de “Il Cameramen” (1928). Intanto sotto la guida di Hal Roach e Mack Sennet emergeva una nuova generazione di comici, i due più famosi furono di certo Stan Laurel e Oliver Hardy (Stanlio e Ollio) che sopravvissero rispetto a molti loro colleghi all’arrivo del sonoro.
Per controllare anche le sale di cui non erano proprietarie, le società hollywoodiane escogitarono il sistema del Block Booking: gli esercenti interessati a proiettare film di maggior richiamo erano obbligati a noleggiare anche film minori con meno probabilità di successo.
Furono molte le importanti innovazioni introdotte in questi anni, come per esempio quella inerente all’illuminazione. Oramai tutti i più grandi teatri di posa permettevano di girare con la luce artificiale. A costituire la base del sistema di illuminazione del cinema hollywoodiano erano tre punti luce fondamentali: la Key Light (luce principale), Fill Light (luce di riempimento) e Backlighting (controluce). Ci fu poi l’introduzione delle nuove pellicole pancromatiche (registravano l’intero spettro dei colori con intensità costante) in sostituzione di quelle ortocromatiche (sensibili solo al viola, al blu e al verde), la nascita del filone di film antimilitaristi, il fenomeno della crescita di budget di produzione, ed il mito del latin lover dovuto alla fama di uno dei più grandi e celebri idoli dell’epoca: Rodolfo Valentino.
Tra i registi che esordirono negli anni Venti ricordiamo John Ford, che pur essendosi cimentato in diversi generi sarà per sempre identificato con il cinema western.
Mentre la Universal puntava sul cinema dell’orrore (divenuto popolare in seguito al successo ottenuto negli USA da “Il gabinetto del dottor Caligari”) producendo “Il gobbo di Notre Dame” e “Il fantasma dell’opera”, prima dell’avvento del sonoro, e “Dracula” e “Frankenstein” negli anni Trenta, la legge sul proibizionismo alimentò la crescita del crimine organizzato determinando la comparsa e l’immediata presa sul pubblico del genere gangster; il film manifesto di questo genere fu certamente “Le notti di Chicago” (1927) dell’austriaco Josef von Sternberg, ricordato anche per essere stato colui che scoprì e plasmò Marlene Dietrich. Proprio come quest’ultimo, furono molti i registi stranieri che emigrarono ad Hollywood negli anni Trenta e Quaranta, la maggior parte di loro proveniva dalla Germania, la più fiorente industria cinematografica europea di quegli anni. Tra i principali ricordiamo Murnau, messo sotto contratto dalla Fox Film Corp, Friz Lang, che disgraziatamente non raggiunse mai il successo conquistato in patria, Billy Wilder, al quale attendeva un successo strepitoso e Lubitch che diresse per la Warner Bros una serie commedie sofisticate che analizzavano la società dell’epoca, le quali lo portarono ad essere considerato (con l’arrivo del sonoro) come uno dei più originali registi hollywoodiani. Altri cineasti stranieri che giunsero ad Hollywood furono l’inglese Alfred Hitchcock e l’austriaco Otto Preminger. Ma ora facciamo un passo indietro e torniamo alla fine degli anni Venti.
6 Ottobre 1927: L’addio al cinema muto
Nel 1925 la Western Electric mise in vendita il Vitaphon, un sistema di registrazione su disco, al quale, tranne la Warner Bros, nessuno studios di Hollywood si dimostrò realmente interessato. Sam Warner invece, più coraggioso e lungimirante, collaudò l’invenzione prima con alcuni cortometraggi e successivamente con il primo lungometraggio sonoro della Storia del cinema: “Il cantante di Jazz”, il quale presentava quattro sequenze in cui il protagonista cantava e pronunciava qualche parola mentre per il resto delle scene si assisteva al solito accompagnamento musicale.
Dato il grandioso successo del film di Alan Crosland, quelle che erano ora diventate le cinque maggiori società di produzione di Hollywood (Paramount, MGM, 20th Century Fox, Warner Bros, RKO) firmarono un accordo con il quale si impegnavano a scegliere insieme il sistema di sonorizzazione più vantaggioso fra il Movietone, il Photophone e il già sperimentato Vitaphone della Western Electric. Optarono per quest’ultimo, ma il cambiamento tecnologico non fu immediato. Molte furono le opere distribuite sia in versione sonora che muta e tantissimi furono i problemi tecnici e stilistici scaturiti da questa nuova invenzione: i microfoni (non essendo direzionali) captavano qualsiasi rumore del set quindi le macchine da presa dovevano essere insonorizzate per mezzo di particolari cabine, i suoni andavano registrati nello stesso momento perché non c’era possibilità di missaggio, molti celebri attori del muto si dimostrarono incapaci di recitare parlando e videro cessare le proprie carriere, la traccia audio della registrazione occupava parte del fotogramma e per questo motivo per qualche tempo prima che venne creata la “proporzione Academy” (aggiungendo strisce nere orizzontali in cima e alla base) i fotogrammi ebbero forma quadrata, le barriere linguistiche costituirono un ostacolo per le esportazioni visto che doppiare una colonna sonora in lingua straniera era molto dispendioso e complicato e l’uso dei sottotitoli non era accettato dal pubblico.
Se per risolvere i problemi legati alla direzionalità dei microfoni si era optato per degli involucri di metallo nelle macchine da presa e l’utilizzo di giraffe per seguire le fonti sonore in movimento, per ciò che concerneva il problema linguistico si giunse alla conclusione che l’unica possibilità, in attesa di ulteriori sviluppi tecnologici (che arrivarono nei primi anni’30), fosse quella di girare ogni film in più versioni, ognuna delle quali prevedeva che gli interpreti parlassero una lingua diversa.
Nel corso degli anni Trenta fu possibile la registrazione su più piste audio, innovazione questa che favorì la nascita della Colonna Sonora come la intendiamo oggi giorno, per la cura della quale venivano assunti compositori chiamati a creare un accompagnamento musicale che non fosse invadente, ma di commento e sostegno alla narrazione.
Ciò che distingueva le Cinque grandi major dalle Tre piccole (Universal, Columbia, United Artist) era che le prime, più ricche, vantavano una struttura a concentrazione verticale, disponendo ciascuna di proprie sale ed apparato distributivo internazionale.
La Paramount nei primi anni del sonoro vantava nel suo campionario nomi dal calibro di Josef von Sternberg, Marlen Dietrich, Maurice Chavalier ed i fratelli Marx. Nella seconda metà del decennio vennero assunti anche Bob Hope e Bing Crosby. I film della MGM si distinguevano per il loro aspetto più sfarzoso, grandi set molto luminosi, una scuderia di divi da far indivia che comprendeva Clark Gable, Judy Garland, Gene Kelly, Katharine Hepburn, Spencer Tracy e Greta Garbo (licenziata allo scoppio della guerra). Tra i registi sotto contratto con la MGM c’erano George Cukor e Vincente Minnelli. Le attrazioni principali della 20th Century Fox erano la piccola Shirley Temple ed il grande John Ford. All’appello della Warner Bros rispondevano James Cagney, Bette Davis, Humphrey Bogart ed Errol Flynn. I successi di Walt Disney, Fred Astair e Ginger Rogers erano invece percepiti dalla RKO, la quale non aveva una politica stabile ed i suoi successi dipendevano perlopiù da circostanze isolate come King Kong (1933) e Quarto Potere (1941). Anche se in un primo momento quest’ultimo si rivelò un investimento fallimentare, è innegabile come le soluzioni adottate da Orson Wells nella sua opera prima modificarono per sempre i codici del realismo cinematografico: inquadrature più lunghe del solito (piano sequenza, long-take), più azioni nella stessa inquadratura ma disposte su diversi piani spaziali, eccezionale ed astuto utilizzo della profondità di campo, impiego di obbiettivi grandangolari nel tentativo di eguagliare la messa a fuoco dell’occhio umano, uso di angolazioni dal basso e dall’alto molto spinte per sottolineare determinate condizioni psicologiche del personaggio. Per quanto riguardava invece le Tre piccole, mentre la Universal si sosteneva con gli horror e le produzioni di serie B, come i film di Sherlock Holmes e la serie slapstick di Gianni e Pinotto (Abbott e Costello), e la Columbia vantava Frank Capra come regista più importante della società, la United Artist raggiungeva il declino a causa del ritiro di Griffith, Pickford e Fairbanks con l’avvento del sonoro. Al contrario furono molti i registi teatrali che con la morte del cinema muto si precipitarono da New York a Hollywood, tra questi, oltre il già citato Minnelli, anche George Cukor e Rouben Mamoulian e attratti dalla stessa innovazione tecnologica furono sceneggiatori come Preston Sturges e John Huston che, consapevoli delle nuove possibilità che il sonoro avrebbe dato al cinema, passarono alla regia.
Il Codice Hays e la salvaguardia del decoro
Con lo svilupparsi dell’industria cinematografica statunitense, vari gruppi sociali e comitati locali fecero richiesta per un maggiore controllo censorio a partire dal primo dopoguerra. Venne a tale scopo creato dai principali studios il MPPDA (Morion Picture Producers and Disributors od America) un’organizzazione ideata con il fine di restituire ad Hollywood un’immagine accettabile agli occhi dell’opinione pubblica, a capo della quale venne nominato nel 1922 il già presidente del partito repubblicano Will Hays. Questi fece includere delle clausole di tipo morale nei contratti degli studios, stilò un elenco di “dont’s”, situazioni non ammesse, come la nudità licenziosa, l’esposizione al ridicolo del clero, il traffico illegale di droga e di “be careful”, cose a cui fare attenzione, una sorta di “maneggiare con cura”, tra i quali primeggiava l’utilizzo della bandiera americana. Nel 1934 venne promulgato un Codice di produzione con funzione autocensoria, meglio conosciuto come Codice Hays.
I vecchi e i nuovi generi del cinema americano
Sicuramente a godere maggiormente dell’introduzione del sonoro fu il Musical. Quelli con Ginger e Fred coreografati da Hermes Pan erano tra i più apprezzati e di successo. Altre star del genere furono Judy Garland, Mickey Rooney e Gene Kelly. Capra era uno degli esponenti più significativi della Screwball Comedy, un tipo di commedia di situazione, a metà tra la sophisticated comedy e la farsa, con elementi di slapstick, caratterizzata da dialoghi dal ritmo incalzante e dall’umorismo raffinato, storie imprevedibili e personaggi eccentrici. Con l’avvento del sonoro il film horror e quello noir divennero generi di primo piano. Quest’ultimo, che pullulava di delitti, investigatori, criminali, dark lady (donne seducenti ma traditrici), vicoli oscuri, strade bagnate, locali poco raccomandabili, derivava direttamente dal romanzo poliziesco hard-boiled americano (Hammett, Chandler, Cain). Lo stile del Noir, influenzato fortemente dall’espressionismo tedesco, abbondava di angolazioni dall’alto o dal basso, grandangoli spinti, riprese in esterni di notte, e luci soffuse. Il suo più grande interprete fu Humphrey Bogart. La Warner Bros fu la major che più si impegnò nel cinema a sfondo sociale, caratterizzato dall’uso di uno stile realistico. Questo genere, nato come risposta alla grande Depressione, venne abbandonato dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, quando l’incremento dell’occupazione portò una nuova prosperità.
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