SenigalliaNotizie.it
Versione ottimizzata per la stampa
NetPEC - Mettiti in regola con la PEC

Certo per un istante ho creduto mi fosse cascata una mela in testa

Le fasi di realizzazione di un film: Introduzione al personaggio

Maschera di Carnevale

Non capita troppo spesso nella vita d’uno studente di cinema, vedersi passare davanti Iron Man con in braccio una piccola tartaruga ninja e per la manina, stretta stretta la sfavillante Gioia di Inside Out.


Camminavo in fretta e furia col telefono all’orecchio intenta a discutere animatamente con un amico indisciplinato, quando d’un tratto, mi tagliò la strada un marmocchio di un metro circa vestito di verde con una lunga sciarpa gialla. Strambe mode, mi dico e proseguo distratta. Ecco allora inciamparmi in un piede una volpe seguita da una rosa intenta a soffiarsi il nasino, ed un Re paffuto con un mantello di stelle. Chiusi sgarbatamente il telefono in faccia al ritardatario supplicante di scuse, e feci un giro su me stessa con un piede come perno. Una lunga panoramica orizzontale a 360° per rendermi conto che, nel giardino dietro casa mia, la scuola materna, quella elementare, i ragazzini dell’oratorio, e persino gli ingessatissimi scout, stavano festeggiando la più magica festa dell’immaginario: il carnevale.

Distratta io? Moltissimo. Possibile non ricordarsi del carnevale? Possibile certo, ma non era il mio caso. La verità è che da marchigiana quale sono, di sicuro non potevo ricordare istintivamente che qui a Milano, il carnevale si festeggiava secondo il rito Ambrosiano, e quindi la settimana successiva a quella tradizionale.

Ero dunque convinta, avendo subìto ondate e maree di foto, articoli, video su Facebook riguardo la famosa festa in maschera, che tutto si fosse bello che concluso da giorni, e dovendo far pulizia nel mio armadio mentale, dopo ogni festività (come da tradizione) feci il cambio stagione, ed ogni residuo di arlecchini e sirenette, principesse e dalmata ingiubbettati per il freddo, afferratori di caramelle e spruzzatori di schiume appiccicose, era già stato impacchettato e trasportato nella cantina del ricordo vano, destinato ad impolverarsi in compagnia dei babbi natali e delle befane, sino all’anno successivo.

Se su quel piede sinistro mi fosse inciampato un coniglietto pasquale, giuro…lo avrei riconosciuto!
Ma torniamo alla nostra festa. Cosa centra con il cinema? Semplicemente tutto.

E’ senz’ombra di dubbio più logicamente legato il moderno carnevale al Cinema che Babbo Natale alla reale festività natalizia. Sfido chiunque a trovarmi il famoso omaccione rosso dalla lunga barba canuta, fra i pastorelli in quella lunga notte di stelle comete, mentre molte delle maschere di carnevale attualmente vestite da grandi e piccini nascono o son passate nel corso della loro storia dentro la strabiliante ed incantevole macchina dei sogni. E vi dirò di più, dentro il cinema vi è passato anche Santa Claus in svariate occasioni.

Signori vi prego, dico a coloro che son pronti a controbattere, lo sappiamo tutti che il Carnevale nasce molto prima del Cinema, ma vi invito a cogliere la mia riflessione come pura analisi di ciò che oggi (e da molti decenni) è il carnevale, e che, a meno che nelle vostre piazze non ci siano realmente servi pronti ad umiliare il proprio Re, escluse brillanti città (parlando per l’Italia) come Venezia, Viareggio, Sciacca, Ivrea, Putignano e poche altre, dove si investe tempo e denaro per portare avanti una tradizione antica, nel resto della penisola, ma anche in quelle stesse piazze, è difficile trovare un bambino (in questa particolare occasione si considerano bambini anche gli adulti, che come ogni anno a Carnevale ritrovano la propria infanzia) non calzante i panni del suo supereroe preferito, della principessa dei suoi sogni, del personaggio che ammira.

Dart FenerDunque dunque ho parlato di Personaggio, ed era proprio qui che volevo arrivare.

Che cos’è un personaggio se non l’incarnazione di una storia nella quale agisce attivamente, ma ne è anche passivamente attraversato. Potremmo infatti dire che le azioni che compie sono la risultante della sua partecipazione attiva, mentre le cause e conseguenze di quelle stesse azioni, sono ciò che con passività vive il nostro Eroe.

Quando parlo di Eroe parlo del protagonista, un essere cosciente chiamato a lasciare il suo mondo ordinario e ad intraprendere un’avventura al fine di raggiungere un obbiettivo specifico, un percorso, quello che dovrà compiere, non lineare ma fatto di sfide e d’ostacoli, di conflitti interni (legati alla sua ferita personale: il fatal flaw) ed esterni (quelli contro l’antagonista) che lo farà cadere più volte sino a minacciarne l’incolumità, sino a trascinarlo in una crisi dalla quale potrà sollevarsi soltanto prendendo più coscienza di sé e consapevolezza delle proprie capacità. Un viaggio che si concluderà portando il nostro personaggio a raggiungere l’obiettivo desiderato e ritornare al suo mondo ordinario, una terra che gli parrà diversa, perché sarà lui ad essere cambiato nell’intimo.

Se ci mettessimo in dieci sconosciuti ad osservare dal tetto di casa tutte quelle maschere, son pronta a scommetterci l’Oscar di Iñárritu, che per ogni personaggio che indicheremo con il dito, tutti (concedendo un piccolo margine di interpretazione a chi ha poca memoria e molta inventiva) racconteremmo per ognuno di loro, la stessa identica storia.

Cosa sarebbe Dart Fener senza il mondo di Guerre Stellari, o senza il Maestro Jedi Qui-Gon Jinn e Padmé Amidala, cosa sarebbe senza Obi-Wan? E Masha senza Orso? E Vincent Vega senza Jules Winnfield? Non è quindi sbagliato dire che il Personaggio non è solo il prodotto della fusione di un corpo, di un carattere e di uno stile (capelli, vestiario, accessori, linguaggio) ma è anche e sopratutto contenitore di un vissuto fatto di azioni e di rapporti sociali, che ne hanno plasmato certamente l’intima personalità, ma forse anche il corpo.

Fino a qui, potremmo dire, nulla di diverso da una persona fatta di carne e non di celluloide o pixel, se non fosse per il fatto che quella dei personaggi è una vita, come piace dire a me, leofilizzata, ovvero disidratata di tutto ciò che è “eccessivo” alla storia, meno voluminosa e quindi molto più concentrata (anche per quanto concerne il sapore) rispetto alla vita reale.
Una storia, una qualsiasi storia, anche se dovesse comprendere l’intera biografia di un personaggio, sarà sempre il risultato di una selezione, di una scrematura, mentre la vita reale non subisce tagli nel suo corso, se non quello conclusivo e definitivo.

Ma come si può scrivere una storia, e di conseguenza un personaggio, tanto belli da essere ricordati, amati e vestiti dai propri spettatori? Traducendo … come si realizza un buon film?
Sicuramente prima di capire come si possa realizzare un prodotto audiovisivo che sia positivamente ricordato o che passi alla storia come un grande Cult, bisogna prima di tutto essere coscienti della sua gestazione.

Come si sviluppa un film, corto medio o lungo che esso sia?
Il prodotto audiovisivo, intuitivamente è qualche cosa che differisce moltissimo da un semplice racconto stampato su carta, poiché ci raggiunge sfruttando diversi linguaggi, come dice la parola stessa, quello dell’audio, e quello del video. Quando parliamo di audio, di colonna sonora, parliamo di voci, musiche ed effetti, dove le voci possono essere quelle narranti o quelle dei personaggi parlanti nel tempo del racconto, le musiche possono essere di commento o diegetiche (interne alla storia: una canzone che viene da una radio per esempio), e gli effetti possono essere ricavati da oggetti reali (per questo abbiamo i foley artist) o totalmente sintetizzati al computer (il mestiere del sound design insomma).

Ora che abbiamo fatto un po’ di chiarezza nei riguardi dell’audio, apriamo una parentesi sul video. L’immagine in movimento nasce su carta nelle didascalie delle sceneggiature, prosegue in questo mezzo, ma abbozzata in uno storyboard e raggiunge il supporto analogico o digitale attraverso la luce in fase di ripresa per poi prendere la forma che vanta nel momento della proiezione, passando per le mani di un chirurgo munito di bisturi e filo da sutura, il montatore.
E’ ovvio quindi che un’opera cinematografica, la storia che racconta ed i personaggi che vi intervengono, non sono certo figli d’un unica mano, o di un unico talento. Il cinema è un gioco di squadra, è un lavoro di collaborazione e riscrittura.

Stavamo giusto dicendo che la prima “stesura” del film si ha in pre-produzione, partendo dall’idea e proseguendo con il soggetto, il trattamento, la scaletta sino ad arrivare alla sceneggiatura, che abbandona il team di autori e finisce nelle mani del regista, il quale durante la produzione, affiancato da altre fondamentali figure artistiche come il direttore della fotografia, lo scenografo, il truccatore ed il costumista (senza dimenticare gli attori) da vita, movimento e luce a quelle parole scritte in Courier 12 mesi od anni prima. E’ dunque pronto tutto il girato, che raggiunge in ultima base (la post-produzione) altri professionisti: il montatore video, il montatore audio e naturalmente il compositore che assieme alle loro squadre lavoreranno giorno e notte per dare vita ad un prodotto qualitativamente impeccabile e pronto a raggiunge le sale di tutto il mondo e i palcoscenici dei grandi festival cinematografici.

Ma se siamo tutti d’accordo che buona parte del successo d’un film sia strettamente ed inscindibilmente legata al successo dei suoi personaggi, è oltremodo difficile definire il vero autore del personaggio stesso, in quanto sì, naturalmente è stato concepito dall’autore della sceneggiatura (spesso concentrandosi anche nella realizzazione di vere e proprie backstory dei vari ruoli all’interno della storia) ma per quanto questo possa essere stato suggerito nello script, è compito del regista e degli altri capisquadra impegnati sul set, realizzare il suo volto estetico, il modo che ha d’atteggiarsi, i capi che indossa e come lo fa, il trucco e i capelli che veste, e naturalmente la luce che lo colpisce. Ma ancora di più, potremmo mai immaginare un altro Indiana Jones se non quello con il volto di Harrison Ford? Ed un’altra risata di Vivian Ward se non quella della sua interprete Julia Roberts? Perciò è da inserire fra gli autori del personaggio anche e forse più di chiunque altro l’attore stesso, che (come spesso accade, soprattutto agli interpreti delle soap televisive) finisce addirittura per annullare la sua vera identità in quella del personaggio agli occhi dello spettatore ingenuo e abbandonato. Da quando Ridge Forrester non è più interpretato da Ronn Moss, mia nonna e le sue amiche hanno finalmente preso coscienza del fatto che Ronn Moss era solo un attore e non uno stilista pluriammogliato, ma è stato traumatico. Molto traumatico. Come per me, di primo acchito, vedere il dottor J.D e Sheldon Cooper insieme in Wish I Was Here (2014).

Commenti
Ancora nessun commento. Diventa il primo!
ATTENZIONE!
Per poter commentare l'articolo occorre essere registrati su Senigallia Notizie e autenticarsi con Nome utente e Password

Già registrato?
... oppure Registrati!


Scarica l'app di Senigallia Notizie per AndroidScarica l'app di Senigallia Notizie per iOS

Partecipa a Una Foto al Giorno





Cronaca
Politica
Cultura e Spettacoli
Sport
Economia
Associazioni
Fuori dalle Mura