Dai bufali delle caverne a Buzz Lightyear
Quasi tutto quello che avreste voluto sapere sull’animazione, ma non avete mai osato chiedere: Capitolo 1.
Tutto è movimento. Un corpo che si sposta nello spazio è movimento, e movimento è pure una salita ed una discesa.
Movimento è crescita o decrescita, è il contrario della stasi, che altro non è che il non sviluppo, e l’anti-evoluzione. Evolversi è quindi muoversi, è perciò spostarsi nel tempo, nello spazio e nella forma. Gli esseri viventi si muovono e divengono, con il corpo, con le azioni e con il pensiero, e se ciò non fanno evidentemente non sono, o sono morti. Era inevitabile dunque che l’uomo “inventasse” un modo per muovere l’immobile, l’inesistente per eccellenza: l’immaginario, innanzi tutto rendendolo realtà.
Se pensiamo agli affreschi lasciati dai primi uomini nelle caverne, ci tornano in mente quelle famose immagini conosciute attraverso le pagine dei libri di scuola, e ci ricordiamo di grandi cavalli selvatici, cinghiali o bisonti spesso raffigurati con più zampe, come se l’artefice di quei documenti grafici avesse voluto suggerire la loro velocità, il loro “muoversi”. Stessa dinamicità spalmata vantano i vasi greci o i papiri egiziani, ma ci vorranno secoli, e non pochi, perché l’uomo riesca a ricreare un movimento che sia imitazione del reale e non un semplice rimando ad una conoscenza condivisa.
Sarà il diciassettesimo, il secolo propizio. I venditori ambulanti percorreranno le campagne e le città per estasiare un pubblico ancora neonato (che nella sua maturità diverrà cinematografico) con la lanterna magica, dispositivo del precinema più vicino allo spettacolo cinematografico vero e proprio. Mentre nella lanterna magica le immagini erano dipinte su di una lastra di vetro, e poi proiettate su di una superficie facendo ruotare la precedente lastra, quelle meglio conosciute come “ombre cinesi” (forma d’arte che ottiene immenso successo popolare il secolo successivo) erano immagini eseguite con le mani, o sagome piatte di differenti materiali, mosse davanti ad una fonte luminosa e dietro ad uno schermo bianco semitrasparente. Sarà poi la volta dei giochi ottici, quelli basati sul fenomeno della persistenza dell’immagine sulla retina. Ingannare l’occhio era infatti l’obbiettivo di Joseph Plateau, il fisico belga che progettò e creò nel 1832 il Fenachistoscopio, composto d’un disco di cartone attraversato da un certo numero di fessure e decorato con una serie di disegni. Facendo girare quest’ultimo difronte ad uno specchio, si possono vedere muoversi i disegni attraverso le aperture. L’unico inconveniente? Permette di animare solo immagini cicliche.
E se nel 1826 Niépce ottiene la (ad oggi) più antica immagine fotografica a noi pervenuta, grazie alla comparsa di questa nuova tecnica, nel 1878 Muybridge, un libraio ed editore inglese appassionato di fotografia, scompone, per confermare l’ipotesi dell’allora governatore della California Leland Stanford, il galoppo di un cavallo in una serie di istantanee utilizzando fotocamere sistemate parallelamente lungo il tracciato.
“Le fotografie di Muybridge rivelano chiaramente gli errori in cui sono incorsi tutti gli scultori e i pittori quando hanno voluto rappresentare le diverse andature del cavallo”.
(Degas Danse Dessin, Paul Valéry, 1938)
Pochi anni dopo, precisamente nel 1882, Jules Marey, medico fisiologo francese, inventò il fucile cronofotografico per portare avanti i suoi studi sul movimento degli uccelli, dei cavalli e soprattutto dell’uomo.
A far “muovere” la tecnica e a favorire quindi la sperimentazione, con sempre nuove invenzioni, non c’era quindi solo l’intrattenimento (come nel caso della lanterna magica o del fenachistoscopio) ma anche e sopratutto la ricerca scientifica.
E se si è sempre concepito il teatro come antenato del cinema in live action, non può che esserlo stato anche per quello d’animazione, è infatti chiamato “teatro ottico”, quello presentato da Charles-Émile Reynaud (già inventore del prassinoscopio) il 28 ottobre 1892 nella sezione fantastica del museo Grévin di Parigi. Egli dipinse a mano su lunghissime pellicole flessibili di gelatina, incantevoli disegni colorati che raccontavano una breve storia proiettata sullo schermo riflettendosi su di uno specchio. Il più lungo spettacolo di teatro ottico di Reynaud contava settecento disegni. Il primo disegno animato della storia del cinema della durata di un minuto e cinquantasette secondi è Fantasmagoria di Emile Cohl, caratterizzato da una grafica semplice e lineare, ma colma di umorismo.
Con l’arrivo del nuovo secolo la nascente storia dell’animazione si fa fitta di eventi importanti: nel 1914 Earl Hurd, creatore e produttore della serie animata (muta) Bobby Bumps, idea l’uso della celluloide trasparente per separare i disegni dal fondale fisso, ed il suo socio Bray la fa brevettare. Due anni più tardi i fratelli Fleischer (poi conosciuti per aver creato Betty Boop, e Braccio di Ferro) con la serie Out of Inkwell, avranno la trovata geniale di mescolare l’animazione al live action. In Feline Follies, del 1919, fa la sua prima apparizione quella che sarà la capostipite fra le superstar della storia del cartone animato: Felix il gatto, di Pat Sullivan e Otto Messmer. Per circa dieci anni, funzionando con una logica stramba e tutta sua, il micetto nero dalla coda multiuso, estasia il pubblico con le sue pantomime chapliniane. Sarà scavalcato solo nel 1928 da un topo che entusiasma le folle.
Un topo che vince su di un gatto? Siamo proprio in un mondo fantastico!
Ma sarà solo nove anni dopo, che Walt Disney, un animatore di Chicago nelle cui vene scorrevano tanti sangui fuorché quello statunitense, raggiungerà l’apice della popolarità con Biancaneve e i sette nani, il primo lungometraggio in cel animation nella storia del cinema.
I ‘30 ed i ‘40 saranno anni fertilissimi per l’animazione Hollywoodiana, a Disney ed i suoi sino ad allora principali concorrenti, i fratelli Fleischer, si aggiungeranno alcuni brillanti animatori della Warner, come Freleng (Gatto Silvestro, la Pantera Rosa…) Clampett (Titti) e Jones (Beep Beep e Willy il Coyote), così pure farà la MGM e la Universal, rivelando grandi talenti e partorendo geniali personaggi.
Certo ce ne fu uno fra gli animatori, che per la sua firma anti-disneyana per eccellenza, non potrà mai essere dimenticato. I suoi film, in cui poteva accadere realmente di tutto, erano una vera e propria rivolta alla compostezza Hollywoodiana. Se nei classici Disney troviamo realismo e magia, in quelli di Tex Avery troviamo l’assurdo e l’esagerazione. Nei suoi cartoni animati le eroine delle fiabe c’erano, ma erano sessualmente appetibili, ed i lupi non mancavano di certo, ma erano pure quelli eccitati ed incontenibili.
Che ci siano questi strepitanti personaggi all’origine del termine “allupato”?
E’ normale che oggi alla richiesta “Citatemi il nome di un animatore giapponese” risponderemmo Hayao Miyazaki, creatore di quel famoso studio Ghibli (1985) che vanta, fra i suoi molti successi, quattro lungometraggi che diventeranno veri e propri fenomeni sociali e campioni d’incassi. Stiamo parlando naturalmente de Il mio vicino Totoro (1988), Porco Rosso (1992), Principessa Mononoke (1997) e La città incantata (2001). La fratellanza, la compassione, l’uomo, il suo posto nella società e il suo rapporto con la natura: sono queste le tematiche principali dei film di Miyazaki, che rimane sempre comunque fedele alla cultura nipponica.
Prima di lui, all’inizio degli anni ‘50, un altro artista giapponese divene una vera e propria leggenda della storia dell’animazione, è Osamu Tezuka, il padre del manga moderno. Una gloria meritata la sua. E’ d’altronde a lui che si deve l’introduzione del linguaggio cinematografico nel fumetto (esagerazione rispetto alla norma con l’uso di primi piani, e di inquadrature dall’altro e dal basso). Ed è sempre lui a firmare la prima serie televisiva d’animazione giapponese, Astro Boy (ricordato come uno dei personaggi più importanti nella storia del fumetto mondiale). Andò in onda tra il 1963 ed il 1966 nei paesi anglosassoni, rimanendo invece inedita in Italia. Sarà l’antenato delle fortunatissime serie animate: L’uomo tigre, L’ape Magà, Le avventure di Lupin III, Mazinga Z, Heidi, L’ape Maia, Candy Candy, Capitan Harlok, Anna dai capelli rossi, Lady Oscar, Sampei, UFO Robot Goldrake, Hello Spank, Kiss me Licia, Occhi di Gatto, Holly e Benji, e molte, molte, moltissime altre ancora.
Il 1986 ed il 1989 saranno due anni importanti per la storia dell’animazione, nel primo verrà realizzato il cortometraggio animato Luxo Junior (per la regia di John Lasseter), la prima opera artistica dei Pixar Animation Studios, e nel secondo verrà realizzato La Sirenetta, che aprirà il noto Rinascimento Disney, era che si concluderà solo dieci anni dopo con Tarzan. Pochi anni di respiro ancora per la celebre fabbrica dei sogni, che intanto produrrà La bella e la bestia, Aladdin, Il re leone, ed ecco giungere il 1994, anno di nascita della DreamWorks SKG. Lo studio fondato da Steven Spielberg, Jeffrey Katzenberg (precedentemente capo del reparto animazione della Walt Disney) e David Geffen.
Nonostante la DreamWorks sviluppi, produca e distribuisca film (di animazione e live action) musica e programmi televisivi, le maggiori soddisfazioni verranno proprio nel campo dell’animazione. Dopo Il Principe d’Egitto, Z la formica, Giuseppe il Re dei sogni, La strada per El Dorado, e Galline in fuga, è finalmente con Shrek ed i suoi sequel che lo studio ottiene grandiosi risultati. Sulla base di questo successo la DreamWorks Animation sarà separata e resa indipendente dalla DreamWorks SKG. Tra gli altri grandiosi titoli ricordiamo Madagascar, Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro, Kung Fu Panda, Dragon Trainer ed Home – A casa.
Di certo a segnare un traguardo fondamentale nella storia dell’animazione del ventesimo secolo sarà Toy Story (1995) il primo film d’animazione ad essere sviluppato completamente in computer grafica diretto da John Lasseter, realizzato dalla Pixar e distribuito dalla Walt Disney Pictures.
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