CCCP, alla ricerca del comunismo perduto
Musica, rock e politica in un gruppo simbolo della scena italiana
Devo ammettere che questa volta con il titolo ho un po’ esagerato. A scanso di equivoci 33 giri è una rubrica musicale e non politica anche se per oggi faremo una piccola eccezione.
Il gruppo di cui parleremo oggi ha un nome veramente epico “CCCP, fedeli alla linea“, per gli amici solo CCCP che, lo dico per i più giovani o apolitici, corrisponde alla vecchia sigla in cirillico dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).
Chi ben si ricorda, nella scorsa puntata della rubrica avevamo fatto un salto a Berlino alla scoperta dell’elettronica made in Kraftwerk. Ebbene rimaniamo ancora per un momento nella capitale tedesca divisa dal muro. Siamo nei primissimi anni ’80 la New Wave impazza, Berlino è la capitale delle grandi avanguardie musicali europee e nei palazzi del quartiere turco di Kreuezberg si celebra una piccola rivoluzione urbana fatta di case occupate.
Ed è proprio qui, ad una festa non molto partecipata, che s’incontrano due emiliani esuli a Berlino: Massimo Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti. Il primo è un musicista spiantato, un chitarrista, affascinato dal nichilismo distruttivo del punk made in UK (Clash su tutti) mentre il secondo lavora come infermiere in un ospedale psichiatrico. Si annusano, si piacciono ed in breve non solo diventano amici ma decidono di mettere su un gruppo musicale molto minimale per voce (Ferretti) e chitarra (Zamboni). Entrambi vengono da Reggio Emilia o d’intorni, Emilia-Romagna quindi, la terra del socialismo dal volto umano. Figli del movimento del ’77, Ferretti e Zamboni fanno parte di quei giovani scomunicati dalla sinistra istituzionale che si ritrovano al centro di una crisi di valori attorno a cui sono cresciuti.
I primi anni di questo sodalizio vedono i nostri eroi impegnati in frequenti viaggi tra Italia e Germania, cercando di cogliere lo zeitgeist (spirito del tempo) dell’epoca e fondano insieme al batterista Zeo Giudici il trio MitroPank, a cui si aggiunge nel 1982 il bassista Umberto Negri. Ma la formazione si sfalda dopo poco, Zeo Giudici esce e da quel momento a tenere il ritmo sarà esclusivamente una drum-machine.
Nel frattempo il rapporto con Berlino diventa sempre più importante, eseguono concerti in storici locali di Berlino (il Kob e lo Spectrum).
In Italia invece è in pieno svolgimento l’ennesimo cambiamento antropologico: tra “Milano da bere” e drive-in l’impegno sociale del decennio precedente sembra definitivamente tramontato. Anche la formazione degli ormai CCCP cambia, Zamboni e Ferretti arruolano nel gruppo due performer/agitatori, Danilo Fatur e Annarella Giudici, la “benemerita soubrette del popolo”, che li accompagneranno da quel momento durante i live.
Come se non bastasse un nome così altisonante, il gruppo emiliano si tinge di rosso facendo propri i simboli classici del comunismo sovietico. Da questa scelta, purtroppo, è nata anche una chiave di lettura molto superficiale dell’etica del gruppo che tende a cristallizzarlo solo nella sua apparenza ideologica senza indagare più a fondo. Al contrario i CCCP si fanno portavoce non tanto della crisi generale del comunismo ideologico, ma di quello pragmatico che si era affermato all’insegna della democrazia sociale nel secondo dopoguerra e che aveva rivelato in quei 30 anni tutte le sue contraddizioni, la sua impraticabilità.
Non c’è nessun “sol dell’avvenir” quindi ma solo un presente fatto di “noia, psicofarmaci e apatia”, queste sono le divergenze di prospettiva e di vita che separano la linea del Partito Comunista Italiano ed i nostri eroi e che sono riportate nel titolo dell’album: “Affinità e divergenze tra il compagno Togliatti e noi – del conseguimento della maggiore età” uscito nel 1985, in piena Glasnost gorbacioviana.
Con le sue 10 tracce l’album è di una portata rivoluzionaria per la musica italiana. Da una parte infatti il lavoro è uno dei pochi album punk di successo realizzati in Italia in quegli anni, dall’altra proprio il fatto di aver lasciato la bolognese Attack Punk records e di firmare con la Virgin costringe i nostri al salto nel mainstream e all’abbandono della scena indipendente.
Ma la protezione di una major non vuol dire automaticamente superficialità e i CCCP sfoderano un binomio testi e musica da far impallidire le band “in crinoline”, come direbbe Fossati, italiane ed europee.
Il fuoco alle polveri viene dato dalla prima traccia, l’omonima CCCP, che contiene espliciti riferimenti al comunismo sovietico (Pravda e KGB) ma soprattutto un manifesto ideologico: “fedele alla linea la linea non c’è/quando l’imperatore è malato o è dubbioso o è perplesso/altro che uomo nuovo”. Le parole sono scandite in un modo che ricorda più il parlato che il cantato mentre le chitarre sono distorte e colpiscono ossessive e taglienti come lame di coltello.
Il secondo brano, Curami, è in perfetto stile punk/new wave ed anche questo è un brano molto ad effetto dove le liriche allucinate (“verranno al contrattacco con elmi ed armi nuove”) si sposa ironicamente con il riff suonato da uno xilofono.
Benchè nella moderna società del XX secolo, ci vuole un certo coraggio ad iniziare una canzone con le parole: “un’erezione, un’erezione triste/ per un coito molesto”. No? Beh i CCCP lo fanno in un modo canzonatorio a ritmo reggae accelerato con Mi ami?. Se giudicherete questa canzone sconcia fate attenzione però, perché in realtà si tratta di un brano ispirato a “Frammenti di un discorso amoroso” del filosofo Roland Barthes, un punto di riferimento dei movimenti della controcultura degli anni ’70.
Passate le prime tre canzoni si apre il vero cuore dell’album con Trafitto, atmosfere cupe ed apocalittiche ed un testo che rivolge un’aspra critica ad una società sempre più apatica: “mi ricordo di discorsi belli tondi e ragionevoli/trafitto sono/ trapassato dal futuro”. Questo cupezza viene poi rotta dalla mitica Valium, tavor, serenase, unico brano hardcore (cioè velocissimo) dell’album. Come il titolo stesso fa intuire (tre tipi di psicofarmaci), il testo cantato in prima persona è incentrato su un uomo con problemi psichici che racconta il suo rapporto con i farmaci: “c’è chi mi da energia/c’è chi la porta via”. Anche qui il tono è vagamente allucinato e frutto dell’esperienza di Ferretti come operatore psichiatrico. Tuttavia meritevolissimo è il finale, una Romagna mia rivisitata in chiave emiliana, vale a dire: peggio di una bestemmia in chiesa.
Ma non ridiamo troppo perché le due tracce successive hanno un nome che è tutto un programma. La sesta traccia è Morire, brano esistenzialista che cita i due grandi opposti Mishima e Majakovskji entrambi intellettuali incompresi che scelsero di scomparire: “tu devi scomparire anche se non ne hai voglia/ e puoi contare solo su te”. Non è però un inno all’harakiri questo brano bensì è una durissima j’accuse al capitalismo moderno incentrato su un consumismo famelico e fatale: “produci, consuma, crepa/ sbattiti, fatti, crepa”. E se Noia riprende i temi della precedente Trafitto, la traccia successiva è asso nella manica del gruppo.
Con Io sto bene il gruppo consegna la propria eredità ai posteri donando loro un “contro-inno” da cantare a squarciagola. La prima strofa è emblematica: “Io sto bene, io sto male/è una questione di qualità o una formalità?”, si chiede Lindo Ferretti. Il riff di chitarra distorta è la colonna portante del brano che con i suoi “stop and go” è capace di donare alla canzone una notevole dinamicità che stride totalmente con il vero messaggio della canzone: “non studio, non lavoro non guardo la tv/ non vado al cinema, non faccio sport”.
Poi arrima Allarme con la voce di Ferretti camuffata dagli effetti di un finto megafono, un basso pulsante e sintetizzatori che simulano fiati cupi e distorti che si perdono in loop.
L’ultima traccia è l’emblematica Emilia Paranoica, esperimento punk rock che consacra Ferretti come cantore-muezzin per quella sua facoltà personalissima di alternare la narrazione con ululate di spiritualità mistica. Inoltre qui, per la prima volta, si sente una voce altra da quella di Ferretti, proprio quella della benemerita soubrette ad urlare disperata: Emilia paranoica!.
Anche qui il basso è pulsante ed insieme al riff di chitarra la canzone acquisisce un buonissimo groove. Il testo riprende quella Emilia ormai divenuta ex-terra del socialismo dal volto umano: “posso essere uno stupido felice/un prepolitico, un tossicomane/quello che se ne va nelle storie d’amore/camminare leggero soddisfatto di me/ da Reggio a Parma, da Parma a Reggio”.
Una gioventù inquieta dunque che dopo le grandi sbornie di ideali si ritrova quanto mai sola e senza punti di riferimento. In essenza il messaggio dell’album è questo ed è lo stesso motivo per cui viene continuamente apprezzato dalle generazioni di giovani insoddisfatti.
"Affinità divergenze..." è stato finanziato, prodotto e pubblicato proprio dalla Attack Punk Record, e si sente! L'accordo con la con la Virgin Records è stato siglato solo in seguito
Un ultimo appunto: sei sicura di avere sentito "sintetizzatori che simulano fiati cupi e distorti che si perdono in loop"? Secondo me ci sono solo chitarra e basso....
Ciao!
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