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Radiohead, musica per computer

Manifesto ad un album simbolo degli anni '90

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Comì di Cucina
Radiohead Ok Computer

A questa rubrica piace viaggiare e oggi trasvoleremo ancora l’atlantico per arrivare nel cuore della campagna britannica l’Oxfordshire. Dovete sapere che nel 1995 il gruppo di Athens di cui abbiamo parlato la volta scorsa fece un tour mondiale di grandissimo successo e come gruppo spalla europeo chiamarono un gruppo inglese che aveva riscosso un bel successo negli USA ma era ancora misconosciuto in patria: i Radiohead.

Gli anni ’90 , oltre a darci in dote improbabili boy band musicali, hanno segnato l’avvento della digitalizzazione con la diffusione dei primi computer di massa. Ma se i computer diventano sempre più fondamentali nella nostra vita, si chiedono i Radiohead, cosa diventano gli uomini? Degli esseri indifesi da una tecnologia sempre più saccente o rischiano di diventare anch’essi degli automi?
La risposta a queste domande risiede da qualche parte in un grande album: Ok Computer, che viene alla luce nel 1997.

La loro storia ha radici profonde e bisogna tornare al 1986 quando 2 ragazzi in età da college stringono amicizia, Colin Greenwood e Thom Yorke. Yorke è un ragazzo molto timido e schivo, ha una malformazione congenita all’occhio sinistro che lo rende, nell’epoca dell’apparenza, un creep (mostro) ma con incredibile passione per i grandi gruppo inglesi del momento, Smiths su tutti.

I due ragazzi si uniscono al batterista Phil Selway e al batterista Ed O’Brien e tutti i venerdì si trovano provare, prendendo così il nome di ‘On a friday’. Quando il fratello di Colin, Jhonny, entra nel gruppo come tastierista e chitarrista il gruppo è al completo e alla fine degli anni ’80 vanta già un buon successo tra i locali di Oxford.

I ragazzi iniziano quindi la loro avventura discografica e nel 1993 pubblicano  un album che subisce l’influenza dei gruppi alternativi dell’epoca ma riesce a sviscerare tutte le caratteristiche potenziali del gruppo. Snobbato dalla critica europea, i Radiohead decidono di correggere il tiro e nel 1995 pubblicano l’album ad alto contenuto emozionale, in cui predomina ancora la voce di Yorke con le sue esplosioni tra rabbia e disperazione.

The bends è un diesel e ci mette un po’ a carburare, ma dopo l’impegno come gruppo spalla dei REM il disco ha successo e i suoi arrangiamenti e le sonorità delle chitarre entrano nel sussidiario dei bravi scolari del Rock.

Tuttavia i Radiohead sentono che devono cambiare direzione, se The bends è fortemente basato sulle chitarre e su testi introspettivi l’album successivo dovrà porsi agli antipodi di questa formula.

Questa è la premessa per un lavoro come Ok Computer, sperimentale per vie delle prime contaminazioni con l’elettronica e per i testi astratti. Un’altra volontà riguarda la produzione dell’album, i ragazzi suonano insieme da troppo tempo ormai e il loro modo collaudato ha bisogno di una terapia d’urto. Per questo viene chiamato un ‘sesto membro’, il produttore Nigel Godrich che riesce ad assumersi il ruolo di sintesi delle idee del gruppo.

Una linea di chitarra sferzante, un arpeggio di chitarra in sottofondo e un sonagli natalizio questo è l’inizio di Airbag primo pezzo di Ok Computer. Sembra di essere dentro una teca di cristallo, il clima infatti è glaciale e neanche la dolcezza tormentata della voce di Yorke può far nulla contro il crepuscolo dell’apocalisse. La scena è quella di un incidente automobilistico in cui il protagonista si salva grazie al mezzo meccanico dell’airbag e vede la propria vita affidata al funzionamento di una macchina. Mentre la batteria intona dei colpi secchi e il basso procede con un ritmo circolare e minimale, si staglia il suono di una chitarra acuto come un mandolino elettrico. Dopo un finale aperto, con la chitarra che chiude sfumando, un contagocce/metronomo ci porta alla traccia successiva: Paranoid Android.

Per come lo descrisse all’epoca Thom Yorke, il brano è la trasposizione sonora di un brutto quarto d’ora passato dal cantante all’interno di un bar di Los Angeles in cui vide sfilare una vasta umanità di yuppies capitalisti e di squillo. Dal punto di vista musicale invece il brano è un autentico capolavoro e trasporta il progressive rock nel XXI secolo. Durante la registrazione infatti il gruppo si era impantanato su tre brani che non brillavano pur avendo al loro interno degli elementi interessanti. Il colpo di genio fu l’abilità del gruppo di unire questi passaggi e formare in questo modo un unico brano della lunghezza di 6 minuti e passa. Musica e parole viaggiano sulla stessa lunghezza fino ad un break in stile james bond che si esaurisce in un delirio chitarristico al cui culmine troviamo un coro lamentoso che riprende il mood dell’inizio. Ma non è che un passaggio, questa pioggia invocata dal protagonista trasmette tutta la depressione del momento ma poi si sbriciola nella conclusione, quando la chitarra elettrica tuona vendetta.

Il brano successivo è Subterranean Homesick Alien, vago omaggio a mr Bob Dylan. L’atmosfera della canzone è decisamente molto più rilassata, il suono delle chitarre è leggermente compresso e pieno di eco per un risultato decisamente lunare. Anche se si abbandonano i toni paranoici della canzone precedente, il mood è sempre agrodolce. Il nostro protagonista stavolta soffre di alienazione, si sente così incompreso nella società in cui vive che sogna li alieni rapirlo e portarlo via con loro.

Exit Music (for a film) è una delle tracce più drammatiche dell’album, anche stavolta entrano ed escono tastiere che riproducono dei cori ‘robotici’. Traccia molto claustrofobica ma anche appassionante per questo equilibrio tra piano/forte, tra una semplice chitarra strimpellata e il delirio finale suonato in gruppo, in cui svetta un bel basso distorto e una chitarra elettrica/mandolino e, inevitabile, la grande vocalità di Tom Yorke. Ma non c’è agro senza dolce, ed ecco che con la sua delicatezza arriva

Let Down. Chitarre arpeggiate e una linea melodica che vira sul positivo fino ad un’orecchiabile ritornello che è perfino possibile canticchiare. Una ninna nanna melanconia.
Alzi la mano chi non ha mai visto il video di Karma Police, in cui il nostro eroe Tom cerca di scappare da una macchina senza conducente, il destino, che lo insegue con i fari accesi? Spettacolo difficile da dimenticare. Qui si ritorna decisamente sul classico, intro a base di chitarra e pianoforte molto marcata con tutti i passaggi ben scanditi e poi la voce: polizia del Karma, ho dato tutto ciò che potevo, ma non è abbastanza. E tra un ragazzo che parla in matematichese e una ragazza con i capelli alla Hitler capiamo che siamo nel bel mezzo di una visione o di un incubo: per alcuni minuti là o rischiato di perdere me stesso!

Ma la vera traccia, secondo me, emblematica dell’album è la numero 7 che di fatto è l’unica non canzone ma solo un discorso emerso da una voce robotica con in sottofondo il suono di un pianoforte suonato in minore. Fitter Happier è una critica feroce alla società occidentale e al suo stile di vita incentrato su un folle e bulimico consumismo. Una traccia che lascia veramente svuotati e senza parole con la sua chiosa: più pieno, più felice, come un maiale sotto antibiotici.

Per fortuna che Electroneering suona la sveglia con il suo riff di chitarra distorta e la batteria che inizia a segnare un ritmo forsennato. Il gruppo prende la rincorsa ed accelera con un ritornello molto melodico sotteso dall’arrangiamento delle chitarre ora ululanti ora martellanti come le voci di Yorke. Per batteria è tastiere è invece l’inizio di Climbing up the walls, una canzone fredda e lucida dai significati più vari ma che è tendenzialmente interpretata come una rappresentazione della malattia mentale.

Poi abbiamo un’altra canzone bellissima No surprises. Nel mitico videoclip troviamo Yorke all’interno di una tuta d’astronauta e quando il fuoco punta dritto sulla sua faccia assistiamo impotenti al livello dell’acqua che aumenta lentamente fino a riempire tutto il casco. Il testo è anche stavolta duro e interpretato in seconda persona: tu hai un cuore pieni di /un lavoro che ti sta uccidendo/ loro (i politici) non parlano per te/. Ma tutto questo non importa perchè bisogna sempre fingere che vada tutto bene per mantenere la nostra ipocrita tranquillità. Un testo così stona di fronte alla dolcezza melodica di tutto il brano.

Anche per la penultima traccia si torna ad una dimensione a-spaziale e lunare che per l’intensità dei cori artificiali mette i Radiohead in linea diretta di comunicazione con i Pink Floyd. Stavolta la canzone è incentrata su un amore in stile Romeo e Giulietta che lottano contro il conformismo della società per affermare il loro amore. Per la sua atmosfera cupa troviamo un titolo ironico Lucky (fortunato). Questa fu la prima canzone ad essere registrata per Ok Computer e quella che mise il gruppo sulla buona strada per proseguire il lavoro sull’album.

Non ci potrebbe essere chiusura migliora di The Tourist. Ritmo decisamente rallentato, una batteria quasi invisibile e linee di chitarre dettate dagli arpeggi. Finalmente arriviamo al messaggio finale dell’album: hey man slow down! (uomo rallenta!). Un invito a tirarsi fuori dagli ingranaggi della società contemporanea che con i suoi riti le sue false certezze ed i bisogni superflui ci sta portando lentamente a perdere la nostra umanità e a diventare degli automi.

Ovviamente l’album rappresentò la consacrazione mondiale del gruppo inglese ricevette un consenso unanime da parte di pubblico e critica, che lo elesse come uno dei migliori album del XX secolo e in grado di interpretare lo spirito del futuro. Una gran bella notizia per loro, un po’ meno per tutti noi. Quindi che aspettiamo? Rallentiamo gente!

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