Carmen Consoli, cantantessa impertinente
La rubrica "33 giri" celebra la ricchezza della Sicilia ripercorrendo il live del 2001 "L'anfiteatro e la bambina impertinente"
Bentornati a 33 giri! Come alcuni di voi avranno infatti notato la scorsa settimana la rubrica ha saltato un solco. Ho avuto infatti la fortuna di passare qualche giorno nella bellissima Sicilia orientale, e di visitare Messina e Catania. Una volta tornata nel continente ho pensato che dovevo qualche modo celebrare la ricchezza di questa terra e quindi c’era solo una scelta obbligata: Carmen Consoli.
Siciliana verace la nostra Carmen nasce alle pendici dell’Etna in un paesino vicino a Catania nel 1974. In casa Consoli la musica è una questione di famiglia, il padre infatti è un grande appassionato di blues e incoraggia la figlia nello studio della chitarra. Una volta adolescente, Carmen diventa fan accanita dei R.E.M. e con il suo gruppo, gli Iris Monday, si cimenta con le cover dei pezzi del gruppo di Athens. Qualche anno dopo, mentre milita nei Moon’s Dog Party, la giovane chitarrista va a cercare la strada del successo. La città etnea in quegli anni è fucina di talenti, come i Denovo di Luca Madonia e Mario Venuti, e il produttore Francesco Virlinzi, fondatore della Cyclope Records. Ed è proprio Virlinzi a non lasciarsi sfuggire una voce così particolare.
Dotata di un’ottima tecnica chitarristica Carmen ha molti assi nella manica: una buona composizione e un timbro leggermente nasale, caldo e pieno di sfumature. Dopo aver lasciato la band la Consoli si dedica alla scrittura del suo primo disco solista, Due parole, prodotto proprio dalla Cyclope Records. Dopo la partecipazione a San Remo nella categoria Giovani per Carmen arriva finalmente il primo grande successo con la canzone ‘Amore di Plastica’, scritta a quattro mani con Mario Venuti. Il suono della Consoli si inserisce nel filone delle riot girls, le eroine del rock al femminile, come Hole o Alanis Morrisette, che spopolano a livello internazionale. Tra il 1997 e il 2000 Carmen lavora sodo sotto la guida del suo produttore e con i successivi album (Confusa e felice, Mediamente Isterica) riesce a inanellare una serie di successi affrontando tematiche importanti come l’AIDS, l’Olocausto o raffinati ritratti umani. Con il suo stile compositivo sofisticato e attento al punto di vista femminile la cantante siciliana si guadagna l’appellativo di cantantessa, un omaggio alla sua sensibilità.
Il 2000 è decisamente l’anno della svolta per Carmen: da una parte la canzone ‘L’ultimo Bacio’, colonna sonora del film omonimo, le regala il successo del grande pubblico, dall’altra il suo produttore storico, Francesco Virlinzi, muore prematuramente. Costretta da questi due eventi Carmen sente che è arrivato il momento di riflettere sulla sua carriera e di reinventarsi, è così che nasce l’idea di donare nuova veste al suo repertorio.
E’ così che il 15 Luglio del 2001 nasce L’anfiteatro e la bambina impertinente con 15 brani storici della cantante ripensati e arrangiati per l’occasione. Il titolo dell’album è, a detta della cantante, una rappresentazione efficace dei suoi sentimenti: “quando ho sentito il muro di suoni degli strumenti classici mi sono sentita la bambina impertinente in mezzo ai maestri. In tutto questo spettacolo ti aspetti la Callas, invece arriva la Consoli. Quindi non ho potuto fare altro che definirmi così” (intervista apparsa su Rockol.it il 14/11/2001, ndr).
Il primo brano, Per niente stanca, è il ritorno dell’eroina. Le tante peripezie affrontate (angeli, amici e fratelli hanno preso il volo) non hanno impedito alla cantantessa di ‘superare anche l’inverno e di cantare a lungo’. Il finale cede alla vena ironica: ‘non sono per niente stanca ora che ho perso tutto’. Come a dire: il primo tempo si è concluso che inizi il secondo! Poi, introdotta dai fiati, arriva Parole di burro. Nella rivisitazione orchestrale il brano non perde nulla del suo dolce andamento stile bossa nova, accompagnato da suadenti sussurri che la cantante rivolge al suo amante Narciso. Oltre ad un buon testo che non si risparmia addirittura grecismi (abbracciami di erotia e sensualità) anche la struttura è ben pensata con un ritornello che acquista in velocità e che si spegne soffusamente nel finale.
Poi arriva Venere, un brano che rivela ancora una Carmen ironica. La protagonista è una donna che sembra solo apparentemente ‘una inutile preda’ del latin lover imbevuto di ‘sesso pratico e di successo’ e chiosa: ‘porto ancora addosso il fumo delle tue parole, ed è l’unica cosa che mi hai lasciato’. L’arrangiamento orchestrale effettua una bellissima chiusura lunare.
E non ci potrebbe essere titolo più adatto di Blunotte per questo sfogo di Carmen nei confronti della persona amata. Qui l’orchestra fa un egregio lavoro di accompagnamento dove, grazie ai piccoli intermezzi dei mandolini, è in grado di tradurre in suono il crescendo dei sentimenti della cantante.
Poi Geisha ci regala un altro ritratto di donna. Al contrario delle precedenti, qui la protagonista non si fa problemi a diventare una donna totalmente sottomessa al suo amante: ‘fai di me la tua geisha, la tua umile serva’. Come precedente anche qui l’interpretazione è notevole con il crossover tra i passaggi rock e il ritmo da ‘delizia araba’ segnato dall’orchestra.
Il sesto brano è la famosa L’ultimo bacio, riproposta con l’arrangiamento originale. Emozionante è il coro di sottofondo che emerge dal pubblico, un eco perfettamente naturale. La canzone nel suo piccolo è un capolavoro che porta nel XXI secolo quel mood agrodolce della tradizione cantautorale italiana che non si sentiva dai fasti di Tenco e non manca di rendere omaggio al conterraneo Battiato (chi si ricorda la sua cover di ‘Lacrime e pioggia’ degli Aphrodite Childs?): ‘di quei violini suonati dal vento/l’ultimo bacio mia dolce bambina/brucia sul viso come gocce di limone/l’eroico coraggio di un feroce addio/non sono lacrime mentre piove’.
Da brava autrice Carmen è maestra nel mischiare la propria vita con la finzione narrativa. In bianco e nero spicca per l’abilità nel dipingere un ritratto di un rapporto madre e figlia tenero ma burrascoso, dove la figlia confessa: ‘avrei voluto parlarle di me/chiederle almeno il perchè’. Anche qui la melodia è decisamente orecchiabile e l’apertura viene consegnata al ritmo dei tamburi e ai riff della chitarra, mentre l’orchestra accompagna il cambio di tono del ritornello e ‘spinge’ nel ritornello finale. Poi l’orchestra si ammutolisce.
Al grande successo Confusa e felice viene consegnato un arrangiamento quasi acustico in cui emergono solo Carmen, la sua chitarra e la chitarra solista. Il brano, molto piacione nel suo testo piacevole e facilmente immedesimabile, porta in Italia il modo di fare rock di quegli anni.
Molto più interessante dal punto di vista dell’arrangiamento, il pezzo successivo: Equilibrio precario. L’orchestra spazia da toni leggeri e ritmati ad atmosfere più cupe esaltando la distinzione ritornello/strofa di un testo quasi pirandelliano su un uomo che vive un equilibrio (mentale) precario: ‘appeso al grido di una folla che non c’è/ amareggiato, disorientato/per aver perso di vista te stesso’. Anche Bonsai #2 è una canzone particolare, è infatti cantata al contrario. Piccolo quasi come i famosi alberi giapponesi , il brano è un bel duetto che Carmen intona con il suo pubblico e che si conclude con un fragoroso applauso.
Un mandolino poi, ci risveglia dal bagno di folla. ‘Tu che mi offrivi un amore di plastica/ti sei mai chiesto se onesto era illudermi?’, Carmen ritorna combattiva e, come in Venere, si cala nei panni di una donna vittima di un amore infelice ma da cui non ha paura di prendere le distanze. Amore di Plastica rimane una gran bella canzone per testo e arrangiamento, qui impreziosita da una piccola ma deliziosa fuga di violini.
Con In funzione di nessuna logica l’amore è ancora protagonista. La canzone ci consegna una Carmen in versione voce e chitarra. La parte di chitarra è molto raffinata con i cambi di tono ben collegati e un campionario di stili vari, dall’arpeggio allo stoppato. Dopo l’omaggio tutto tarallucci e mandolino di Amado mio si rientra in Italia.
‘Guardavo le sue mani/che stuzzicavano insolenti una rosa finta/ ed era così dolce il modo in cui nascondeva l’imbarazzo’, sembra la dolce descrizione della timida persona amata. In un certo senso è così, in Quattordici luglio la persona speciale in questione è infatti la madre della cantante, a cui la canzone è dedicata. Come in In bianco e nero anche questo brano rivela una capacità di scrittura decisamente originale e sincera, restituita in tutta la sua genuinità con una versione live per voce e chitarra.
Ma il brano migliore per composizione, è proprio l’ultimo: Contessa miseria, con protagonista una donna alle soglie dei sessanta avvolta in piume di struzzo e volgari ferraglie con la mente ibernata a vent’anni. Sembra quasi un personaggio dell’umorismo pirandelliano, simbolo delle contraddizioni della società contemporanea improntata sull’apparenza. Il verdetto è senza appello: la vita estingue sempre il suo debito. Anche qui l’arrangiamento dell’orchestra è perfettamente in sintonia con il ritmo del pezzo e riesce a valorizzarlo fino alla climax finale.
La Consoli vince la sfida contro i suoi fantasmi ed è ora libera di puntare a nuovi traguardi. Alcuni dicono che il suo periodo d’oro rimarrà quello degli anni ’90 mentre altri apprezzano la svolta siciliana degli album degli anni 2000, più vicini alla tradizione e con testi sempre più taglienti. Ad ogni modo Carmen il suo record personale l’ha già battuto, questo è uno dei pochi album italiani registrati dal vivo a realizzare vendite record. Niente male per una bambina impertinente.
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