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Ah è sua moglie quella di Buonanotte Bettina? … CORNUTO!

La Donna come una dannunziana Maria Ferres dentro la quale si nasconde una Elena Muti

Scorcelletti - Laboratorio analisi, ambulatori specialistici, a Senigallia dal 1977
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L’immaginazione delle donne è molto rapida. Balza in un attimo dall’ammirazione all’amore, dall’amore al matrimonio.

Se una donna è intelligente benissimo, ma se non lo è, per il concerto non cambia niente, come quando un violinista soffre di raucedine. 

 Quanto più si deprimono socialmente i diritti della donna, tanto più essa si rifarà in privato con l’astuzia e la seduzione.

Ho voluto attingere dalla letteratura queste tre citazioni, rispettivamente dell’inglese Jane Austen, del tedesco Gottfried Benn e dell’italiano Ugo Bernasconi, per riassumere con le migliori parole quella che è stata la vita della donna fino a non molti anni fa.

Il miglior destino in cui poteva sperare una ragazza era quello di trovare un buon partito che le garantisse una casa da pulire e governare, buon cibo da cucinare e figli di allevare.
Non era importante che fosse intelligente, l’istruzione era un valore aggiunto. L’importante era che fosse una brava moglie, necessariamente abile nei lavori domestici. La bellezza? Oh questa sì, era graditissima, ma non doveva eccedere, altrimenti poteva diventare sconveniente attirando i desideri degli altri uomini e le malelingue delle altre donne.

Quanto alle idee, era giusto averne quel tanto da sostenere una conversazione per trascorrere una partita a carte o in compagnia di una tazza di tè fra vicine, ma anche in questo caso, il troppo avrebbe stroppiato agli occhi dell’uomo, che doveva rimanere per regola e tradizione l’unico a prendere decisioni, le quali avevano valore di legge e pertanto dovevano essere rispettate. Un’eccessiva repressione però, avrebbe pure, come ci insegna la fisica, fatto in modo che la sostanza della moglie, con forza rinchiusa in un contenitore di regole e imposizioni troppo stretto, zampillasse fuori da qualche altra sottile fessura, magari nascosta, sotterranea e segretamente custodita.

E mentre nel mondo si assisteva a due matrimoni fra i più importanti nella storia del cinema, quello delle sfortunate Grace Kelly e Marilyn Monroe con i rispettivi Ranieri di Monaco ed Arthur Miller, in Italia godevamo della vittoria di Anna Magnani agli Oscar come migliore attrice protagonista per il ruolo di Serafina dal film La Rosa Tatuata, (personaggio ideato appositamente per lei da Tennessee Williams), ballavamo sul successo dell’anno “Che Bambola” di Fred Buscaglione, e gioivamo per la promulgazione della legge 1441 che permetteva alle donne di essere ammesse nelle giurie popolari.

In quello stesso anno, il 1956, debuttava a Torino, al Teatro Alfieri, uno dei più grandi successi della famosa coppia di commediografi italiani, Garinei e Giovannini. Il primo fra i loro spettacoli ad essere tradotto e rappresentato all’estero, e ad oggi in assoluto la loro commedia messa in scena in più parti del mondo: Buonanotte Bettina.

Che cosa succederebbe nell’Italietta di quegli anni, se una timida e novella mogliettina, nota a tutti per il suo visino da bambola ed i suoi modi gentili, per supplire alla mancanza di “brio” nella propria vita di coppia, scrivesse segretamente un romanzo osè sulla scia di quell’indicizzato Bonjour Tristesse di allora recente pubblicazione, lo dimenticasse in un Taxi e lo trovasse un editore senza scrupoli..un certo Colibò?

Certo oggi, soldi, fama e pubblicità farebbero gola anche al più geloso e tiranno dei mariti, il quale, al pensiero che la propria sposa casalinga possa diventare la nuova E.L James e portare a casa un bel po’ di quattrini di tutte le cinquanta sfumature possibili, riuscirebbe a mettere da parte l’orgoglio maschio e villoso per baciare le mani alla novella Françoise Sagan. Ma sessant’anni fa, specialmente in alcune calde parti d’Italia, si sacrificava con meno dispiacere la testa d’un figlio piuttosto che l’Onore, e andare sulla bocca di tutti per essere il marito (che voleva dire padrone) di una moglie (che voleva dire serva o trofeo) la quale se la spassava nei pomeriggi di solitudine tra una spolverata al sofà e una passata di straccio, a descrivere disinibite scene di amore animalesco nelle pagine rosee e profumate di un diarietto (che c’è di più fanciullesco di un diario segreto?)…voleva dire solo una cosa…CORNUTO!

Lui, Andrea Persichetti, modesto impiegatuccio di banca, sulla trentina, si comportava ancora da ragazzone. Innamorato della moglie, ma esplicitamente annoiato della propria vita di coppia, non era uno di quei mariti sopra descritti, inclini all’uso della violenza, verbale o corporea nei confronti della donna. Premuroso, cucciolone e non proprio virile, il protagonista maschile di Buonanotte Bettina era interpretato dal meraviglioso Walter Chiari.

Lei, Nicoletta De Rinaldis, minuta casalinga sempre ben vestita, biondina e dalle buone maniere. Innamoratissima del marito fin dalla tenera età, rimase un po’ delusa dal veder crollare giorno dopo giorno quel travestimento da uomo ideale che Andrea aveva indossato i primi tempi del loro amore anche perché con questo se ne stava scivolando sempre più in basso pure la tanto agognata passione. Quell’emozione che una donnina per bene poteva sperare di provare sol dopo il matrimonio. I panni della sposa, protagonista della commedia musicale in analisi, erano cuciti su misura per il corpo slanciato da antisoubrette di Delia Scala.

Quello stesso duo con cui i prolifici ed inseparabili Garinei e Giovannini debuttarono nel ‘56 e che fu descritto da L’Unità come “la più fortunata coppia mai apparsa in una rivista” fu scelto dalla Rai, nel ‘67, per realizzare la prima versione televisiva della suddetta commedia musicale. Buonanotte Bettina diventa un vero e proprio film, per la regia di Eros Macchi, che sapientemente conserva tutta la originaria teatralità, nella recitazione e nelle scenografie.

Il film, che ovviamente adatta la storia, inserendola alla fine degli anni’60, a quelli che sono i moderni usi e costumi, vede anche la partecipazione di due volti più che noti: Marcello Marchesi (quello della premiata fabbrica dei film di Totò assieme a Vittorio Metz) e Regina Bianchi (la famosa attrice che nacque nei camerini di un teatro durante una tournée dei genitori e che fu una delle più famose interpreti del teatro partenopeo).

Ai mariti di quell’epoca bastavano poche cose per potersi sentire realmente realizzati: un buon posto di lavoro, una moglie rispettosa e fedele, dei figli sani e diligenti e una Fiat 1100, vero status symbol degli italiani. Le donne di allora invece, quelle semplici e ben distanti da ideologie politiche d’alcun genere, per definirsi felici necessitavano di un uomo protettivo, carismatico, con un buon lavoro e che le portasse a ballare (magari il twist), un armadio pieno di minigonne (la grande novità apportata alla moda da, pare, la stilista Mary Quant), segno indiscutibile dell’esigenza del gentil sesso di esprimersi in maniera più autonoma ed aggressiva, e se possibile un aspetto fisico che rimandasse alla Barbie (bambola che ebbe il suo Boom in Italia nel 1964) e naturalmente alle grande dive del cinema.

Andrea Persichetti era il tipico uomo italiano, e Nicoletta, sua moglie, non era da meno, ma, (perché una sottile differenza c’era) al contrario dell’amato sposo, il quale, essendo un uomo aveva dalla sua, la possibilità ed il permesso “sociale” di fare quel che voleva (rimanendo nei limiti della legalità), lei, moglie fedelissima, era castigata all’interno di schemi culturali che ne ostacolavano l’espressione sessuale. Prima del fidanzamento una donna per bene non era autorizzata ad avere una vita sessale. Dopo il matrimonio il rapporto era più che lecito e necessario, ma la ragazza era comunque costretta a confrontarsi con divieti e tabù sessuali innominabili ed indiscutibili. Il sesso non poteva essere elemento di conversazione per una donna “santa”, di quelle che si vestivano con l’abito bianco autentico al matrimonio, e che erano “pure” nei modi e nei pensieri. Al polo apposto dell’universo femminile si trovava la Femme fatale, donna maliziosa e disinvolta, desiderata da tutti come amante e per lo più rifiutata come sposa.

La questione brillantemente ed astutamente affrontata dalla celebre commedia di Garinei e Giovannini consisteva proprio nella presa di coscienza che dietro, dentro, sotto, nascosta nei reconditi angoli della personalità di una donna “senza macchia”, c’era una femme dal corposo potenziale erotico. Nel caso della protagonista della commedia musicale, vediamo appunto superficialmente Nicoletta De Rinaldis, sembre abbigliata (almeno nel film) con vestitini bianchi che ne evidenziano quella purezza di cui sopra, e nel profondo, sfogata nelle pagine segrete di un diario divenuto poi romanzetto erotico, troviamo l’alter ego Bettina, sensuale, passionale e “fantasiosa” amante che se la fa con un bisunto e rozzo camionista Joe, il quale altro non rappresenta che la parte “maschia” del marito Andrea, casto, freddo e tutt’altro che libidinoso nella realtà.

E mentre la gonna si accorciava fino a raggiungere i quindici centimetri dal ginocchio, anche l’opinione pubblica di addomesticava ad accettare l’idea di una donna più libera dalle briglie di una società maschilista.

Il 1957, anno in cui la commedia debutta a teatro, è pure l’anno in cui Betty Friedan, attivista statunitense e teorica del movimento femminista, inizia l’elaborazione degli articoli che andranno poi a costituire il suo libro-inchiesta “La mistica della femminilità”, pubblicato nel 1963, che evidenziava il disagio femminile, per lo più psicologico, sentito dalle donne semplici, mogli e madri di famiglia.

Nel 1966, l’anno prima del lancio della commedia in televisione per la regia di Macchi, la stessa Friedan fondò la NOW, National Organization for Women, un’organizzazione che presentò proposte legislative allo scopo di ottenere l’effettiva eguaglianza tra i due sessi.

La Bettina di Buonanotte Bettina è forse un omaggio alla Betty Friedan del movimento femminista? Probabilmente no, è una pura e felice coincidenza, ciò che è palese però è che tanto la commedia di Garinei e Giovannini quanto l’opera dell’attivista statunitense sono figlie (femmine) di una società in trasformazione.

Giulia Betti
Pubblicato Domenica 1 novembre, 2015 
alle ore 12:52
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