Rumors, melodici pettegolezzi
Dopo Santana, la rubrica 33 Giri svela i segreti di un'altra icona degli anni Settanta, i Fleetwood Mac
Non avrei mai creduto che già al secondo episodio di questa rubrica avrei dovuto affrontare il mio primo ‘errata corrige’.
Un piccolo refuso storico comparso nell’articolo precedente in merito al brano ‘Black magic woman’ mi ha fornito lo spunto per l’argomento di oggi: i Fleetwood Mac, la longeva band ango-americana. Parlando di Abraxas di Carlos Santana, sostenevo che la canzone in questione fosse stata portata al successo prima dal chitarrista messicano e poi dai Fleetwood Mac. Errore! Ho scoperto di essermi sbagliata e che la canzone era stata già stata ‘coverizzata’ dalla band nel 1968, anticipando di qualche anno la versione di Santana, che l’avrebbe poi portata al successo. Ma procediamo con ordine.
Parlare dei Fleetwood Mac non è semplice in quanto la lunga carriera artistica ha portato il gruppo ad attraversare varie fasi musicali e cambi di formazione. Tuttavia oggi ci concentriamo sul periodo ‘classico’ del gruppo che comprende i fondatori Mick Fleetwood alla batteria e John McVie al basso (da cui il nome del gruppo), Lindsey Buckingham alle chitarre, Stevie Nicks e Christine McVie alle voci e alla tastiera. Questa formazione prende il via nel 1974, quando, dopo un periodo di transizione, il gruppo con la nuova line-up mista sembra trovare un nuovo equilibrio. In quel periodo il detto ‘essere casa e bottega’ calza a pennello per la band anglo-americana, dove le vicende personali si sommano con quelle professionali. Stevie Nicks e Lindsey Buckingham sono una coppia nella vita e nella musica (prima di confluire nei Fleetwood girano gli Stati Uniti come duo) ed anche John McVie e Christine McVie.
Come dice il proverbio: ‘l’unione fa la forza’ e nel 1975 il primo album della nuova formazione, Fleetwood Mac, è un grande successo. Trascinato da pezzi come Over my head e soprattutto Rihannon, l’album conquista le classifiche internazionali e si impone con uno stile pop-rock destinato a fare scuola. Tuttavia il successo si accompagna ad una vera e propria crisi esistenziale del gruppo che tocca i suoi componenti nel privato. La consacrazione mondiale ha messo sotto pressione i rapporti di coppia interni alla band che iniziano a sgretolarsi. John McVie divorzia da Christine e la coppia Nicks-Buckingham si sfalda, stessa sorte per Mick Fleetwood che, dopo aver scoperto il tradimento della moglie, sta anch’esso per divorziare.
Tutto sembra volgere verso il peggio e nell’ambiente musicale iniziano a levarsi alcune ‘voci’ di un prossimo scioglimento. Per fortuna loro, e nostra, la tensione musicale è in grado di far convogliare le emozioni all’interno del gruppo nel verso giusto: i Fleetwood non solo non si sciolgono ma registrano un secondo album che esce nel 1977, Rumours. Il titolo, pettegolezzi in italiano, è un messaggio ironico a tutti gli uccelli del malaugurio che davano già la band per spacciata.
La copertina ripropone lo stile ‘essenzialista’ e misterioso dell’album precedente: un ritratto in bianco e nero, opera di Herbert Worthington, che ritrae Mick Fleetwood, vestito da paggio medioevale con codino e sfera di cristallo, e Stevie Nicks, in abito di tulle e scarpe da ballerina, intenta ad osservare il suo riflesso nella sfera. Gioco, magia, riflessi, apparenze e, non da ultimo, eleganza. Anche in questo caso la copertina è un biglietto da visita.
L’album si apre a ritmo sostenuto con ‘Second hand news’ di Lindsey Buckingham. Senza giri di parole Buckingham introduce il tema conduttore dell’album, la rottura di una relazione: “I know there’s nothing to say/someone has taken my place” (non c’è molto da dire, qualcuno ha preso il mio posto). Pur parlando d’amore il tono è diretto e sincero con frasi del tipo: “non mi mancherai” e “spero che tu possa trovare qualcuno che ti darà la serenità”, il tutto rivolto alla sua compagna di band Stevie Nicks, che insieme a Christine Mcvie fa il controcanto del chorus finale.
La seconda traccia, una delle migliori dell’album, è affidata alla penna e alla voce della stessa Nicks: Dreams. Il testo sembra un ‘botta e risposta’ con quello precedente: “now here you go again/you say you want your freedom”(ci siamo un’altra volta, dici che vuoi la tua libertà). La struttura della canzone è canonica con l’alternanza strofa/ritornello mentre il testo è molto teatrale: le strofe descrivono prima le sensazioni verso la persona amata e poi quelle nei confronti di se stessa. Ed infine i sogni, dreams appunto: “hai qualche sogno che ti piacerebbe vendere?/sogni di solitudine”. Il tono è amaro, quasi risentito, ma l’andamento lento e gli effetti della chitarra conferiscono alla canzone un’atmosfera sognante e rilassata. Molto particolare il ritornello, con un bell’arrangiamento di voci e le tastiere a creare un tappeto sonoro di sottofondo.
Siamo 1 a 1, palla al centro. Riparte Buckingham con un piccolo gioiello: ‘Never go back again’. La canzone per la sua semplice struttura sembra una serenata medioevale, dominano gli strumenti a corda con la chitarra ritmica e solista impegnate rispettivamente a scandire il tempo ed intessere la melodia. La seduta di psicoterapia Nicks-Buckingham si ferma per un momento, arriva quindi
‘Don’t stop’ di Christine McVie. Questa quarta traccia è aperta da un brillante riff di pianoforte: ritmo sostenuto,ritornello orecchiabile, è una canzone pop perfetta, anche per la pubblicità. La stessa ricetta la troviamo anche nel quinto brano ‘Go your own way’, ritmato e con un buon arrangiamento vocale. Il muro del suono eretto dal trio Mcvie-Buckingham-Nicks e l’assolo di chitarra finale graffiante ed efficace sono nella migliore tradizione pop-rock.
Poi si arriva a ‘Songbird’, altro capolavoro dell’album per pianoforte e voce, quella di Christine McVie. Questa è la canzone d’amore che ognuno vorrebbe al suo matrimonio. Il ritmo dell’album rallenta: gli uccellini cantano, con te il sole splenderà, non ci saranno più pianti, ti darò il mondo e con te non avrò mai freddo. Insomma: te vojo bene assaje. Scherzi a parte, la canzone è veramente bella e la voce della McVie offre un’interpretazione molto sentita. Poi arriva ‘The Chain’ e si capisce perchè i Fleetwood Mac sono arrivati sulla terra.
Qui chitarra e gran cassa, leggerezza e pesantezza, incedono sicure verso la prima strofa della canzone intonata dal duo Buckingham-Nicks: “ascolta il vento che soffia e il sole che sale/corri tra le ombre/dannato il tuo amore/dannate le tue bugie”. Si ritorna sui binari della rottura, un’esperienza che tutti i Fleetwood stavano in quel momento attraversando. Questo è l’unico brano dell’album a portare la firma di tutti i componenti, e si sente. La struttura musicale è molto raffinata perchè frutto del contributo di ciascun musicista. Il corpo della canzone ha due strofe e un ritornello che viene ripetuto due volte. Per gran parte del brano la trama musicale è scarna e potente grazie alle parti vocali cantate in coro. Il pezzo forte sta nel finale: dopo il secondo ritornello cala un silenzio interrotto prima da un arpeggio di chitarra , poi da una linea di basso, cupa e solida. Il rullante della batteria aumenta diventando sempre più nitido fino a guidare l’esplosione finale di canti e controcanti: ‘la catena, la catena che tiene ancora insieme’. Pelle d’oca. Se dovessi consigliare un brano dei Fleetwood Mac sarebbe proprio questo in quanto rappresenterebbe alla perfezione la definizione di rock mainstream, genere in cui sono stati definiti maestri per la loro abilità nel maneggiare rock lento e rock veloce.
Dopo ‘The chain’ la band mostra il lato più spensierato e radiofonico. Il brano ‘You make loving fun’, firmato Christine McVie, è fatto apposta per le sale da ballo. Il sound è disco-pop: basso pulsante, un bel riff di chitarra, voce suadente ed un pizzico di magia dato dalle tastiere e dagli immancabili cori. ‘I don’t want to know’,invece, è la sorella gemella di ‘Don’t stop’. Qui la gioia dell’innamoramento è cantata a pieni polmoni dal duo Nicks-Buckingham mentre una chitarra sbarazzina accompagna il ritornello con un delizioso riff. La penultima canzone è ancora una fortunata creazione di Christine McVie: ‘Oh daddy’. In questo caso l’amore è quello tra padre e figlia ed il pretesto della canzone è una richiesta di perdono da parte della figlia: “oh daddy/if i can make you see, if there’s been a fool around/it’s got to be me (oh papà, se potessi farti vedere/se c’è stato qualcuno di stupido qui/devo proprio essere io)”. Ritmo lento, moog e basso a tessere l’intreccio melodico e una chitarra che accompagna la voce sofferta della McVie.
La traccia finale del brano,’ Gold dust woman’, è affidata ancora a Stevie Nicks, tocca a lei chiudere il racconto di questa separazione iniziata con ‘Second hand news’ di Buckingham. La composizione ricorda quella di ‘The Chain’ con basso e batteria a fare da apripista e la voce della Nicks a intonare: “dacci dentro-polverosa donna dorata/prendi il tuo cucchiaio d’argento/e scava la tua tomba”. La canzone non ha variazioni melodiche anzi ha un incedere quasi ossessivo. Nella parte finale il rito si consuma con il ritmo ancestrale segnato dai tamburi e i cori che si trasformano in grida confuse, poi i volumi si abbassano e il disco finisce. La catarsi è avvenuta.
La bellezza dell’album, oltre a mostrare le sfumature in cui si può declinare il pop-rock, si regge soprattutto sullo stato di grazia di una band capace di calibrare l’equilibrio tra maschile/femminile che rimarrà quasi un unicum per i gruppi rock del tempo.
Inoltre da Rumours si può trarre anche una lezione di vita: non tutto il male viene per nuocere, anzi a volte può portarti a scrivere un vero e proprio capolavoro!
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