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Fausto Schiavoni spiega la fondamentale figura di Giuseppe Cavalli

Il fotografo, senigalliese d'adozione, diede un contributo fondamentale nel rivoluzionare la fotografia nazionale

Fotografia Gruppo Misa

“Venerdì sera per aprire il mio incontro al Musinf” dice il fotografo Fausto Schiavoni“il prof. Bugatti mi ha chiesto di partire dalla mia passione per la raccolta di documentazioni storiche sulla fotografia, con la presentazione di una copia, che conservo del libro, pubblicato nel 1942  da Giuseppe Cavalli, con il titolo Otto fotografi italiani d’oggi. Un libro la cui importanza è attualmente universalmente riconosciuta. E’ un libro certo schematico, ma capace di  porsi come manifesto ideologico di un gruppo qualificato di fotografi italiani”.

Questi fotografi, con visione originale, si opposero tanto alla visione romanticistica del pittorialismo quanto alla retorica della fotografia fascista. Con la pubblicazione Otto fotografi italiani d’oggi Giuseppe Cavalli aveva l’intento di proporre un concetto di fotografia “pura”, semplice nella forma, essenziale, rigorosa, e dal tono “alto”. Tutti caratteri che al tempo attribuirono all’immagine uno specifico valore estetico, si tratta di un valore estraneo al soggetto, ma determinato dal “modo” innovativo di visualizzazione fotografica.

Giuseppe, era il figlio di Daniele, avvocato, e di Mariannina Cairelli. Nacque a Lucera (Foggia) nel 1904, gemello di Emanuele Cavallli, studiò a Roma, dove la famiglia si trasferì nel 1921. Qui frequentò il liceo classico e poi l’università, laureandosi in giurisprudenza nel 1929. Fece pratica in uno studio legale. Dal 1935 si trasferì a Senigallia, dove abitò fino alla morte, dedicandosi alla fotografia, sia come operatore, sia come critico e animatore culturale. Nel panorama fotoamatoriale si impose a partire dal 1940. Il sodalizio con il fratello Emanuele, affermatissimo pittore, ebbe importanza determinante nella formazione estetica di Giuseppe Cavalli.

Nella sua azione critica cercò sistematicamente di riflettere sulle istanze programmatiche indicate dalla scuola tonale romana. Lo stretto rapporto con il fratello continuò anche dopo la partenza da Roma. I due fratelli si incontrarono spesso a Firenze, ampliando un dibattito sui rapporti tra pittura e fotografia, che si rivelò in seguito fondamentale. Un dibattito al quale parteciparono, tra gli altri, Vincenzo Balocchi, Alex Franchini Stappo e Giuseppe Vannucci Zauli, impegnati in un riesame dei problemi estetici della fotografia. Attraverso il geometrismo della struttura dell’immagine, affidata a soggetti spesso di per sè irrilevanti, Giuseppe Cavalli realizzo splendide fotografie dal tono “alto” (l’high-key), di estrema luminosità. Foto che all’estero piacquero subito e vennero chiamate “mediterranee”. Le bianche fotografie di Giuseppe Cavalli per diversi anni connotarono addirittura l’immagine stessa della fotografia italiana sia nelle mostre sia nelle riviste specializzate mondiali. Cavalli precisò le sue ricerche visive e le sue idee sulla fotografia attraverso il continuo dialogo culturale con alcuni fotografi dei quali condivideva estetica e stile. Tra questi Federico Vender, Ercole Marelli, Walter Faccini, di Milano; Mario Finazzi, di Bergamo; Ferruccio Leiss, di Venezia. Un dialogo che venne condotto tra Senigallia e soprattutto, Firenze presso il fratello Emanuele, dove incontrava i colleghi toscani.

E proprio insieme a questi amici realizzò il libro Otto fotografi italiani d’oggi che, nella ricerca di uno “specifico fotografico”, iniziata in America da Stieglitz, poi da Strand e Weston, e in Europa soprattutto da Moholy Nagy e da Man Ray, Giuseppe svolse in ambito Italiano un ruolo molto importante. Il lirismo fu sempre la base delle sue ricerche, rivolte a sintesi poetiche. Il documentarismo fu da lui considerato come elemento funzionale alla fotografia, ma mai creativo. Durante gli anni della seconda guerra mondiale, Giuseppe Cavalli si impegnò con Finazzi, Vender e Leiss, a chiarire il concetto di fotografia pura da lui sostenuto. Si inserì in gruppi d’avanguardia, come quello che diede vita all’annuario Fotografia dell’Editoriale Domus, nel 1943. Nell’annuario Giuseppe Cavalli fu presente con due immagini, tra cui La bambola cieca, di ispirazione metafisica. Nell’immediato dopoguerra, durante un incontro a Rimini con i suoi vecchi amici fotografi, in occasione di una mostra, nacque l’idea di istituire un gruppo, che potesse agire promozionalmente nei confronti del nuovo concetto di fotografia. Nacque così il gruppo fotografico La Bussola, istituito ufficialmente nell’aprile 1947. Il testo del “manifesto” venne scritto da Cavalli e fu firmato, oltreché da lui, da Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Federico Vender e Luigi Veronesi. In esso vennero ribadite le istanze del gruppo “degli otto”. Il gruppo La Bussola ebbe notevole influenza in Italia, specialmente negli ambienti fotoamatoriali. Fu in effetti una “scuola” di estetica fotografica aperta a tutti, anche tramite manifestazioni espositive e pubblicazioni curate da questi fotografi “puristi”. Continuo fu lo scontro con i fotogiornalisti e i neorealisti, membri dell’Unione fotografica, capeggiata da Pietro Donzelli. L’attività pubblicistica di Cavalli per una “fotografia artistica”, basata su high-key, geometrismo, essenzialità della composizione, fu svolta in riviste specializzate del settore, come Ferrania, Fotografia, La Bussola, Il Progresso fotografico, Vita fotografica italiana, Il Corriere fotografico.

Nel 1954 fondò il gruppo MISA di Senigallia. Vi confluirono giovani fotografi come Mario Giacomelli, Alfredo Camisa, Piergiorgio Branzi. Tutti poi destinati al successo, ma su linee di ricerca lontane dalla poetica di Cavalli, che morì a Senigallia nel 1961. Le opere di Cavalli sono oggi conservate al Musinf di Senigallia, dove sono state raccolte e catalogate con la collaborazione del figlio Daniele.

Fausto Schiavoni è nato a Urbania. Vive e lavora a Pesaro. La sua passione per la fotografia deriva dal padre che, anch’egli fotografo dilettante, lo faceva partecipare fin da bambino al lavoro in camera oscura e lo instradava ai primi rudimenti teorici e pratici della fotografia. Il padre venne a mancare quando egli aveva undici anni. Dopo un lungo periodo di fotografia in bianco e nero (che sviluppa e stampa da sé) durante il quale sperimenta vari tipi e formati di pellicola e di macchine fotografiche, dal 6×9 al 6×6, dal 127 al 24×36, passa alla diapositiva in bianco-nero e poi a quella a colori. Per lui la fotografia è una ricerca personale: non segue le mode, non fotografa per progetti, tende a non riprendere le persone. Col tempo ha posto maggior attenzione al dettaglio, che trova molto più interessante dell’insieme. E’ degli ultimi anni la passione per i luoghi abbandonati, ricerca che riguarda case di campagna diroccate, alberghi e ristoranti chiusi, fabbriche dismesse, ecc. Attualmente usa una fotocamera digitale full frame. Le stampe su carta fine art sono eseguite da un laboratorio professionale. E’ stato tra i fondatori del Fotoclub di Pesaro e uno dei primi soci del Circolo Fotografico “Tina Modotti” di Bolzano. Ha fatto opera di divulgazione della fotografia in alcune scuole della sua città. Ha collaborato alla realizzazione di Conferenze con dia-proiezioni tenutesi a Palazzo Montani Antaldi di Pesaro sul ceramista Bruno Baratti, relatrice la Professoressa Silvia Cuppini; sul pittore Guerrino Bardeggia, relatore il giornalista Edmo Vandi; sull’ex ospedale psichiatrico di Pesaro, relatrice la storica dell’arte Dottoressa Maria Grazia Calegari. Nello stesso anno ha partecipato con Adriano Gamberini e Domenico Giordano alla mostra PER-CORSI tenutasi a Pesaro alla Sala Laurana e avente come tema la bicicletta. Molte le sue mostre personali e le presenze in collettive.

MUSINF
Pubblicato Venerdì 4 settembre, 2015 
alle ore 17:12
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