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Per un cinema interattivo nella mia Senigallia

Utopie ed Eutopie nella carrozza di un treno

Senigallia Skating Club - Settembre 2015 - Corsi di pattinaggio
Film festival all'aperto

In questo treno per Milano ho al mio fianco una bambina. Marion, si è presentata così. Sola, con il suo zaino blu fatto all’uncinetto ed un quaderno a righe. La sua è una di quelle matite che fanno rumore. Troppo forse, per quell’uomo poco distante che non fa che guardarci, facendomi una smorfia castigata che presumo voglia contenere il suo disprezzo invitandomi a far cessare il campanello del lapis.

Crede forse che sia io la responsabile di questa bambina, ma la realtà è differente. Glielo faccio capire con un gesto. Lui alza la mano per scusarsi dell’intromissione e riaffonda gli artigli nel portatile.
Salita chissà dove Marion, dicendo il vero non l’ho proprio capito. La voce è un po’ confusa e disarmonica, la fame di contatto rende stentato e faticoso il suo comunicare. Disabitudine forse, od un mascherato timore.

Deve raggiungere Genova per ricongiungersi con la madre. Una donna che ho appreso essere bella, buona, riccia e attrice. Di teatro, mi pare.
Ma sarà davvero un’artista o un personaggio creato dalla sua fantasia?
Marion mi sembra abituata a questa solitudine camuffata da autonomia, e la creatività è spesso conseguenza del vivere troppo in questo stato di isolamento responsabilizzante.
In tre brevi scambi di battute scopro che ha consumato l’estate dai nonni al sud e che ora sta portando a termine i suoi esercizi scolastici, completando un tema dal titolo “Utopia della mia città”.

Rimango felicemente sorpresa. Non credevo che a dieci anni già si utilizzasse un termine tanto ricco e concentrato quanto lo è “utopia”.
Decido di farle compagnia, impegnandomi io stessa a generare un pensiero stimolato da quello stesso titolo.

Senigallia, inizio a riflettere, cosa potrei volere da Senigallia che ancora non mi da? Vorrei forse che fosse più pulita, certo. Che ci fosse una biblioteca più fornita ed un servizio d’autobus più consistente, in modo da diminuire la densità delle automobili private per le strade. Vorrei ci fossero più servizi per i giovani, come centri culturali, laboratori tematici, workshop e gallerie d’arte e fotografia. Vorrei che ci fosse una fauna giovanile più creativa e meno ubriaca nei sabato sera ideali, più attiva e meno irremovibile dalle sue ideologie anticonformiste omologanti.
Vorrei certamente meno fuochi artificiali, oramai fallimentari nel loro tentativo spettacolarizzante, nocivi alla quiete animale e, senza la presunzione di dire cosa originale, aggiungerei “costosi”.

Decido di fermarmi e le propongo di scambiarci il foglio protocollo per dare un’occhiata l’una a quello dell’altra e favorire così la stimolazione di nuove argomentazioni. Come nella Briscola, giochiamo in coppia contro il tempo da trascorrere a bordo. Facciamo strisciare i rispettivi elaborati nel tavolino che ci separa, lasciamo la presa dal nostro per afferrare quello dell’altra, e sostituendo l’occhiata furtiva tipica del gioco con un’attenta lettura, diamo un’occhio alla situazione attuale.

Il tema di Marion, paragonato al mio, è una mano di carichi. Una coppia di tre e l’asso di briscola. Al confronto metaforico potrei dire che i miei buoni propositi da clima “campagna elettorale” sono un due di denari, la carta delle regole che finisce ogni volta nel mazzo e una matta. Rispettivamente: deboli, inutili e fuori luogo.

Non avevo capito niente di ciò che il tema pretendeva chiedendomi un’utopia. Senigallia avrebbe dovuto indossare le vesti del “luogo bello” per me e non della città ideale per eccellenza nello stile della Seahaven di Truman Burbanck.
Perciò chiesi scusa, strappai il foglio e ricominciai a scrivere.

“Vorrei che Senigallia fosse teatro di un laboratorio cinematografico, ideale per accogliere artisti, autori, studenti universitari, giornalisti e turisti. Durerebbe una settimana e sarebbe uno splendido intervallo shopenaueriano tra la noia e il dolore di una primavera monotona.
L’intera città sarebbe coinvolta in questo virtuosismo culturale. Ci sarebbero ovunque striscioni, cartelloni, schermi, sagome e fotografie ritraenti fossilizzati frammenti della storia del cinema. Sarebbe il trionfo dell’immagine che invade il reale spacciandosi per la sua riproduzione.
Ogni mattino ed ogni pomeriggio gli interessati sarebbero coinvolti in attività disparate: brevi corsi di storia del cinema monografici, presentazioni e analisi di film condotte da professionisti del settore e progetti interattivi ideati per stimolare la nascita di uno spirito critico nel pubblico nei confronti del prodotto audiovisivo.
Non mancherebbero spazi e attività dedicati ai più piccoli ed ai più anziani. Interviste e dibattiti con autori ed interpreti.
Poi nel tardo pomeriggio, sempre affiancato dalle sopracitate attività, avrebbe luogo il “Festival del giovani”, strutturato in modo che possano concorrere i cortometraggi realizzati durante l’anno dagli alunni delle scuole superiori autoctone e non solo.
Quindi con il termine delle proiezioni degli acerbi cineasti, si inaugurerebbe l’applauso all’elegante presentatore, che in cima ad un palcoscenico farebbe la sua esauriente introduzione a un film importante per la storia del cinema, in proiezione quella sera”

Ecco dunque che riflettendoci meglio, mi sembra difficile definire questa mia come una classica utopia. Sarebbe nient’affatto irrealizzabile se si investissero in tal progetto quei soldi lì per esempio, quelli dei fuochi d’artificio. E forse con la forte affluenza che ne deriverebbe non sarebbero poi così inutili un paio di autobus in più, per non parlare della pulizia della città, che diverrebbe, se non lo è già, un dovere ed un obbligo di tutti i cittadini nei confronti dei visitatori paganti. Ma soprattutto con progetti come questo si tenterebbe di svuotare un po’ di quegli zainetti appesantiti dalle bottiglie di vodka economica nelle spalle dei giovani, per riempirli di libri, di film e di cultura.

Una mano ancora e le mie carte si son fatte migliori. Abbiamo battuto il tempo, io e la bambina, permettendo al nostro percorso insieme di trovare la sua conclusione in un progetto “utopico”, quello di Marion di espandere i confini della sua città fino ad inglobare tutta la superficie italiana, così da avere l’illusione di essere sempre a casa sua anche a chilometri di distanza, ed un progetto “eutopico”, il mio, stimolato dalla riflessione fugace di un collega cinefilo e conterraneo, Mattia Paolinelli: fare di un buon luogo, la mia città, un luogo migliore.

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