Fatelo!
Quando i post sulle bacheche di Facebook stimolano riflessioni sul Cinema
Bacheca Facebook, ore 15:00.
Ero entrata nel mio profilo intenzionata a caricare la foto del mio nuovo amico, un cucciolo di gatto trovatello, per certificare socialmente la sua esistenza, per preparare il popolo di Internet a quella che sarebbe stata la sua fitta presenza nei miei album fotografici e nei miei stati di lì in avanti, per almeno qualche anno. Una cosa molto sciocca, ne sono perfettamente consapevole, ma diciamo pure che un’idiozia in buonafede, come quelle che si compiono quotidianamente in questi social network, è oramai uso e costume condiviso. Perciò l’ho fatto senza troppi indugi, sarei disonesta nell’affermare il contrario.
Ho quindi fotografato, caricato e postato una bella immagine del simpatico micetto che faceva “cucù” con il musino da dentro una scatola di un noto e-commerce. La frase allegata era: “sto urlando dalla gioia”. Diciamo pure che è palese che io non mi sprema le meningi al fine di partorire un virtuale stato d’animo, con un clic verbalmente riversabile in una platea immateriale di autocelebrazionisti egocentrici e politicamente “online” (ma solo quando c’è da sparlare di Renzi, Tsipras, o delle strade costruite dal Movimento 5 Stelle). Indi per cui, attestato e condiviso che dovrei vergognarmi per la pochezza di quelle parole lasciate cadere nel buco nero del web, arriviamo al punto cardine della questione: nella bacheca, tra gli altri gattini che facevano concorrenza al mio, gli aforismi di Osho Rajneesh, le parodie del medesimo santone indiano e la retrospettiva postmortem del deceduto vip di turno, ecco che si è guadagnato la mia attenzione il post in bacheca di una ragazza a me semisconosciuta che cito testualmente: <<Mia nonna è morta troppo presto per conoscermi, ma oggi ho ricevuto da lei i migliori consigli che una nipote può sperare per affrontare serenamente il passaggio all’età adulta>>. A ciò seguivano vari cuoricini e una decina di hashtag improponibili che, ahimè, mettevano in ombra la delicatezza di quel pensiero e dei quali io arbitrariamente ho voluto dimenticarmi ben presto.
“Wow”, ho esclamato, che le sarà capitato, l’avrà vista in sogno? E che sogno sarà mai dovuto essere per aver avuto il tempo di farle una ramanzina su cosa è giusto e cosa è sbagliato fare della propria purezza giovanile? Allora forse si trattava di un altro genere di contatto. Avrà ingaggiato una cartomante? Una medium? L’avrà sedotta la lettura zingaresca di una mano? Basta con le ipotesi deliranti. Stavo perdendo troppo tempo a fantasticare in banalità: guardando i commenti e ho visto che già in parecchi avevano ceduto alla mia stessa curiosità morbosa dalla breve durata. Tirando le somme, la devota nipotina aveva trovato nella soffitta di casa i diari che la nonna tenne dall’età di dodici anni sino alla sua morte.
Una strappalacrime storia sentimentale alla Nicholas Sparks nella quale investire tre minuti di cordoglio empatico, o un buono spunto di riflessione per il prossimo pezzo? Scelsi la seconda opzione.
Ero infatti già da tempo intenzionata a consigliarvi di leggere una preziosa opera a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, chiamata “L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti”, ma non riuscivo a trovare un’argomentazione che fosse abbastanza forte e quindi capace di sostenere la mia tesi più a lungo di un articolo di giornale.
Volevo darvi qualcosa su cui riflettere in maniera impegnata anche dopo la lettura, lo spunto per un’elaborazione che forse avrebbe lasciato sedimentare qualcosa dentro di voi.
Far avvicinare al Cinema chi ancora non è un curiosone riflessologo: tale è l’intenzione che mi ha spinta a creare questa rubrica. E lungi da me farlo imboccandovi di nozioni, date, trame e riflessioni anonime, spesso sterili e inutili, ma al contrario stimolandovi a ragionare su quanto sia concreta ed esaustiva la storia del Cinema e quanto potrebbe esserci semplice ed essenziale studiarla.
Si è scritto così tanto sulla settima arte, si è riflettuto così a lungo e così a fondo su ogni singolo film, su ogni fotogramma, su ogni commento musicale, sulla scelta delle scenografie, persino sui titoli di testa e di coda. Si è detto così tanto e talmente tutto che l’elementare accessibilità della materia rende ancora più insulso e non giustificato il non studiarla.
Non pretendo molto, poiché capisco che mettersi a leggere un libro di storia del cinema non si riveli proprio il passatempo idoneo a chi il Cinema non lo vive come un mestiere, ma come una forma di intrattenimento o meglio ancora, un’arte per allietare l’animo e lo spirito. E per questo motivo mai vi consiglierei un libro di grammatica del cinema o di estetica. Vi lascio al contrario il titolo di un diario cinematografico collettivo, parallelo al susseguirsi degli eventi storici, politici, culturali e sociali del secolo breve.
Una raccolta di pensieri, interviste, racconti, aneddoti, lacrimevoli quanto spassosi, didascalici e raramente risaputi, firmati da persone del calibro di Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Vittorio Mussolini, Osvaldo Valenti, Amedeo Nazzari, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Bernardo Bertolucci, Marco Ferreri, Marcello Mastroianni, Gian Maria Volontè (etc…), invitandovi a riflettere sull’importanza di queste loro parole, su quanto siano preziose e quanto sia inestimabile l’occasione che vi viene fornita. Quella di essere interlocutori posteriori, i destinatari odierni dei loro racconti di valore, delle loro riflessioni, del loro messaggio.
Se una nonna con i suoi intimi e ingenui racconti serali di ragazza ha potuto insegnare a distanza di cinquant’anni qualcosa alla nipote, provate ad immaginare quante cose potremmo noi imparare da persone illustri del calibro di Monicelli, Visconti e Antonioni. Artisti che in quanto tali hanno goduto nella loro vita di una sensibilità superiore alla nostra, una lungimiranza, un genio, un occhio critico che può essere il nostro attuale filtro sulla nostra attuale società.
Certo un film tutto questo dovrebbe riuscire a farlo già da sé, così come dovrebbe un romanzo, un poema o una poesia.
Ma come una poesia di Leopardi non potrà mai esprimere niente ad un neonato che non condivide con l’opera il codice necessario alla comunicazione, allora un film faticherà molto a trasmettere tutto quel incorpora a dei neofiti del linguaggio cinematografico, come ad oggi molti fra noi sono.
E se ancora non riuscite a trovare il desiderio di farlo poiché vi risulta difficile confidare nelle capacità pedagogiche del Cinema, fatelo almeno per orgoglio nazionale, per spirito di concorrenza. In paesi come la Francia, è di moda andare al Cinema e seguirlo anche fuori dalla sala, quindi leggerne, discuterne nei bar, scriverne in maniera disinteressata in un blog tematico o nel proprio zibaldone personale. Perciò in totale onestà vi direi di farlo per essere più interessanti, per avere argomenti di conversazione, per scrollarvi di dosso il puzzo di muffa dei soliti discorsi, per vedere la vita attraverso il punto di vista di un autore, quello a voi più congeniale.
Fatelo per conoscere meglio il sociale e per saperlo affrontare. Fatelo per prendere coscienza del vostro passato nazionale e di quello degli altri paesi. Fatelo perché di certo scoprirete che nel cinema siete stati rappresentati anche voi, i vostri turbamenti, le vostre ansie e le paure che vi scavano dentro. Fatelo perché le cose belle aiutano a vivere bene. Perché un buon libro ed un buon film, ogni giorno, sono più utili di una seduta d’analisi. Fatelo per rintracciare un mondo alternativo al vostro, che non sia quello di Facebook popolato da gattini. Fatelo perché vi volete bene e perché l’immaginazione è un muscolo, che se non viene allenato, si atrofizza.
Fatelo per migliorare voi stessi, la vostra generazione e questa Società.
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