Nanni Moretti profeta di Volgarità
"la Volgarità vince sempre sul pubblico": Screenshot riflette sugli spettatori
Partiamo dal presupposto che, a mio avviso, esistono due tipi di amanti del Cinema: quelli incantati dall’estetica e dallo stile di ripresa, e quelli affascinati dal mezzo comunicativo in se e dalle sua potenzialità di trasmissione di concetti.
I primi, che poi possono differenziarsi in tanti altri sottoinsiemi di interesse e preferenza, prediligono l’evocazione, quindi l’abbeverarsi passivo di emozioni e sensazioni stimolato da una gestione della mdp (macchina da presa) da parte del regista molto attiva ed elaborata. In questo caso la mdp non è spettatrice implicita degli eventi narrativi, ma narratrice esplicita in prima persona.
I secondi invece, sono coloro che amano lasciarsi erudire, sconvolgere o annientare da congetture e illazioni proposte dall’autore attraverso gesti e parole dei personaggi, o attraverso avvenimenti, prediligendo quindi come strumento di trasmissione il contenuto e non la forma che caratterizza il film in questione.
Io, da sempre, appartengo al secondo gruppo di amanti del Cinema.
Il motivo è molto semplice. Al giorno d’oggi, inquadrature mozzafiato e movimenti di macchina virtuosistici ne vediamo a bizzeffe nella Pubblicità, che per esigenze di mercato ha l’obbligo di partorire immagini scandalosamente evocative e stupefacenti per invitare lo spettatore all’acquisto. Cosa deve fare perciò il Cinema per sopraelevarsi all’eleganza stilistica di certe pubblicità a grossi budget? Naturalmente trascinare a se il pubblico attraverso la divulgazione di significati e considerazioni, che siano ben espresse e confezionate, evitando di enunciarle in maniera palese.
Per permettervi di cogliere meglio le mie affermazioni ho scelto di analizzare una scena di Sogni d’oro, terzo film di Nanni Moretti, grande regista di idee.
Moretti si sa, specialmente all’inizio della propria carriera, utilizzava la macchina da presa con gli stessi fini con i quali si può utilizzare una penna per raccontare una storia. Da una penna non ci si aspettano grandi genialità, non sono importanti, infatti, ogni adulto inserito nella società è in grado di utilizzare una biro. Ciò che lo differenzia da un romanziere è il contenuto dello scritto. E ciò che ha sempre differenziato Moretti dai suoi giovani colleghi filmmaker amatoriali del Super 8, non era lo stile di ripresa quanto l’oggetto della sua attenzione.
Contenuti geniali e profetici, raccontati con quella semplicità che vince qualunque barriera mentale e che con successo raggiunge i nuclei della ragione e della riflessione dello spettatore medio. E’ la semplicità del linguaggio comune e della gestualità condivisa. E’ l’utilizzo di un codice dato, di generale proprietà di tutti. Sono, quelle che sfrutta Moretti, le regole base della satira, della barzelletta, dell’umorismo, ovvero mettere alla mercé del pubblico tragicomiche serrature concettuali apribili da chiavi di lettura in possesso d’ogni individuo.
La scena che porto alla vostra attenzione è quella della “Volgarità”. Ci troviamo nello studio televisivo di un imbarazzante programma contenitore che per questa puntata ha previsto lo scontro-dialogo tra due registi noti: il narciso Michele Apicella, interpretato da Nanni Moretti, e Gigio Cimino, interpretato da Gigio Morra, un entusiasta regista alle prese con un musical sul 68’. I due artisti della settima arte si trovano a sfidarsi in penose prove d’abilità. La prima, forse la meno nonsense, prevede un duello a colpi di riflessioni in merito al Cinema Italiano. Incomincia il Cinimo il quale propone una discussione sul nuovo comportamento del pubblico nei confronti del grande schermo, ma viene ben presto interrotto dall’Apicella che facendo come di consuetudine sfoggio della sua aggressività, incomincia a vantarsi di essere l’unico regista di talento della sua generazione e per evitare la sconfitta, pur a malincuore, si concede ad un memorabile turpiloquio rafforzato da movenze e gestualità da far invidia ad un qualsiasi fra i film natalizi più cafoni e burini.
Ed è proprio qui che volevo arrivare. La morale dell’episodio Morettiano è che la Volgarità vince sempre sul pubblico che, già allora, pareva essere diventato allergico alla dialettica e all’oratoria più civile.
Ricordandoci che Sogni d’oro, è del 1981, e che il ciclo Vacanziero poi sfociato nella lunga stagione dei Cinepanettoni avrà il suo esordio solo un anno dopo con il fatale Sapore di Mare dei Vanzina, trovo incredibilmente fresca nonché profetica l’accusa mossa dall’allora trentenne regista romano nei confronti di una società spettatrice sempre maggiormente avvezza alla fruizione dei contenuti più bassi e putridi del sapere.
E’ innegabile infatti che i maggiori incassi di lì in poi, escluse poche fortunate eccezioni, il Cinema Italiano li abbia raggiunti proprio con i dolci natalizi della premiata pasticceria De Laurentis.
Ma non è tutto. Allargando infatti l’inquadratura dal particolare sull’episodio della Volgarità ad un totale sull’intero prodotto televisivo, quindi il programma contenitore nella sua essenza globale, troviamo una grande denuncia nei confronti di una televisione italiana già in declino, quella televisione che appena quattro anni dopo ci farà conoscere Federico Fellini con Ginger e Fred, ma anche e soprattutto la previsione di un futuro per la famosa cattiva maestra popperiana sempre più rozzo e superficiale.
Gli odierni programmi del palinsesto televisivo che promuovono le bruttezze del genere umano, premiano l’ignoranza e focalizzano l’attenzione su novantenni ballerine di pole-dance, non rassomigliano forse ai pinguini lottatori morettiani o la chiromante di Ginger e Fred?
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