Novecento: quando lo sciopero era considerato una prepotenza intollerabile
Screenshot analizza "l'Inno al Socialismo" del maestro Bernardo Bertolucci
“Tanto tempo fa, in un giorno d’inverno nacquero due bambini, così simili nell’aspetto eppur così diversi nell’avvenire. Uno era figlio desideratissimo di una ricca coppia di proprietari terrieri da tanto in attesa dell’erede e l’altro era il più giovane membro di una già foltissima famiglia di umili origini contadine…”
No, state pure tranquilli, non mi sto accingendo a raccontare la storia del principe e del povero di Mark Tawin, ma una vicenda diversa, ugualmente di fantasia, che porta però la firma di ben altro autore. L’opera che vi invito a conoscere è Novecento, un racconto scritto per immagini, inciso su pellicola, imbastito nelle vicende di due uomini nell’arco di tre generazioni, Olmo (il povero) e Alfredo (il ricco), interpretati dai giovani Gérard Depardieu e Robert De Niro.
A differenza del romanzo dello scrittore statunitense, i due protagonisti di Bertolucci non nascono nell’Inghilterra del Cinquecento, ma nell’Italia del 1901, precisamente nel giorno della morte di Giuseppe Verdi, il 27 Gennaio, scelto forse come simbolo in rappresentanza di quei moti rivoluzionari e quelle ideologie artefici dell’unione del nostro paese, presto andate a morire.
L’intenzione con cui il regista emiliano impregna la sua opera non è quella di dimostrare come la vita di ogni essere umano sia condizionata dall’ambiente e dalla famiglia in cui viene al mondo, come invece fa Tawin, ma diversamente è quella di descrivere attraverso dei tableaux vivants la macro e la micro storia d’Italia, rivolgendo lo sguardo e l’interesse tanto alle vicende nazionali, quelle politiche e belliche, tanto alla quotidianità di singoli individui o di singoli gruppi, mettendo in luce l’esistenza dell’ecosistema agreste, dove il pesce grande (il padrone) mangia il pesce piccolo (il contadino).
Ad attraversare lo schermo nei trecentodieci minuti del film oltre a tanti autentici contadini emiliani che hanno prestato viso e corpo per l’opera di Bertolucci, ci sono grandi attori quali “Il Gattopardo” Burt Lancaster nel ruolo di Berlinghieri, nonno di Alfredo, poi la superba Laura Betti, Alida Valli, Romolo Valli, Stefania Sandrelli,Dominique Sanda, e “Il Casanova felliniano” Donald Shutherland, nel ruolo dello psicopatico cinico e violento Attila, personaggio scelto dal regista per simboleggiare l’arrivo del Fascismo, braccio armato della repressione nei confronti di quelle organizzazioni socialiste sorte in difesa dei lavoratori.
E proprio nel 1976, anno in cui il Partito Socialista Italiano esce drammaticamente dalle elezioni politiche ottenendo gli stessi risultati di quattro anni prima (il punto più basso di sempre mai raggiunto dal PSI) Bernardo Bertolucci presenta fuori concorso al 29° Festival di Cannes un film che si distingue come un Inno al Socialismo, una pellicola nata per partenogenesi dal dipinto di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, che facendo da sfondo ai titoli di testa nei primi secondi del film, viene assorbito nello schermo e diluito per tutto l’arco della vicenda.
L’opera di Bertolucci, come quella di Pellizza, rappresenta lo sciopero dei lavoratori come protesta sociale e simbolo di affermazione di una nuova classe sociale, “il proletariato”, e perciò di una nuova consapevolezza, quella dei propri diritti nei confronti di quei padroni che, ci racconta il regista, hanno tiranneggiato fino al limite delle loro possibilità e che poi nel momento del bisogno hanno seminato, voluto e pagato il fascismo per proteggerli, facendosi così complici di morbose ed inaccettabili atrocità.
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