Intervista a Livia Risi: “Il mio Cinema in pellicole di seta”
Screenshot ci racconta il cinema dal punto di vista di una grande protagonista
Oggi Screenshot ha l’onore di intervistare per voi Livia Risi, una grande stilista romana, la cui arte nasce dal connubio di una nonna sarta ed un nonno regista, il celebre Dino Risi, che tutti conosciamo come uno dei maestri della Commedia all’Italiana, noto per celebri successi internazionali come Poveri ma Belli, Il Vedovo, Il Sorpasso e I Mostri.
Livia gode di un talento speciale, quello di saper convogliare la magia filmica alla pregiata arte sartoriale, facendo delle stoffe, la sua personale pellicola cinematografica, per raccontare storie attraverso gli abiti.
Prima di entrare nel vivo della conversazione, voglio dare l’opportunità a chi ci legge di empatizzare con la mia interlocutrice.
Quindi, dicci qualcosa di te Livia, ma senza sveltarti troppo, lasciamo che il nostro lettore ti scopra a poco a poco.
Naturalmente. Inizierei affermando che grazie al mio lavoro sono riuscita a conoscermi molto di più di quanto pensassi. Da sempre è stato un sogno per me rendere concrete e reali le idee. Un Bisogno che fin da bambina riuscivo a realizzare con le bambole, il Teatrino di legno e svariati personaggi fantastici che inventavo. Quindi ad oggi, guardando attentamente al mio passato posso dire che è sempre stato ben delineato il mio Futuro e quindi il mio Presente .
Bene, cominciamo. Qual’è il filo che lega Livia Risi al mondo del Cinema?
Quello che mi lega a questo mondo, oltre ad essere un filo bello diretto di sangue è anche un nodo molto resistente forte, brillante e Vivo. Dall’incontro di un Papà (Claudio Risi) Regista e una Mamma (Carla Giarè ) Segrataria d’Edizione che avevano uno un padre Regista, mio nonno Dino Risi e l’altra una mamma Sarta, sono nata io ed il gioco è fatto. Crebbi immersa nell’arte e mi appassionai al Cinema inevitabilmente, ma soprattutto perché fin da piccolissima sentivo una forte esigenza di estraniarmi dalla realtà. Perciò ero solita abbandonarmi in storie e avventure, in musiche e immagini che catturassero la mia fantasia, i miei occhi, le mie orecchie e la mia mente. Mi trovavo a ricreare storie e giocare in solitaria così a lungo, che mia madre sempre mi racconta che non mi si sentiva proprio per casa. Passavo ore ad inventare personaggi e cucire vestiti con i pezzi di stoffa che la nonna materna mi lasciava per le bambole. Cosi mi riempivo di fantasie e le rendevo concrete attraverso ago e filo. Da queste basi costruite in età infantile, si è consolidata la mia vena artistica pratica che si esaudisce in tre azioni fondamentali ed imprescindibili: disegnare, realizzare e vedere finita un’idea.
Forse la sartoria è il mestiere che più si avvicina alla settima arte. Il disegno sta alla preproduzione cinematografica, quindi abbiamo prima uno schizzo (il soggetto) poi un bozzetto (la trasposizione), il disegno terminato quindi la realizzazione della cartamodello (la sceneggiatura), poi la scelta delle stoffe (ricerca di attori e location), la realizzazione di tutti i pezzi dell’abito (produzione) e la confezione di questi (montaggio).
Il meccanismo lo avevi sicuramente nel sangue. Perciò ti chiedo: come mai hai preso le distanze dal Cinema, una volta diventata adulta?
Dedicandomi completamente alla sartoria, mi allontanai dal mestiere di famiglia. Certo, si capisce, la sartoria oltre ad essere molto simile nei processi al cinema è anche fin da sempre legatissima a quest’arte, ma i tempi troppo lunghi e le troppe persone che lavorano insieme, l’eccessivo rumore, la confusione, le grida e i continui spostamenti, non facevano per me. Avevo bisogno di una base e nel disegno come nella creazione immediata ho trovato la pace che necessitavo.
Ma tanto per proseguire il paragone della tua domanda, io sono a tutti gli effetti una Director’s Cut (regista) che in senso letterale è traducibile in Direttrice di taglio. Mi fa molto ridere questa connessione perenne col mondo del Cinema, anche tutta la mia musica o i nomi degli abiti sono sempre riconducibili a Film e tutto avviene naturalmente, senza volerlo. In maniera non premeditata, ma inconscia.
Quindi ogni giorno sono la regista, l’attrice, la produttrice e la Sala di Proiezione nel Mio Atelier che da nove anni presenta la mia avventura, Il mio Film.
Sicuramente la presenza della nonna materna e il desiderio di creare storie e personaggi ha influito molto nella tua affermazione professionale, ma la giovane Livia, come e quando ha capito che la realizzazione d’abiti non era più solo un gioco, ma una vocazione?
Forse già prima ne ho parlato un po’. Sono nata con le mani grandi e con la matita tra le dita. Da sempre disegnavo, sia a scuola che a casa, prediligendo costantemente il corpo femminile cosicché anche nei due anni di Liceo Classico che feci, mi ritrovavo a fare caricature di tutte noi compagne durante le ore di latino e greco. Il cambio d’istituto fu necessario a quel punto. Finito il liceo artistico mi dedicai ad un’altra mia passione: la scultura e quindi il Restauro di Pietra. Feci esami tremendi all’Istituto per la Conservazione ed il Restauro, poi mi accorsi della mia eterna lotta interiore nel sottostare a qualcuno. Decisi perciò di ascoltare la pancia e smisi con il restauro. Scoprii L’Accademia di Costume e Moda. Furono anni difficili, immersa in un ambiente che non riuscivo ad identificare, ancora una volta la mia incapacità di subire ordini dall’alto mi portò a desiderare di mollare tutto e crearmi il mio Film personale. Al contrario, la sartoria sapeva appagarmi e rasserenarmi. La concentrazione sacra sopra la macchina da cucire, la gamba che dà il tempo all’ago, la luce che scalda e illumina un pezzo di stoffa che da niente diventerà una storia, un abito, un Sogno. Ancora oggi mi commuove questa Magia.
Ammirando le divine del passato ci si rende conto di come sia drasticamente e drammaticamente cambiato lo stile, il portamento, il linguaggio della Donna, perdendo in raffinatezza e buon gusto. Come mai, secondo te, le donne contemporanee considerano superficialmente la “cura” del corpo, dell’abbigliamento e dei modi?
Non sono d’accordo sul fatto che ci sia uno scarso interesse alla bellezza. Anzi, tanto le donne che gli uomini negli ultimi anni hanno adottato un atteggiamento direi maniacale sull’aspetto e sulla cura del corpo, ma agiscono in una maniera piatta, cioè fanno quello che dicono loro le pubblicità e il marketing. L’errore è grosso. Non c’è una ricerca personale per trovare la propria essenza, la propria eleganza, la propria identità. Facendo decidere gli altri su cosa consumare, indossare e come curarsi ci si allontana molto dalla capacità di giudizio e autocritica e si diventa inevitabilmente superficiali proprio come dicevi poco fa.
In conclusione, se dovessi raccontarci il tuo stile attraverso degli abiti famosi indossati da attrici altrettanto note nelle pellicole più celebri della storia del Cinema, chi sceglieresti?
Abiti che raccontino lo stile…Da qui credo si possa definire bene quello che per me è Donna ovvero Eleganza, Femminilità e Cultura. Uno dei primi film che mi influenzarono fu “Peggy Sue si è Sposata”. Kathleen Turner attraverso un viaggio temporale ritorna a vivere negli anni’50. Mi affascinava il gioco della Donna/Fanciulla. Abiti e acconciature a rappresentare la diversità. “Grease”, fu un’altra influenza, credo per lo stesso motivo. Il passaggio da bambina a donna, dalle gonne larghe col tulle e sottogonna al pantalone di pelle e tacco alto.
In “Quando la Moglie è In Vacanza” Marilyn Monroe rappresenta a mio avviso la massima esplosione del femminile che gioca con l’essere Coquette in eterno. In “Elizabeth”, Cate Blanchett rappresenta la forza, la determinazione, la bellezza estrema esplicitata negli abiti e nel carattere. Storia e Costume Femminile co-protagonisti superbi di un’opera altrettanto meravigliosa. Poi sicuramente lo stile di Milla Jovovich de “Il Quinto Elemento” e di Natalie Portman in “Leon”.
Potrei continuare ancora, ma sarei prolissa. In tutte queste icone descritte vedo la capacità della donna di trasformarsi come una Matrioska. In ognuna di noi, infiniti aspetti attendono solo l’attimo e il momento giusto per poter uscire fuori ed è grazie all’abito che riusciamo a dar voce a questo eterno Gioco delle parti, tutto femminile.
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