La tornata elettorale senigalliese: le elezioni dell’uomo qualunque
Le considerazioni dello Spazio Autogestito Arvultùra
Da questa campagna elettorale siamo stati fuori, volutamente fuori. L’abbiamo osservata da esterni, in silenzio: nessun patto con nessuno. Ogni scadenza elettorale, però è un fatto che non può essere ignorato, perché chi governerà la nostra città riguarda tutti, soprattutto i soggetti politici e/o sociali, anche quelli extra-istituzionali come noi.
Scriviamo, allora, alcune righe su questa tornata elettorale prima che volga al termine, perché sarebbe altrimenti troppo comodo parlarne a giochi fatti.
Pensiamo che quella a cui stiamo assistendo è la campagna elettorale con il dibattito politico più misero che questa città abbia mai avuto. Da una parte il blocco di potere che da sempre amministra questa città e che non fa altro che perpetuare la conservazione di sé stesso e quindi dello status quo; dall’altra il trasversale populismo e l’asfissiante demagogia delle diverse, e divise, opposizioni.
Il sentimento dominante di quest’ultime – non tutte, non tutti, ovviamente – è il rancore, spesso di carattere privato e personale, verso il Pd. Il rancore però non è una categoria politica e proprio per questo spesso è funzionale al potere che si dice di avversare.
Crediamo che a Senigallia con la buffonata delle “persone oltre le ideologie”, si stia verificando esattamente questo, cioè l’idea di considerare il governo cittadino come se si trattasse semplicemente di accordarsi su come riverniciare un muro o tappare qualche buca. Allo stesso tempo, però, leggiamo proposte degne delle migliori puntate di “lascia o raddoppia”. Va bene che per i voti si fa di tutto, ma questa è schizofrenia.
Proporsi così negli anni del patto di stabilità interno significa abdicare alla politica, cioè alla possibilità di cambiare in meglio la qualità del vivere cittadino. Ancora prima, significa rinunciare per ragioni propagandistiche, ad un basilare criterio di responsabilità di fronte ai cittadini; significa prendere palesemente in giro un’intera comunità; significa strumentalizzare le sofferenze e le insicurezze dovute alla crisi economica. Questa non è politica, questa è pubblicità, e il senigalliese è il consumatore al quale vendere un prodotto, per altro di dubbia qualità.
L’altra faccia della medaglia del populismo rancoroso è l’emergere della nuova ideologia del “civismo”, che non esprime altro che la politica dell’uomo qualunque. Onesti cittadini a difesa di una romantica visione della legalità che nella materialità delle cose, però, non è altro che la ragione stessa della “disonestà” del sistema.
Da quante persone in questi anni, abbiamo sentito dire che la politica fa schifo, le istituzioni sono tutte corrotte, i politici sono ladri, la politica non mi interessa e non ci capisco niente? E oggi tutti a fare i politici, senza mai essersi interessati di politica. Metaforicamente parlando, il problema non sono i giocatori, ma le regole del gioco, per cui non sarà una panchina lunga a risollevare le sorti di uno sport in declino. Né servirà trasformare il consiglio comunale in un organo improvvisato di “magistratura inquisitoria” per trovare le soluzioni ai problemi della città o la via al cambiamento.
Per disarticolare e magari battere il sistema Pd, bisogna prima di tutto rovesciare l’ordine del discorso pubblico, mettendo al centro la qualità della vita – le sue necessità, i suoi desideri – e non la denigrazione e il peggioramento di quelle altrui.
La politica si prende in carico il presente per proiettarlo nel futuro, non per perdersi nel passato.
La politica è passione, non rancore; è giustizia collettiva, non vendetta privata.
Parlare della qualità delle nostre vite, vuol dire affrontare il tema dell’impoverimento diffuso, dell’aumento delle famiglie che riescono ad apparecchiare la tavola grazie alla Caritas, del drammatico aumento di sfratti per morosità incolpevole, della mancanza di reddito per disoccupazione o per lavori mal pagati, delle file al centro per l’impiego, della tassazione che strangola il lavoro produttivo, di come mettere in rete economia e cultura agricola con quella marittima, di come immaginare un’azione dei servizi sociali che non sia mero assistenzialismo.
Vuol dire porsi il problema dell’accoglienza di chi è profugo per fame o per guerra, ma anche affrontare i problemi di cui la comunità cittadina discute, dall’opposizione a sibilla alla prospettiva zero-slot, passando per la valorizzazione di tutte quelle esperienze di autogestione e/o di “impresa sociale” che quotidianamente s’impegnano nel campo della cultura, dell’arte, dell’intrattenimento e più in generale di quel mondo associativo di cui Senigallia è straordinariamente ricca.
Infine, vuol dire non utilizzare “l’alluvionato” come una “mascotte”per aumentare l’audience della propria trasmissione elettorale. L’alluvione è questione urbanistica e riguarda come la relazione tra uomo e natura va a definire un territorio. Ecco perché pianificazione e sviluppo di una città, ancora una volta, sono questioni politiche e non di mera economia domestica (le buche in strada) e per questo non si affrontano né con la semplice etica dell’onestà, né fomentando moti penali.
Politica, per noi, non vuol dire far finta di accontentare tutti, ma prendere parte, quella della grande maggioranza della cittadinanza contro i pochi privilegiati dell’economia e della politica; e se la diade “sinistra contro destra” può apparire vetusta e si preferisce quella di “basso contro alto”, poco cambia.
Noi siamo e restiamo fuori da questo show elettorale di pessima qualità.
Restiamo autonomi, in basso, a sinistra.
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