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Ceresoni: “buone politiche abitative sono nell’interesse di tutti”

Il candidato alle Regionali incontra i cittadini a Senigallia il 28 e il 29 maggio

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Simone Ceresoni - Altre Marche Sinistra Unita - Elezioni regionali Marche 2015
Autocostruzione

E’ necessario un rilancio nella regione Marche delle politiche abitative. Dobbiamo mettere in campo politiche attive attraverso un piano regionale forte e chiaro di housing sociale che riesca a calarsi nel particolare momento congiunturale del Paese, fatto da ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.


Le nuove politiche socio abitative dovranno essere indirizzate proprio ai meno abbienti, ai disoccupati, ai pensionati al minimo, a chi cerca ma non trova occupazione e reddito, a quel ceto medio che non è più capace di accedere a un mutuo, non ha i titoli per iscriversi alle graduatorie per l’assegnazione di alloggi popolari o a chi sta perdendo la casa, dopo aver perso il lavoro, perché non riesce più a pagare il mutuo che aveva preso tempo addietro.

Ora si parla molto di “invenduto”: cioè di quella grande quantità di abitazioni che, a causa della crisi economica, sta sul mercato senza trovare acquirenti. Ma l’invenduto acquisito dal pubblico non può certo essere la soluzione unica ai problemi. L’edilizia sociale si deve costruire su terreni pubblici a prezzi calmierati e il ricavato deve tornare appunto, al pubblico cioè ai Comuni. I piani devono avere una logica sociale, con distribuzione per quartieri, con servizi che ci devono già essere.

Oggi però la grande disponibilità di invenduto può essere una opportunità. In alcuni casi, dove esistono i criteri di standard di qualità di dimensione e di categoria energetica una acquisizione da parte del pubblico potrebbe essere una risposta, ma al prezzo di costo, quindi senza speculazione, perché la collettività non può pagare alle imprese i costi dovuti alle perdite derivanti dalla crisi.

Meglio ancora sarebbe acquistare nei piccoli centri urbani l’enorme patrimonio abitativo privato disabitato e che sta cadendo a pezzi: i prezzi sarebbero bassi, si recupererebbero, anche demograficamente, i centri minori e si limiterebbe il continuo fenomeno di conurbazione che continua a massacrare la costa e le valli.
Si potrebbe anche usare lo strumento dell’autorecupero: cittadini scelti con graduatorie pubbliche che, sotto la guida di esperti e in collaborazione con imprese locali, recuperano a fini abitativi queste abitazioni oggi vuote e in disuso, scomputando il loro lavoro sul canone di locazione o sul prezzo di acquisto attraverso un patto di futura vendita.
Io credo che questo possa essere nel giro di poco tempo, se lo si vuole veramente, una proposta seria in termini di edilizia popolare.

Non certo quanto è stato avanzato con l’ultimo Piano di Edilizia Residenziale 2014-2016, approvato dal Consiglio Regionale nel dicembre scorso, che è concettualmente, ma anche socialmente, sbagliato. La logica non può essere infatti quella di un intervento di “puro” sostegno alle imprese edili per “ridurre lo stock di alloggi ultimati e invenduti che appesantiscono e condizionano il mercato edilizio e il sistema delle imprese edili”, come recita l’atto regionale.

Il piano di cessioni di alloggi popolari, già deciso dalla giunta Spacca, dovrà servire al rinnovo degli stock abitativi e alla manutenzione dell’esistente. Non vorremmo che si pensi ad una maniera per fare cassa, s-vendendo un patrimonio pagato da tutti i lavoratori attraverso il contributo ex Gescal.
La crisi economica che perdura, gli scoppi delle varie bolle tra cui quella edilizia, non sono figlie di un fato cinico, ha vittime, tante, ben riconoscibili i cui volti vediamo ogni giorno e che molto spesso sono volti di persone a noi care. Ma ha anche dei colpevoli, più nascosti ma ben definiti: tra questi colpevoli ci sono senza dubbio coloro che hanno praticato, promosso e permesso la speculazione edilizia, che ha imperversato per decenni nel nostro paese consumando dissennatamente suolo, risorse, natura, bellezza.

Dopo anni e anni di massimizzazione dei profitti privati non possiamo, non dobbiamo, permettere che ora si proceda alla socializzazione delle perdite. Senza nessuna intenzione punitiva o vendicativa sia chiaro, ma se è vero, come è vero, che all’interno delle regole del mercato esiste il rischio di impresa, non può essere di certo la mano pubblica a correre in soccorso di coloro che per troppo tempo hanno saccheggiato e abbruttito il territorio facendo profitti stratosferici.
E’ ragionevole quindi mettere mano a dei meccanismi che permettano di utilizzare per la collettività le unità abitative invendute, sia quelle che le imprese hanno in sofferenza, ma anche il tanto patrimonio dei nostri centri minori – a volte bellissimo – adesso disabitato e che così non può reggere. Ma che, sempre, abbia le giuste caratteristiche di abitabilità, di consumo energetico e di costo. Se si vuol fare un intervento a favore delle imprese, ben venga: ma non lo si mascheri da aiuto ai meno abbienti per garantirgli un tetto sopra la testa!

L’altra questione, urgente, indifferibile e sottaciuta, è quella di chi una casa ce l’ha (almeno per il fisco): acquistata coi sacrifici di una vita ma che ancora non gli appartiene.

In anni passati, la bolla immobiliare ha gonfiato i prezzi delle case e la facilità di accesso ai mutui per l’acquisto. Molte famiglie, con un lavoro e magari un reddito sufficiente, hanno acquistato la loro prima casa. Oggi, il lavoro non c’è più ma il mutuo da pagare è rimasto. Queste famiglie, da sole non ce la potranno fare, rischiando di perdere tutto ciò che avevano – a volte anche quello che avevano genitori o parenti che hanno garantito per loro – se non interverrà un fondo di solidarietà pubblico.
Se queste persone, oggi disoccupate, non potranno garantire il pagamento dei mutui, si ritroveranno ad aver perso tutto insieme al lavoro: i sacrifici di una vita, ogni risparmio e la casa con ipoteca per l’ottenimento del mutuo. E, oltre alla disperazione, andranno ad ingrossare le fila di chi già attende una casa pubblica. Non è un buon affare per nessuno, neanche per le banche.

Per questo un fondo di sostegno temporaneo per il pagamento del mutuo, da ritornare con gli stessi tempi di corresponsione appena si sarà ritrovato un lavoro, senza gravami di more, interessi, spese legali, procedimenti di sfratto e tutto il calvario ben noto a chi lo vive, è un’operazione in sintonia con l’attuale congiuntura – occupazionale e del mercato abitativo – che abbasserebbe il costo sociale del problema e la qualità della vita di chi, non per sua volontà o colpa, c’è finito dentro.

Questo, insieme alle esperienze che per primi nelle Marche abbiamo progettato – e realizzato – a Senigallia, quali l’autocostruzione del Cesano e il cohousing per anziani di piazza Garibaldi, è la strada da perseguire per un’edilizia sociale per tutti, che tutti possono permettersi e alla quale tutti sono in grado di accedere.

Nei giorni 28 maggio e 29 maggio dalle ore 16 alle ore 18 Simone Ceresoni sarà presso la sua sede elettorale in via Gherardi 18 a Senigallia per incontrare i cittadini.

 

Comitato Ceresoni in Regione
//www.ceresoni.it/

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