India – Marche, andata e ritorno: cronaca di un viaggio speciale -FOTO
Ovvero quando la forza di un’idea e la volontà di uomo realizzano (quasi) l’impossibile
Cosa spinge ogni anno un gruppo estremamente eterogeneo dal punto di vista sociale, geografico ed anagrafico a spingersi in una delle parti più remote e rurali dell’India? Potremmo dire che tutto ha avuto inizio con questa domanda. La prima volta che ho sentito parlare di questa allegra brigata è stato quasi per caso durante un’omelia di Don Paolo Montesi, sacerdote della Diocesi di Senigallia che esercita nelle parrocchie di Casine e Pianello di Ostra.
Raccontava di uno sparuto numero di individui che ogni anno oramai da quasi 5 anni si recava intorno a febbraio in un fazzoletto di terra a sud del paese, precisamente nello Stato del Tamil Nadu. “A fare cosa?” credo sia stata la domanda più che lecita che gli ho posto; “A trovare Don Alessandro ed il suo orfanotrofio”. Don Alexander Mariadas Ravindran, 48 anni, è un sacerdote indiano che, dopo aver peregrinato in Italia in diverse parrocchie, è tornato nel suo paese e, grazie alle offerte accumulate e custodite, è riuscito a realizzare il suo sogno: togliere i bambini dalla strada e costruire una struttura che li potesse accogliere e che potesse dare loro un’educazione.
La storia ha iniziato ad incuriosirmi: a marzo 2014 si presenta l’occasione per conoscere questo curioso personaggio che ogni anno funge da calamita per questa ‘migrazione’. Don Alex prende parte ad un incontro a Castelleone di Suasa dove i ‘reduci’ italiani dell’ultima spedizione indiana raccontano le loro memorie e la loro esperienza; in tutta franchezza a colpirmi non è questo sacerdote dalla pelle color ebano, gli occhi brillanti e l’aspetto mite, ma il modo in cui la gente lo osserva, come le persone gli gravitano attorno.
E così, là, i presenti riferiscono la loro esperienza e fanno un sunto di cosa Don Alex da quando è partito dall’Italia è stato capace di realizzare: nel 2007 venne gettata la prima pietra della BBL Home, al secolo Beato Bartolo Longo, l’orfanotrofio che raccoglie i ragazzini che nessuno vuole; stiamo parlando di una struttura di circa 200 metri quadri su due piani circondata approssimativamente da 7 ettari di terreno coltivabile e costruita dove prima c’erano solo sterpaglia e terreno palustre. Non male insomma, ma Don Alex non è soddisfatto: i bimbi, circa 30, sono sì finalmente tolti dalla strada ma ora hanno bisogno di costruirsi un futuro che deve passare per forza per la strettoia dell’istruzione. I ragazzi iniziano a frequentare la scuola pubblica più vicina ma i risultati latitano: i bimbi finiscono quasi sempre in castigo, ai margini. “I ragazzi sono molto svegli, intuitivi, perché finiscono sempre in castigo?” si chiede Don Alex.
L’unica risposta che si da è la più ovvia: le caste sono state abolite solo a livello legislativo; è chiaro che questi ragazzi nella scuola pubblica non avranno mai le stesse possibilità di chi ha avuto la fortuna di nascere a qualche gradino sociale più alto. L’ometto dagli occhi brillanti e dai modi miti non si perde troppo d’animo: “se quella scuola non fa per loro, allora ne costruiremo una nuova per loro”. Detto fatto: passano altri due anni, nuovi fondi, nuove offerte raccolte euro dopo euro, uno sopra l’altro e via che a 40 minuti dalla BBL nasce una scuola che non solo raccoglierà i 30 ragazzi venuti dalla strada, ma nel giro di poco diventerà il punto di riferimento a livello d’istruzione, una scuola all’avanguardia che insegna l’inglese, vero unico lascia passare per un futuro migliore, munita anche di due pulmini usati per passare a prendere tutti gli studenti.
Tutto molto bello insomma, però a me il dubbio rimane. “Sarà vero?” La storia sembrava il nuovo spot dell’’ottopermille’: possibile che le cose siano andate veramente così? Mi chiedono se voglio scrivere questa storia. Mi prendo qualche giorno per pensarci poi desisto – “lo voglio vedere con i miei occhi” – mi dico. E così faccio. Riallaccio i contatti con Don Paolo e con un altro individuo che rappresenta l’alter ego di Don Alex in Italia: Pietro Gazzella, uomo di riferimento delle spedizioni indiane ed uno dei pilastri sui cui nel corso degli anni si è formato e fortificato questo filo invisibile che lega le Marche all’India.
Fatto sta che dopo poco meno di un anno, è il febbraio 2015, atterro all’aeroporto di Chennai: il gruppo è veramente eterogeneo; il range di età va dai 30 agli 85 anni; gente di Ostra, Senigallia, Osimo, Falconara, Catania e via discorrendo. Con un pulmino attraversiamo a passo breve tutto lo Stato: la BBL si trova a circa 8 ore. L’India che si presenta fuori dai finestrini è distante anni luce dagli stereotipi da cartolina, niente tempi o santoni; povertà e miseria, immondizia e vacche ma anche tantissimi sorrisi che aumentano man mano che ci si inoltra nella parte più vera del paese, quella rurale. Dopo un viaggio pressoché infinito si arriva finalmente dai ragazzi di Don Alex: ci aspettano
sorridenti con delle collane di fiori: per loro è Natale, Pasqua e Ferragosto tutte insieme, il periodo più atteso dell’anno da 5 anni a questa parte. I ragazzini vanno dai 3 ai 12 anni circa, quasi tutti scalzi: con il loro inglese ancora un po’ stentato ci danno il benvenuto.
La loro infanzia è distante migliaia di anni dalla nostra: sveglia alle 6, pulizie domestiche, accudire gli animali da cortile, scuola, e poi uno svago fatto di corse in sella a bici sgangherate, pallavolo, tuffi in quella che loro chiamano piscina che altro non è che la pozza che raccoglie l’acqua piovana con cui irrigano i campi, e arrampicate sulle palme per prendere i cocchi. Descrivere il calore umano, i sorrisi e l’affetto che in poco tempo si è instaurato non si può in poche righe.
Un aneddoto che può dare la misura dell’umanità messa in campo riguarda la distribuzione dei dolciumi, prelibatezze che
questi ragazzini mangiano solo in occasione della visita annuale da parte dei loro ‘zii’ italiani: uno dei più grandicelli, appena agguantato il suo pezzo di cioccolato, lo spezza e con gesto fulmineo me ne ficca una metà, quella più grande, in bocca; io rimango di
sale, incrocio lo sguardo basito di un altro italiano che mi legge nel pensiero e mi dice “…cioè… questi non hanno un cazzo eppure, lo dividono con noi?!”. Profondamente colpito nelle due settimane faccio domande a ripetizione a Don Alex: mi racconta di come il tutto è stato realizzato grazie alle offerte delle persone che hanno creduto nel suo progetto, di come l’orfanotrofio sia oramai autosufficiente grazie al raccolto di riso e di come la scuola riesca già a camminare con le sue gambe, grazie alle piccole rette che i ragazzi che hanno una famiglia pagano.
Che altro aggiungere? Posso dire che finalmente questa storia l’ho raccontata e che potremmo riassumerla con la frase: “La forza di un’idea e la volontà di uomo hanno realizzato l’impossibile”, ma se qualcuno mi chiedesse “Allora era tutto vero?”, anche se di impeto mi verrebbe da dire “Si, anzi, è molto, ma molto di più”, mi sono ripromesso di sorridere e dirgli “Prima o poi vacci e vedilo con i tuoi occhi”.
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