Senigallia, Perini e Francesconi sull’eutanasia
"E' la vittoria della disperazione e della 'cultura dello scarto' sulla dignità di ogni essere umano"
L’illustre sociologo Zigmun Baumann, descrivendo il disagio della post modernità, definisce l’eutanasia e la cultura che la sostiene alla stregua di frutto avvelenato di una sorta di hybris occidentale, del disperato tentativo di voler sopprimere e nascondere la fine della vita, ovvero la morte, cercando allo stesso tempo di padroneggiarla, ovviamente invano.
Come non essere d’accordo con tale analisi? L’uomo, da qualche tempo a questa parte, soprattutto nell’opulento e, nonostante questo, insoddisfatto mondo “civile” occidentale, sembra aver completamente perso la bussola della verità e della propria reale condizione umana e, orientato sempre più a conquistare ricchezza materiale e a raggiungere il mito del “benessere” psico-fisico, insieme al malcelato miraggio di una (impossibile) eterna giovinezza, si auto – illude di poter superare ogni limite e governare ogni situazione che lo riguarda, compresa la ineludibile morte.
I grandi progressi ottenuti in campo medico – scientifico nella diagnosi e cura delle patologie e/o disabilità anche gravissime hanno determinato la situazione paradossale che oggi è cresciuta di molto l’aspettativa di vita in generale e, in particolare, anche di quei pazienti che in passato avrebbero avuto certamente un epilogo molto veloce della loro storia clinica.
Ebbene tale situazione, che da un lato viene salutata con favore dall’opinione pubblica, in quanto obiettivamente positiva, dall’altro pone nuovi e seri interrogativi dovuti al fatto che l’allungamento della vita e la possibilità di vivere anche in condizioni di malattia e/o disabilità grave e gravissima (si pensi ad esempio agli stati cd. vegetativi prolungati) hanno mostrato nella loro radicalità la profonda ed essenziale fragilità dell’uomo, non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche e soprattutto psicologico, etico-morale e relazionale. Chi ha un malato grave o terminale in casa conosce molto bene questa fragilità, perché la sperimenta ogni giorno, spesso in solitudine o, quando va bene con il sostegno di parenti o amici oppure di associazioni di volontariato, data la colpevole e ingiustificabile latitanza delle Istituzioni.
A ben vedere, l’interrogativo di fondo che ne scaturisce non può che riguardare la dignità e il valore della vita umana in queste situazioni di estrema e dolorosa fragilità.
L’ideologia pro-eutanasia risponde, a quanto pare, in modo negativo. Infatti, utilizzando un linguaggio volutamente ambiguo e strumentalizzando, attraverso un oculato e mirato uso dei media, situazioni concrete di sofferenza umana al solo fine di far leva sul lato emotivo/emozionale del pubblico, tenta in ogni modo di promuovere tale istanza, facendo passare per la strada di un falso pietismo quella che è solo l’incapacità o la non volontà di farsi veramente carico dell’altro che soffre, di com-patirlo nel senso etimologico del termine, ovvero di accompagnarlo e sostenerlo fianco a fianco nel cammino di sofferenza che sta vivendo.
Una tale incapacità di aiuto e di sostegno (che nasconde forse una non volontà di) riguarda e comprende non solo la persona che si trova in condizione di malattia terminale o di malattia progressivamente invalidante, di grave o gravissima disabilità, di stato vegetativo, ma anche la famiglia del malato e/o disabile, che certamente soffre nel vedere il proprio caro in quelle condizioni e sperimenta sulla propria pelle la reale difficoltà dell’affrontare la situazione, dal momento che solitamente, oltre al forte disagio di ordine psicologico, affettivo e relazionale, vi sono pesanti ricadute anche di tipo economico, a causa degli, spesso ingenti, costi necessari per garantire cure e assistenza ai malati.
A sostegno e a giustificazione della cultura eutanasica di fronte all’opinione pubblica si rivendica un presunto e malinteso principio di autonomia del soggetto, il quale avrebbe diritto di disporre in maniera assoluta della propria vita, insieme all’idea della insopportabilità e inutilità del dolore che può talora accompagnare la morte a fronte di una considerazione della vita umana ritenuta degna di essere vissuta a condizione che sia sana, efficiente e utile.
Noi siamo a favore della vita! Noi intendiamo promuovere e difendere la vita in ogni sua fase e indipendentemente dalle condizioni di sanità o malattia in cui si svolge, perché la vita è un bene assoluto e indisponibile dell’uomo. La vita è sacra, sempre! Per poterlo affermare, basta fare uso non strumentale della retta ragione. La stessa Costituzione italiana tutela la salute, e a fortiori la vita, come fondamentale diritto dell’individuo (sic art. 32 Cost.), tant’è vero che nessuno può essere costretto ad un determinato trattamento sanitario che non sia finalizzato a tutelare la salute e la stessa sopravvivenza della persona.
Il pensiero dominante e mediaticamente prevalente vuol proporre a volte una falsa compassione: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto (tacendone però le drammatiche conseguenze di ordine fisico e psicologico che si porterà dietro probabilmente tutta la vita!), una conquista scientifica “produrre” un figlio anche con la cooperazione di una molteplicità di soggetti, quale bene dovuto da pretendere a tutti i costi, invece di accoglierlo come dono, usare vite umane (quali sono le cellule staminali embrionali) come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre, o – è questo il caso che ci interessa in questa sede – un atto di dignità procurare l’eutanasia.
Noi siamo convinti che un atto degno sia riconoscere la piena e immodificabile dignità della vita umana, in ogni condizione essa si trovi, quindi anche del malato gravissimo, terminale, del disabile gravissimo, di chi deve affrontare il doloroso calvario di malattie degenerative e non guaribili. Ricordiamo che il malato, l’infermo o il disabile anche laddove non possa sperare in un percorso di guarigione fisica, può essere comunque sempre curato, accudito e amato!
Certamente oggi più che in passato si sente maggiormente il peso di queste dolorose situazioni, spesso vissute dai diretti interessati in solitudine, anche a causa della sempre più frequente disgregazione delle famiglie, dovuta alla mancanza pressoché totale di politiche di sostegno familiare, nonché ai continui attacchi e alla svalutazione mediatica che la famiglia naturale fondata sul matrimonio si trova attualmente a dover subire, con la drammatica conseguenza che le persone si ritrovano senza validi punti di riferimento e sperimentano situazioni di povertà nuove e di solitudini prima sconosciute, in un mondo in cui comunque la solidità della rete familiare favoriva un clima di concreta e fattiva solidarietà capace di sanare molti problemi. E’ evidente, dunque, che indebolire la famiglia, luogo privilegiato delle relazioni umane e dell’amore gratuito, significa anche colpire le persone maggiormente fragili come i malati.
Passando al vaglio le motivazioni accampate a sostegno della legittimazione dell’eutanasia non si può non rilevare che il dolore dei pazienti, di cui si parla e su cui si vuol fondare una specie di giustificazione dell’eutanasia e/o del suicidio assistito, è oggi più che mai un dolore affrontabile e curabile con le cure cd. palliative proporzionate al dolore medesimo che, insieme ad una adeguata assistenza, può essere attenuato e confortato da una fattiva solidarietà da declinarsi a tutti i livelli del vivere sociale, a partire dal sostegno umano ed economico alle famiglie dei malati, che devono essere accompagnate e aiutate in queste difficili situazioni.
A ben vedere, i tanto invocati principi di autonomia e di libertà individuali, che per la cultura eutanasica dovrebbe avere contenuto illimitato, non possono certo giustificare la soppressione della vita propria o altrui: invero, l’autonomia personale ha quale presupposto essenziale l’essere vivi e fa appello alla responsabilità della persona, che è sempre libera di fare il bene secondo verità (non c’è libertà senza verità). Sopprimere la vita significa abbattere le radici stesse della libertà e dell’autonomia della persona.
Quando una società arriva al punto di legittimare la soppressione dell’individuo (indipendentemente dalle condizioni in cui si trovi o da quale sia il grado di compromissione della sua salute) rinnega la sua finalità e il fondamento stesso del suo esistere, aprendo la strada a sempre più gravi iniquità.
Per non parlare poi del rilevante fatto che la pretesa di legittimazione dell’eutanasia richiederebbe e, fors’anche imporrebbe, al medico una prestazione contraria ai principi ispiratori della stessa professione medica, oltre che ai positivi canoni deontologici, in forza dei quali il medico, è chiamato sempre a “perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona … non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte” (cfr. nuovo Giuramento professionale dei medici, già Giuramento di Ippocrate) non già a procurargli la morte anche se richiesto. Naturalmente, questo non significa che il medico debba o possa imporre alla persona trattamenti sproporzionati, irragionevoli e financo dannosi o dolorosi per fare fronte a patologie in istato conclamatamene terminale.
Infatti, in coerenza all’essere contro l’eutanasia, siamo anche contro l’accanimento terapeutico, giacché deve ritenersi lecito sospendere terapie che non si rivelano utili, ma che creano solo ulteriori pesanti sofferenze. Va doverosamente precisato, a scanso di equivoci, che la semplice idratazione e alimentazione, anche con l’ausilio di strumenti medicali, non può considerarsi quale terapia medica, significando invece garantire il minimo vitale ad una persona. Invero, l’accanimento terapeutico si concretizza nel tentativo di voler contrastare a tutti i costi un destino che è ormai ineluttabile e contro il quale vengono messi in atto dei mezzi che, per quanto estremamente gravosi per il paziente, non risulterebbero comunque utili allo scopo e che, di norma, il buon senso clinico e il senso di umanità evitano. Diverso dall’accanimento terapeutico è l’accompagnamento del paziente, che non ha niente a che fare né con l’eutanasia né con il cosiddetto “abbandono” terapeutico, ma consiste nel normale prendersi cura del paziente, anche attraverso la medicina palliativa, ed è cosa ben diversa tanto dalle condotte eutanasiche quanto da una vera e propria sottrazione di cure.
In relazione al discorso su libertà e autodeterminazione, si rileva che – come spesso dimostrano gli studi e le inchieste svolte tra i malati e i loro familiari – eventuali richieste di morte da parte di persone gravemente sofferenti e in difficoltà di vario tipo (anche umano e familiare, vista la mancanza di adeguati sostegni da parte delle strutture a ciò deputate) quasi sempre costituiscono la drammatica traduzione di una richiesta di cure appropriate, nonché di aiuto e di maggior vicinanza umana, di non essere lasciati soli di fronte alla sofferenza, elementi che talvolta vengono a mancare negli ospedali. Spesso queste persone cadono in una vera e propria depressione che non è direttamente parte della patologia da cui sono affette, ma che incide pesantemente sulla loro condizione. E’ lì che occorre intervenire con forme concrete di sostegno umano, morale e materiale, effettivo ed efficace, non già, con un falso pietismo, eliminando il problema attraverso “l’eliminazione” del paziente!
Oltretutto, un conto è la questione relativa a malati in condizioni di incapacità di intendere e di volere, come i malati in stato cd. vegetativo, ai quali vanno garantite tutte le cure disponibili senza renderli soggetti passivi di procedure di accanimento terapeutico.
A tal proposito è opportuno ribadire che idratare e alimentare non è terapia, né tantomeno accanimento terapeutico, trattandosi semplicemente di garantire a chi non è in grado di provvedere da sé il nutrimento necessario a supportare le più elementari funzioni vitali dell’organismo. Eppure tale diritto insopprimibile è stato negato da magistrati statunitensi alla povera Terry Schiavo, o meglio Schindler (tale era il cognome da nubile della donna), che è stata fatta letteralmente morire di fame e di sete dopo che il marito della donna aveva ottenuto di far staccare il tubo dell’alimentazione che garantiva alla moglie la sopravvivenza, ciò nonostante una legge cd. salva-Terry emanata dal Parlamento, l’intervento dello stesso Presidente USA e l’opposizione ferma e costante dei genitori della giovane donna. Ebbene, Terry si è spenta tra atroci sofferenze (altro che dolce morte…) all’età di 41 anni il 31 marzo 2005. In questa svilente pagina della storia umana si è volontariamente procurata la morte in un modo vergognoso ad una persona, anziché consentire ai genitori di prendersene cura, assecondando la volontà, non della paziente, ma di un terzo. Dov’è in questo caso la pietà? Dove sono l’autonomia e la libertà individuali? Quanti altri casi simili potrebbero presentarsi in concreto? Ciascuno ne tragga le debite conclusioni.
Altra ipotesi su cui ragionare: e se, invece, la richiesta di eutanasia provenisse da persone fisicamente sane, ma psicologicamente deboli e afflitte dal cd. “male di vivere” a tal punto da non vedere più il domani della loro esistenza, che fare? A rigor di logica giuridica trattandosi di persone fortemente sofferenti e che hanno perso ogni speranza di vita, allorché lo chiedessero espressamente si dovrebbe concedere la “soluzione eutanasica” anche a loro? Un diniego potrebbe forse essere visto, paradossalmente, come ingiustamente discriminatorio proprio in virtù dei tanto invocati articoli costituzionali di uguaglianza e libertà? Come poi potergli dare torto?
Come si può ben intuire la ideologia pro-eutanasia apre scenari non immediatamente individuabili ma certamente agghiaccianti, per cui sembra valere la logica del cd. piano inclinato, per il quale una volta aperta la strada la pallina scivola, scivola, scivola e non si sa dove si ferma. La verità è che l’eutanasia si pone sempre contro la vita, mai a sostegno di essa e la ideologia eutanasica è assolutamente svalutativa della dignità dell’essere umano.
Come ha affermato il Prof. Gigli dello scorso anno, “Il controllo farmacologico del dolore, lo sviluppo delle cure palliative e le possibilità di sostegno vitale non invasivo ai pazienti cronicamente disabili, come quelli in stato vegetativo prolungato, rendono oggi inutile una scelta eutanasica, se non per portare avanti una visione ideologica dell’autodeterminazione. Ogni intervento in materia dovrà tener conto del nostro triplice no: no di certo all’accanimento terapeutico, ma anche no all’eutanasia e no all’abbandono terapeutico”. Infatti, “oltre che bene dell’individuo, per la Costituzione italiana, oltre che per la nostra visione politica, la vita è anche bene sociale, bene della comunità tutta. A convincerci del contrario non saranno le esperienze negative di alcuni paesi europei e le scorciatoie giudiziarie e amministrative che hanno caratterizzato alcune emblematiche vicende italiane” (cfr. Libero quotidiano on line 18/03/2014).
Altro aspetto da non sottovalutare è il fatto che forse, dietro alcune campagne “pro-eutanasia”, si nascondano questioni di bilancio e di controllo della spesa pubblica, ritenuta insostenibile ed inutile di fronte al prolungarsi di certe malattie e l’odierna cultura dello scarto ha necessità di superare i problemi adottando la via più semplice e meno dispendiosa, anche se si tratta di scartare le persone, si pensi solo agli anziani infermi e non autosufficienti, ai bambini e ai neonati affetti da gravi patologie invalidanti, che in alcune parti del mondo cd. evoluto occidentale (vedi ad es. Belgio e Olanda) si pretenderebbe, per supposte ragioni umanitarie, di poter sottoporre ad eutanasia, per evitare loro una vita di sofferenze e comunque non al massimo della realizzazione “mondana”.
E’ chiaro che siamo completamente in balia di una deriva utilitarista che non risparmia neppure i bambini. Proprio non si comprende come faccia un bambino o un neonato ad esprimere un valido personale consenso! Dunque, quale principio di autonomia si esprime in questi casi?! Ma probabilmente, “il re è nudo” e si preferisce glissare su tali argomenti che possono indurre l’opinione pubblica a ragionare seriamente su un tema di “vitale importanza”! Vogliamo soltanto ricordare che l’eutanasia infantile fu un capitolo mostruoso dell’eugenetica nazista, estesa a una gamma infinita di disabilità, deformità, debolezze, inferiorità in quanto VERGOGNOSAMENTE considerate “vite indegne di essere vissute”.
Stessa valutazione negativa va espressa, coerentemente, anche nei confronti dell’introduzione nel nostro Ordinamento del cd. testamento biologico, il quale, detto con le parole, chiare e incisive, pronunciate sull’argomento da una oramai gravemente malata Oriana Fallaci, “È una buffonata. Perché nessuno può predire come si comporterà dinanzi alla morte. Inutile fare gli eroi antelitteram, annunciare che dinanzi al plotone di esecuzione sputerai addosso ai tuoi carnefici come Fabrizio Quattrocchi. Inutile dichiarare che in un caso simile a quello di Terry vorrai staccare-la-spina, morire stoicamente come Socrate che beve la cicuta. L’istinto di sopravvivenza è incontenibile, incontrollabile… E se nel testamento biologico scrivi che in caso di grave infermità vuoi morire ma al momento di guardare la Morte in faccia cambi idea? Se a quel punto t’accorgi che la vita è bella anche quando è brutta, e piuttosto che rinunciarvi preferisci vivere col tubo infilato nell’ombelico ma non sei più in grado di dirlo?».
In effetti, le dichiarazioni anticipate di fine vita (altra definizione in voga nelle PDL depositate in Parlamento) recano con sé un problema enorme e irrisolto, perché inducono la persona a cristallizzare in un documento scritto una volontà che sappiamo tutti è volubile e che cambia spesso a seconda del momento che si vive e che può mutare fino all’ultimo istante di vita, con il rischio che si dia attuazione ad una volontà non più attuale, ma che il soggetto non è più in grado di modificare pur volendolo.
Per tutto quanto sopra espresso e motivato diciamo NO a questo ordine del giorno, in quanto finalizzato a sostenere l’ideologia eutanasica, in palese contrasto con la tutela del preminente diritto alla vita e con la dignità di ogni essere umano, senza distinzioni di sorta.
di Maurizio Perini e Francesca Francesconi
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