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‘Io so chi sono’, gli Afterhours raccontano la ricerca dell’identità: l’Intervista

La band che farà tappa a Senigallia, racconta l’esperienza nei teatri e non solo

Afterhours

Dire che gli Afterhours da più di un decennio sono la punta di diamante della musica rock italiana è oramai una realtà di fatto. Si potrebbe discutere sul ‘perché’; in tanti sciolinerebbero le molte gemme preziose di cui è disseminata la loro storia musicale,basta citare il totemHai paura del buio?’ ma secondo chi scrive il motivo della grandezza di questa band sta nella capacità ogni volta di fare tabula rasa con i loro lavori precedenti, una continua ricerca che li ha portati a resettarsi sempre senza nessun timore reverenziale verso i lavori precedenti. ‘Liberi’ dalle richieste del pubblico spesso poco incline al ‘nuovo’ ed alla trasformazione ed essere allo stesso tempo sempre fedeli a sé stessi. Abbiamo intervistato Rodrigo D’Erasmo, storico musicista della band, prima della loro tappa di ‘Io so chi sono’ al Teatro La Fenice di Senigallia in programma sabato 28 febbraio: ecco l’intervista.

Che significato ha per voi questo tour nei teatri italiani, una dimensione ben diversa rispetto ai palchi rock che siete abituati a calcare?

E’ innanzitutto un’opportunità per sperimentare un tipo di tensione diversa da quella del concerto rock, un’esperienza fatta di tempi dilatati, pause e silenzi dove si tende a lavorare molto più sul ‘concept’ e dove si crea con il pubblico un’empatia del tutto diversa; la situazione fa sì che il pubblico sia predisposto a ‘ricevere’ la musica in maniera più profonda e cosciente, come dicevo, i tempi e la percezione si dilatano; lo stesso essere seduti predispone ad una certa riflessione ed iterazione che nel classico live non si ha per ovvi motivi di tempistiche e d’impatto. Poi suonare in cornici come i teatri che abbiamo visitato in questo tour, dei veri e propri gioielli, ti permette di sviluppare maggiormente anche altri elementi, come la scenografia e le luci, dando vita ad un’opera che esula dal ‘classico concerto’. Non ti nego che se dovessi già tracciare un bilancio di ‘Io so chi sono’ potrei dire che sta andando perfino al di là delle nostre

“Io so chi sono”: un titolo evocativo. Cosa vogliono raccontare gli Afterhours con questo tour?

L’identità, è questo il tema su cui ruota tutto; c’è una continuità con ‘Padania’, quest’album al riguardo è stato un faro che ha tracciato una via per noi nuova ed ha sancito la volontà di trattare un certo tipo di introspezione in maniera per certi versi nuova; un lavoro di ‘trasformazione’, che racconta i cambiamenti dal punto di vista sociale e politico, ma soprattutto intimo e personale; io ho 38 anni, i membri più grandi della band circa 48, è un periodo della vita che, ancora più di altri, ti mette di fronte per certi versi ad una necessità di trasformazione, di mutamento. Una ricerca che in questo caso viene fatta insieme al pubblico.

Parlavamo di ricerca d’identità e trasformazioni: come si collocano in questa chiave gli avvicendamenti e gli addii di componenti ‘storici’ come Prette e Ciccarelli?

Credo siano trasformazioni del tutto fisiologiche soprattutto in gruppi così longevi: quando si passa tanto tempo insieme, si percorrono strade e progetti e, ad un certo momento, credo possa nascere la volontà di andare in direzione diverse; alcuni cicli si chiudono e altri se ne aprono, spesso anche in maniera del tutto naturale. Anzi, questo cambiamento rispecchia la volontà di mutamento e di ricerca che da sempre ha caratterizzato gli Afterhours; non voglio fare nomi ma alcuni gruppi italiani, altrettanto longevi come noi, nel corso degli anni si sono fossilizzati in quelle idee che hanno trovato un certo riscontro. Gli Afterhours continuano ad evolversi anche grazie all’avvicendamento: in questo ‘lungo cammino’ chi si è aggiunto porta nuova linfa che alimenta questo fuoco. Per noi in definitiva è non solo fisiologico ma diventa un’opportunità; sia per chi rimane sia per chi sceglie altre strade. Questi ‘addii’ rimangono molto più indigesti spesso al pubblico che si affeziona ai nomi ed ai volti ‘come alla figurine’: invece bisognerebbe sempre provare e accogliere il nuovo con fiducia e senza pregiudizi. Il pregiudizio è l’anti-arte per antonomasia.

A proposito di ‘percorsi’, avete concluso l’anno scorso il tour in cui avete riproposto nei club di tutta Italia ‘Hai paura del buio?’ Qual è stato il bilancio?

E’ stata un’esperienza bellissima che è andata anche in qualcosa, al di là delle nostre aspettative anche perché si è discostata rispetto a quello che è il nostro modo di fare. ‘Hai paura del buio?’ è stato un album troppo idolatrato dall’esterno e troppo poco da noi che non siamo molto inclini all’autocelebrazione. Per una volta abbiamo voluto fare un’eccezione; non abbiamo scelto una qualche data speciale, non c’erano anniversari o simili (ndr: l’album uscì nel 1997), semplicemente ci siamo divertiti molto nel risuonarlo nei club e nel ‘reloaded’ dove ci siamo concessi un’altra eccezione: quella delle collaborazioni esterne. Solitamente siamo molto gelosi del nostro lavoro e tendiamo a chiuderci in noi nel momento ‘creativo’; in questa nuova edizione dell’album ci siamo tolti lo sfizio di ricantare i brani con altri artisti del panorama nazionale che stimiamo o riteniamo affini al nostro percorso e poi è stato un modo anche per ‘esorcizzare’ questo  album e levarcelo un po’ dalle palle. ‘Hai paura del buio?’ contiene almeno 5/6 pezzi importantissimi che, volente o nolente, ci siamo trovati a riproporre durante i live della nostra carriera; ora, dopo un anno passato a suonare quasi solo quell’album, per un po’, lo lasceremo riposare. Per intenderci: non è un caso che in ‘Io so chi sono’ non sia presente nessun vecchio brano in scaletta.

Tra i vostri meriti c’è stato sempre anche quello di cercare di promuovere la musica indipendente italiana e le nuove realtà musicali: penso a Tora Tora! , ‘Il paese è reale’ o anche al più recente ‘Hai paura del buio?’… qual è la situazione dell’attuale panorama musicale ? Vedi qualcosa di interessante?

A livello di potenzialità e di qualità c’è veramente tanta roba; è un momento però represso, manca il coraggio, la personalità. Credo ci sia un po’ di confusione nel ricercare il percorso giusto: si tende a rimanere schiavi della domanda “come faccio a tramutare la musica nel mio mestiere”? Questo porta a farli involvere in semplici fenomeni momentanei che tendono a fare il compitino senza sbavature, preferiscono rimanere nei percorsi già battuti, quando invece ci sarebbe bisogno di osare e saltare le staccionate ed i paletti; è questa la differenza sostanziale tra le tante realtà di oggi ed un ‘puro sangue’ che forse al momento manca. C’è anche da dire che purtroppo in Italia, rispetto ad altre realtà, manca un’educazione musicale e c’è un abisso al momento inconciliabile tra la cosiddetta ‘musica alta’ e quella ‘non alta’; da una parte i conservatori, mondo in cui la preparazione è altissima ma fossilizzata su certi schemi e soprattutto chiusa in sé stessa, dall’altra la musica di tutti gli altri generi che pecca a volte di un’adeguata preparazione; sarebbe auspicabile che questi due mondi fossero un po’ meno distanti e arrivassero a contaminarsi a vicenda.

“Io so chi sono” sta per terminare, cosa si prospetta per il futuro immediato degli Afterhours?

Il prossimo impegno ci vedrà a Maggio a Reggio Emilia poi, con ogni probabilità, ci chiuderemo in studio per cercare di dare forma alle idee che abbiamo abbozzato negli ultimi mesi. Impossibile dire che identità avrà il prossimo album dal punto di vista sonoro e concettuale.

 

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