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Intervista a Christian Tasso, vincitore del premio “Io Fotoreporter 2013”

"Fare reportage è questione di approfondimento e avvicinamento"

Alla vigilia della premiazione del Premio “Io Fotoreporter 2014” che quest’anno è stato assegnato al fotografo senigalliese Andy Massaccesi, Senigallianotizie.it vi propone l’intervista a Christian Tasso, l’autore che con il suo reportage sulle condizioni di vita del popolo Saharawi si è aggiudicato il prestigioso titolo messo in palio dal Musinf nell’ultima edizione.

 

Partiamo dal principio: come nasce la tua passione per la fotografia?

La fotografia è arrivata per caso, ne sono stato travolto senza volerlo quando avevo 14 anni. Si tratta di un fenomeno comune, in molti si appassionano allo strumento fotografico. Ho deciso che sarebbe stata parte integrante della mia vita successivamente: quando ho notato che le mie intenzioni e i miei sogni potevano esser sviluppati attraverso la ricerca di immagini.

Reportage popolo Saharawi Reportage popolo Saharawi Reportage popolo Saharawi

Sei un auto didatta o hai avuto una preparazione più di stampo accademico?

Sono autodidatta, non ho mai frequentato accademie ne corsi, quando ho iniziato a realizzare fotografie ho deciso velocemente il settore nel quale mi volevo specializzare ed ho iniziato a sperimentare, buttandomi a capofitto nella mia ricerca e cercando confronto con professionisti affermati del settore: a loro devo ogni passo che ho fatto, sono stati maestri e amici che mi hanno aiutato sotto tutti gli aspetti della mia vita.  Parlo di Giovanni Marrozzini e del vostro conterraneo Lorenzo Cicconi Massi prima di tutti gli altri. Quando li ho conosciuti stavo realizzando il mio primo lavoro, “L’ultima goccia”, incentrato sulla vita di una famiglia di contadini nella campagna marchigiana. Grazie a loro due ho iniziato a dare un senso a quello che stavo facendo.

Reportage popolo Saharawi Reportage popolo Saharawi Reportage popolo Saharawi

Nei tuoi lavori ti ispiri a qualcuno? Hai delle figure di riferimento nel mondo della fotografia?

Non mi ispiro a nessuno e forse a tutti, conosco molto bene la fotografia di reportage e negli anni ho studiato molto il lavoro dei fotografi più conosciuti nel settore per avere una idea chiara di cosa sia la “narrazione per immagini”. Partendo da quella base ho iniziato vari tentativi di ricerca di un mio stile personale, che ancora non sono finiti e forse non finiranno mai.

Raccontaci come è nato e come si è sviluppato il reportage sulle condizioni di vita del popolo Saharawi, che ti ha permesso di vincere il premio ‘Io fotoreporter 2013’

Il progetto sui Saharawi è nato dal perseguire il mio obiettivo di vita, ero alle prime armi e non ero mai uscito fuori dall’Italia per lavorare su una tematica tanto grande e complessa. Grazie all’associazione Rio de Oro Onlus, che ha creduto in me, sono riuscito a partire per la prima parte del progetto, con la quale mi sono fatto le ossa. Nell’anno successivo, grazie al “grant” di una ONG statunitense che si chiama “The Aftermath Project”, ho realizzato la seconda parte del lavoro, entrando nei territori occupati dalle forze militari marocchine per documentare le dure condizioni di vita dei Saharawi, che subiscono una repressione pesante e continuativa.

Reportage popolo Saharawi Reportage popolo Saharawi Reportage popolo Saharawi

Qual è stato il vissuto più intenso della tua carriera in termini di esperienza fotografica?

Non credo ci sia un momento in particolare, ogni esperienza ha i suoi picchi di emozione, in alto e in basso, e ognuno di essi è influenzato dal momento che si sta vivendo, conservo ricordi differenti di ogni esperienza vissuta: nessuno ha più valore dell’altro e tutti hanno un valore immenso per me.

Una volta fare reportage in giro per il mondo significava essere ‘gli occhi’ di tutte quelle persone che non sarebbero mai riuscite ad arrivare nelle parti più remote del globo… oggi invece in un certo senso le fotografie hanno perso la loro unicità … come è cambiato il modo di lavorare di un fotoreporter?

Credo di non essere la persona più adatta a dare una risposta esaustiva a questa domanda. Ho iniziato a fare questo mestiere quando le cose erano già cambiate e appartengo alla nuova generazione dei fotografi. Per quanto riguarda la mia visione attuale, fare reportage è questione di approfondimento e avvicinamento; è vero, siamo bombardati quotidianamente da migliaia di immagini e ormai nessun posto del mondo è “sconosciuto”, ma la scoperta può rimanere sulla superficie oppure spingersi oltre andando a fondo, ecco, io ho intenzione di andare in profondità. Credo che visitare un posto e fotografarlo sia ormai abbastanza inutile, quasi ogni singolo tratto della terra abitata è stato fotografato molteplici volte e con più visioni, le grandi agenzie hanno archivi con migliaia di immagini differenti dello stesso posto.  Io mi concentro su altro, su ciò che è più difficile vedere, la macchina fotografica è l’ultimo passo di una conoscenza che va ben oltre il semplice viaggio, quando affronto una storia cerco di comprendere più che di fotografare. L’immagine è il riassunto dell’esperienza vissuta, la narrazione visiva della mia ricerca all’interno della vita degli altri; questo approccio richiede il beneficio del tempo, per questo realizzo progetti di medio e lungo termine. Credo che tutti avremo sempre bisogno di conoscere storie per accrescere il nostro immaginario e il nostro modo di vedere la vita, per questo sono ottimista nei confronti della fotografia di reportage, credo bisogni soltanto cambiare il modo di affrontarla, e in molti già lo stanno facendo.

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