Da dove è arrivata l’acqua dell’alluvione? Cementificazione e interventi dissennati
Le associazioni naturalistiche: "Impensabile adottare unica azione per prevenire, serve intervento ampio"
In questi sette mesi che sono passati dall’alluvione si è discusso sulle cause e numerose sono state le proposte per scongiurare il ripetersi di simili episodi. Quando si analizza un fiume lo si deve fare nella sua interezza, ovvero a scala di bacino e non solamente in un singolo tratto, con un approccio di sistema e multidisciplinare: questo perché un corso d’acqua è tutt’altro che un sistema statico e immutabile nel tempo.
Per tutte queste argomentazioni, pensare che possa esistere il rischio zero dalle alluvioni, relativamente al Misa come agli altri fiumi, è un concetto privo di significato.
Si è parlato di evento eccezionale anche se la quantità di pioggia caduta è stata inferiore rispetto agli eventi passati che hanno colpito Senigallia e in altri casi verificatesi in Italia negli ultimi anni.
Tuttavia, in questo ambito, fare paragoni tra corsi d’acqua, contesti ed eventi diversi non assume un valore sempre significativo, data l’unicità di ogni fiume ed ogni evento. Ammesso comunque che si voglia fare un paragone, resta il fatto che l’acqua in centro città toccava i ponti, in campagna ha sormontato gli argini, erodendoli, ed in alcuni punti ne ha causato lo sfondamento.
Il dato oggettivo è che di acqua ce ne era, e tantissima. E allora, da dove è arrivata? Questa è una domanda che in pochi si sono posti.
Negli ultimi 60 anni si è costruito (abitazioni, aree commerciali e artigianali) in zone di pertinenza fluviale, quelle occupate dai corsi d’acqua nel corso delle piene. L’aumento della cementificazione (infrastrutture, sviluppo edile e commerciale) nel bacino del Misa, insieme al cambiamento delle pratiche agricole (sistema di aratura, tipologia di concimazione, eliminazione delle siepi), hanno comportato l’impermeabilizzazione del suolo e l’aumento della velocità dell’acqua che dai versanti giunge al fiume.
Si capisce bene che il problema non può essere addebitato solo alla vegetazione. Va comunque tenuto presente che in passato si sono verificati eventi importanti, anche se per lunghi tratti gli argini venivano “tenuti puliti” dalle piante.
Visti i diversi fattori in gioco sarebbe impensabile, quindi, adottare un’unica azione, ma ragionevole intraprendere un percorso su diversi fronti: dal diradamento della vegetazione lungo il Misa all’allargamento degli attuali argini (vecchi più di 100 anni), dalla delocalizzazione di alcune zone al rispetto delle norme agricole in materia di aratura e occupazione di aree demaniali e alla creazione di aree di laminazione in varie zone dell’asta fluviale.
I fenomeni “estremi” colpiscono ancor più duramente perché agiscono in un contesto reso fragile da interventi troppo spesso dissennati che si sono succeduti negli anni.
Non bisogna dimenticare che parlare di “fiume” significa parlare di ambiente ripariale: questo svolge funzioni ecosistemiche importanti come le azioni di antierosione e di consolidamento degli argini, l’effetto tampone e depurazione delle acque, e, non da ultimo, le fasce riparie costituiscono corridoi ecologici naturali per numerose specie faunistiche e floristiche.
Studio Naturalistico Diatomea
ARCA
WWF Marche
Ornitologi Marche
Per poter commentare l'articolo occorre essere registrati su Senigallia Notizie e autenticarsi con Nome utente e Password
Effettua l'accesso ... oppure Registrati!