Paradisi: “Tassa borbonica per il suolo pubblico”
A Senigallia si paga 5 volte di più che a Sirolo e Fano e 4 volte di più rispetto a Pesaro
Bollettini da capogiro recapitati in questi giorni ai nostri operatori economici. Il Comune più tartassatore delle Marche sta bussando cassa: i nostri commercianti sono chiamati a pagare cifre addirittura borboniche per l’occupazione del suolo pubblico. Somme da far girare la testa e far sbiancare il commercio.
Somme che solo Senigallia pretende in una misura che non dobbiamo esitare a definire addirittura immorale. Parlo della Cosap, questo balzello che l’Amministrazione comunale ha deciso di abbracciare (preferendolo alla Tosap, che è un tributo disciplinato e limitato da norme sovracomunali) per superare i limiti massimi della pretesa impositiva. Insomma: una scelta politica per tosare i nostri commercianti (e non solo).
Per comprendere le dimensioni dello scandalo di questa tassa voluta dalla Angeloni e pluriconfermata da Mangialardi (emblematica la bocciatura della proposta da me presentata di abbassare la tassa), basti fare alcune comparazioni. A Senigallia la tassa per l’occupazione permanente del suolo pubblico costa al cittadino, in centro storico, nei lungomari e nei tratti principali di statale ben 99,87 € al metro quadrato. Un locale con appena 50 metri di spazio occupato per tavoli e sedie paga al Comune 5 mila euro all’anno di tasse. Una bazza che sta strozzando il commercio. A Fano la forbice in centro storico va dai 18,00 euro delle zone meno centrali fino a 27 euro delle zone più centrali.
Lo stesso commerciante senigalliese che dovesse aprire la sua attività in centro a Fano spenderebbe pertanto 1.000 euro all’anno anziché 5 mila. Cinque volte di meno. A Pesaro, si spende quattro volte meno che a Senigallia: la forbice (sempre in centro storico va dai 32,42 euro delle zone meno centrali ai 41,69 delle zone centralissime). A Sirolo il Comune (evidentemente non influenzato da sindrome borbonica) pretende 26,34 euro al metro quadrato. A San Benedetto del Tronto poco più di 40 euro.
E potrei andare avanti. Ma il concetto è chiaro: per Mangialardi e i suoi compagni il commerciante e l’imprenditore (ma dovremmo dire il cittadino in generale) sono pecore da tosare e non da aiutare nello sviluppo. È il vizio dei politicanti di professione che mai una volta hanno vestito i panni del lavoratore autonomo che rischia di tasca propria. Ricordiamolo tutti quando i tartassatori torneranno a chiedere fiducia alla città.
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