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I GD Senigallia sul riconoscimento dei matrimoni omosessuali contratti all’estero

Chantal Bomprezzi: "Stimolo al Parlamento affinché colmi il vuoto legislativo in materia di unioni civili"

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Comì di Cucina
Matrimoni gay, omosessualità, coppie gay

Seguendo le recenti vicende che hanno riguardato la città di Senigallia in merito al dibattito suscitato dalla trascrizione dei matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso, ho notato che a riguardo vige una certa confusione, forse determinata dal fatto che questo tema è carico di implicazioni ideologiche, in particolare su cosa si debba intendere per “famiglia”.

Ora, le ricerche che ho effettuato in materia e la mia formazione giuridica mi portano a dire che altro sia parlare di “matrimonio”, altro sia parlare di “famiglia”.

Per quanto riguarda il primo termine, l’art. 12 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo (CEDU), il quale determina che “Uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto” è stato interpretato dalla Corte Europea corrispondente (in combinato disposto con l’art. 9 della Carta di Nizza, la quale prevede che “il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”) nel senso di riconoscere il diritto al matrimonio anche a persone dello stesso sesso, pur lasciando spazio alle autorità nazionali la possibilità di decidere di garantire o meno questo diritto, permettendo o vietando nel proprio stato siffatte celebrazioni.

In altri termini: la differenza di sesso non può più rappresentare un divieto per gli Stati membri di permettere matrimoni omosessuali, ma si lasciano comunque gli Stati liberi di decidere in merito. Ciò poiché sono ancora marcate le differenze sociali, culturali e giuridiche che caratterizzano le discipline legislative dei Paesi aderenti all’Ue, per cui la Corte non ha ritenuto opportuno sostituirsi ad una decisione che dovrebbe essere nazionale. In Italia ciò è stato interpretato dalla Corte di Cassazione come impossibilità che i matrimoni contratti all’estero tra coppie dello stesso sesso possano produrre gli stessi effetti che dalla nostra legislazione interna sono collegati al matrimonio, posto che da noi ancora il matrimonio è garantito solo tra un uomo e una donna, ma non che per ciò quest’ultimo debba essere considerato inesistente o invalido.

Relativamente al secondo profilo, invece, è bene ricordare come in Italia, coerentemente con la rapida evoluzione sociale che stiamo vivendo, al modello di famiglia tradizionale, cioè quella “fondata sul matrimonio” di cui parla l’art. 29 della Costituzione, si sia affiancato quello di famiglia di fatto, garantita parimenti dalla Costituzione in quanto rientrante tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 della stessa Costituzione. Lo ha ribadito la Corte Costituzionale con un’importante sentenza del 2010, in cui ha precisato che tra le formazioni sociali “è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Come se non bastasse, la Corte Europea per i diritti dell’uomo prima richiamata ha interpretato altri articoli della CEDU (mi riferisco all’art. 8 e all’art. 14, i quali prevedono che ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, senza alcuna distinzione fondata, tra le altre, sul sesso) nel senso che “una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione di vita familiare, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione”.

È evidente, pertanto, che, ad oggi, quando si parla di famiglia non si intenda solo quella costituita da un uomo e una donna uniti in matrimonio, ma anche ogni nucleo sociale di persone legate da vincoli affettivi e di reciproca solidarietà, tra cui rientrano i conviventi, omosessuali o meno che siano. Non è questione di opinioni personali, ma di diritto nazionale e sovranazionale. Ovviamente poi ciascuno è libero di guardare al modello di famiglia che preferisce per sé, ma questo è un altro discorso.

A fronte del diritto costituzionalmente garantito anche per queste famiglie “di ultima generazione” di essere tutelate e considerate giuridicamente rilevanti, manca una legislazione organica ed effettiva per le unioni civili. Una carenza di disciplina che necessita di esser colmata ormai da tempo per attuare nella realtà, e non solo nei principi, ciò che per Costituzione viene considerato un diritto fondamentale, ovvero quello di vivere in una condizione di coppia, senza necessariamente invocare la celebrazione di un vero e proprio matrimonio.

Per questi motivi, a nome dei Giovani Democratici, ritengo che l’approvazione da parte del Comune di Senigallia della trascrizione dei matrimoni omosessuali contratti all’Estero rientri all’interno di una più ampia e condivisibile tendenza portata avanti da altri Comuni italiani come provocazione positiva che funga da stimolo per il Parlamento e il Governo centrale ad intervenire affinché una legislazione unitaria che regolamenti le unioni civili venga promulgata.

Un gesto simbolico e di civiltà.

Chantal Bomprezzi
Vice-segretaria provinciale GD

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