Intervista a Walter Ferro: manifesto alla fotografia personale e intimista – FOTO
"Credo in una fotografia libera, svincolata da ogni paletto"
Prosegue il viaggio tra i fotografi locali che contribuiscono con il loro lavoro a rendere ogni giorno di più Senigallia ‘la città della fotografia’.Sotto la lente d’ingrandimento stavolta Walter Ferro, fotografo ostrense e docente del Musinf che negli ultimi anni ha fatto incetta di premi e riconoscimenti per i suoi progetti fotografici. Allievo del maestro Giacomelli, ha raccolto il testimone di una fotografia fatta di poesia ed intimità rielaborandola con la propria sensibilità ed esperienza. A correlazione dell’intervista un estratto del suo progetto “Storie di Carbonai”.
Quando hai incontrato la fotografia ed hai iniziato a scattare? Ti ricordi la prima volta che hai preso una macchina fotografica in mano?
La fotografia è stata ed è per me una “compagna di vita”; sin da piccolo, c’era sempre una macchina fotografica in casa. Mia zia la usava per ricordare le varie cerimonie, gli eventi, le feste e soprattutto per distrarsi dai ricordi di un brutto incidente ed io mi incuriosivo… ma è più avanti, da grande, che iniziai da prima con appunto quella di mia zia che nel frattempo mi aveva regalato (la classica Comet Bencini), poi con una Kodak istantanea (tipo Polaroid), ma durò poco visto che le pellicole costavano troppo. Poi per anni fotografie ricordo e di famiglia; fu intorno al 1993/94 che la mia “compagna di vita” ritorna prepotentemente alla riscossa: acquistai una Mamiya RZ67 ed una Pentax 67 da affiancare alla mia prima macchina, una Yashica FX; frequentai corsi, seminari e tutti quegli avvenimenti fotografici che si tenevano a Senigallia e dintorni. Conobbi il Maestro Ferruccio Ferroni ed altri grandi fotografi che gravitavano in quegli ambienti. Solo nei primi mesi del 1995 conobbi colui che cambiò e stravolse la mia vita (fotograficamente parlando) ed iniziai anche a frequentarlo, visto che avevamo amici in comune come Stefano Mariani e soprattutto Paolo Mengucci; il Colui è Mario Giacomelli, la poesia, l’umiltà, la genialità in persona e la maestria con la quale ti parlava di fotografia ed di arte in genere perché Lui non era solo “Il fotografo” ma un grande conoscitore d’arte appunto e quindi i ricordi delle sue presenze alle mie mostre che tenevo ad Ostra con i suoi pensieri scritti sul libro delle firme e di quelle domeniche mattina passate insieme a fare a gara chi arrivava prima al Caffè Centrale per pagare la colazione resteranno con me per sempre…
Cos’è per te la fotografia e che significa scattare foto?
Potrei rispondere che è un’ arte visiva; raccontare con la luce, progettare visioni, dare la vita ai sogni, rendere vivi soggetti o semplicemente ricordare ed altro ancora, ma credo di essere più onesto se ti dico che per me è semplicemente una droga. Scattare fotografie in tutta la sua creazione, perchè non è semplicemente il click, nel lasso di tempo che si preme il bottone dietro c’è il pensare, il progettare, il costruire, poi c’è eventualmente il click. Scattare una fotografia significa creare discussioni, stati d’animo, narrare… ecco, mi sento un narratore: ciò significa che un immagine non deve fotocopiare la realtà, semmai reinterpretarla. Naturalmente questa è una mia personalissima opinione: a volte con la fotografia si cerca di dare messaggi, di coinvolgere emotivamente, io cerco di suscitare emozioni, quantomeno a me stesso.
Quando uno scatto può essere definito ‘riuscito’? Cosa distingue una foto bella da una che non lo è?
Uno scatto può essere definito riuscito solo quando semplicemente ha raggiunto lo scopo per cui è stato realizzato. Poi ci sono quegli scatti che “fanno la differenza” ed uno ci può riuscire anche solo pochissime volte nella vita artistica o anche mai. E’ difficile dire “bello o brutto” in una fotografia; essa può non dire niente dal punto di vista scenografico, ma essere molto interessante dal punto di vista comunicativo; al contrario molto scenica, ma poi è poco o niente comunicativa.Se in una immagine manca la scenografia, il contenuto, la luce…. beh allora direi proprio…riprovaci!, magari viene meglio e comunque “il bello il brutto” in fotografia sono aggettivi che non amo molto.
Qual è la tua opinione in merito a ‘l’eterno conflitto’ analogico vs digitale?
La mia opinione è che… non ho una opinione, nel senso che è assolutamente un falso problema; Una fotografia è tale quando è stampata, altrimenti sono solo dei fermo immagine su qualche supporto visivo,… certo, non si possono stampare tutte le fotografie, ma non è detto che si debbano scattare tutte le fotografie, basta fare quelle giuste. Per quanto mi riguarda sono un estimatore della fotografia analogica, ma non sono contrario al digitale; una volta avevamo delle macchine ingombranti con pellicole piane, grandi quanto un foglio A4, poi sono arrivate le più piccole e maneggevoli reflex facendo la felicità dei fotoreporter; una volta si andava a Milano con la carrozza e i cavalli, adesso con una comoda auto: la tecnologia va avanti e bisogna prenderne atto. Per fortuna i musei, le gallerie adesso accettano anche fotografie da supporto digitale purchè stampate in fine-art, l’importante è avere qualcosa da comunicare: il supporto non conta.
Ti ispiri a qualcuno? Quali sono i tuoi autori preferiti?
Pur avendo conosciuto per primo la fotografia di Ferroni e subito poi di Cavalli è la poesia di Giacomelli che ha fatto breccia nella mia visione immaginaria delle cose. Forte delle incitazioni, dei consigli del Maestro che porto sempre con me, continuo la battaglia per il cammino verso la mia strada, quella che chiamo la mia fotografia.
I miei preferiti sono… tutti, perché tutti hanno dato e danno alla fotografia qualche seppur piccola emozione e mi riferisco a quei fotografi illustri sconosciuti che mi capita di vedere in giro per mostre varie; è chiaro, anche io ho i miei miti, coloro che hanno lasciato una impronta indelebile nella storia della fotografia e qui potrei elencarne diversi; ad esempio Alfred Stieglitz per la svolta che diede all’allora giovane fotografia di inizio secolo, Minor White per il suo modo di concepire il significato di fotografare e per l’eterno conflitto fra il suo mondo interiore e l’aspetto esteriore delle cose, Ansel Adams per la sua grande genialità nel riprodurre con la sua tecnica il paesaggio cosi come nessuno prima, Man Ray per la manipolazione la sperimentazione e la creatività lasciando sempre un senso di mistero alle sue opere. Poi ovviamente i Nostri: Giuseppe Cavalli, Ferruccio Ferroni, Nino Migliori che è stato ed è un eterno sperimentatore e ricercatore del linguaggio fotografico… non che il mio scopritore…e poi c’è stato Lui, il Maestro che con la sua poetica la sua genialità mi ha permesso di esplorare un altro mondo che è quello della fotografia immaginaria, interiore, posso solo dire “grazie di esistere, ciao Mario“.
Com’è cambiato, se è cambiato, il tuo modo di rapportarti alla fotografia da quando hai iniziato ad ora?
Come in ogni settore c’è l’evoluzione, ma in fondo non sono molto diverso dagli inizi. Ho lavorato sullo sviluppo e sulla progettazione di un lavoro; la mia è una fotografia personale, intimistica, tipo “Lo Sguardo Dentro”, “Visioni Interiori”, La Forma dell’Ignoto”, “Impronte nella Memoria”, “Ogni ricordo ha un Senso” ed altre, sono tutte foto composte in serie, ma a volte cerco anche forme di reportage raccontando certi eventi come “Storie di Carbonai”, “I Selciatori”, “Il Rezzagliatore”“I Salinari di Cervia” . Cerco di essere sempre me stesso evitando quella fotografia di tendenza, di moda, perché credo in una fotografia libera, svincolata da ogni paletto.
Illustraci come è nato il progetto “Storie di Carbonai” e cosa volevi raccontare?
Il lavoro sui carbonai è nato da una curiosità. Era l’estate del 2003, ero in macchina con un mio amico a fotografare la campagna montana dell’alto Pesarese, quando vidi lungo la strada questi mucchi di legname ben custoditi e un signore che stava mettendo su dei legni; da li iniziai, e feci solo un paio di foto per ricordo, poi una volta a casa mi documentai e tre giorni dopo ero li di nuovo, parlai con il “carbonaio”. Presi contatti e spiegai quello che avevo in mente di fare, ed insieme a due miei amici iniziammo il lavoro che durò per 4 estati di fila.Uscì un lavoro diverso da ognuno di noi che culminò in una mostra a Sassoferrato. Poco tempo fa ho ritrovato dei negativi che credevo di avere perso ed ho stampato altre foto, arricchendo il precedente lavoro. Lo scopo per me non era raccontare il duro operato del carbonaio; era già stato fatto e lo stavano facendo i miei amici a modo loro; io volevo interpretare scenograficamente con modi più intimi le loro gesta, creando degli effetti appunto scenici di grande impatto visivo. Ho scattato fotografie con apparecchi 6×7 tra molte difficoltà per il loro peso e ingombro, ma si era creato un bel clima di amicizia tra noi e i carbonai… il rapporto umano tra chi scatta e chi viene fotografato in questi casi è fondamentale.
Quali sono i tuoi prossimi progetti fotografici?
In questo momento non ho progetti in corso; scatto fotografie in libertà. Ad esempio sono appena tornato da Matera e cerco di completare il lavoro iniziato sempre lì 4 anni fa (anche se completare è una parola grossa), però un progetto l’avrei, ma sarà molto difficile realizzarlo se non impossibile … mi piacerebbe fotografare alle cave di marmo di Carrara.. staremo a vedere!
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