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GD Senigallia: “sentenza Cucchi, una riflessione e due appelli”

I giovani del Partito Democratico: "la vicenda di Stefano non è unica"

Festa dell\'Olio Nuovo 2014 - Scapezzano di Senigallia
Martelletto del giudice, udienza, tribunale

Processo per la morte di Stefano Cucchi: tutti assolti. Medici, infermieri, guardie carcerarie. Assolti tutti e dodici gli imputati. Il fatto non sussiste.


Come Giovani Democratici abbiamo sempre seguito la vicenda e cercato di non farla mai cadere nel dimenticatoio. Tra le iniziative, la più importante, per affluenza di pubblico e per noi come persone, è stata realizzata nel 2012, quando ospitammo Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Anselmo sotto i tendoni estivi della festa del PD di Senigallia.

Non abbiamo ancora le motivazioni della sentenza d’appello. Forse non abbiamo neanche le prove che individuino con esattezza chi ha fatto cosa, come ha chiarito il presidente della Corte a seguito delle accese polemiche.

Però abbiamo un ragazzo morto, con il volto tumefatto e il corpo ridotto a pelle e ossa.
Cosa è successo tra l’arresto e il tragico epilogo? L’assoluzione degli imputati significa forse che la morte di Stefano non grava sulla responsabilità di alcuno? Stefano è morto per cause imprevedibili ed inevitabili? No.

La sentenza di un tribunale, pronunciata nel nome del popolo italiano, va sempre rispettata, sia quando si tratti di condanna sia quando si tratti di assoluzione. Ma bisogna ricordarsi che tale verdetto non è la risposta secca di un ideale chiamato giustizia. Una sentenza è frutto di un accavallarsi di interventi umani: quello del pubblico ministero, del giudice e ancora prima della legge e quindi dei legislatori.

Giustizia e sentenze sono due grandi insiemi che spesso coincidono, ma a volte no. Tutto quello che rimane fuori da questa esatta sovrapposizione ci svela la vera natura della giustizia di Stato: una serie meccanismi e a volte di cortocircuiti che convergono in un vortice, “un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo” per dirla col Gadda. Un vortice che sfocia talvolta in decisioni che di giustizia non hanno nulla. Gli errori e i limiti umani di leggi, tribunali e sentenze, non senza amara ironia, strappano l’umanità dal luogo ideale in cui sempre dovrebbe stare, ovvero a fianco degli ultimi, dei deboli e di chi, sopratutto, è affidato alle mani dello Stato.

Ora la questione passerà alla Cassazione che, auspicabilmente, nei limiti del giudizio di legittimità, potrebbe indicare una via diversa per giudicare l’unico fatto che realmente sussiste: la morte di un ragazzo, il lutto di una famiglia.

Ma a questo punto, piuttosto che suggerire, inappropriatamente (e inutilmente) una soluzione agli organi giudicanti competenti, ritengo più utile (e opportuno) fare un duplice appello.
Il primo appello al legislatore, affinché intervenga con provvedimenti adeguati che definiscano meglio responsabilità e fattispecie delittuose in questi ambiti, un provvedimento per tutti: l’adozione del reato di tortura. Reato da strutturare mettendo su un piatto della bilancia, ovviamente, una colonna portante del diritto penale quale il principio di garantismo, nonché l’intrinseca complessità dell’amministrazione “reale” dell’ordine e della giustizia; ma sopratutto ponendo, sull’altro piatto, la sicurezza e l’incolumità fisico-psichica di chi finisce per trovarsi nelle mani dello Stato. Se l’equilibrio dovesse mancare, per rimanere nella metafora, l’unica caduta tollerabile sarebbe quella verso il secondo piatto.

Ma l’appello più importante è rivolto a tutti i cittadini di questo paese, affinché si comprenda che giustizia e legalità si ottengono prima con l’educazione piuttosto che con la repressione. E quando quest’ultima si rende necessaria, deve essere contenuta da quelli che comunque sono gli insuperabili limiti della dignità umana, i quali, lontani dal rendere inefficaci gli strumenti di sicurezza sociale, costituiscono invero il cuore dello Stato di diritto, l’anima di quella che chiamiamo “società civile”.

Per tenere alta l’attenzione sulla questione, diversi sono in Italia i casi simili alla vicenda di Stefano Cucchi, i Giovani Democratici della provincia di Ancona vi invitano a partecipare, venerdì 21 novembre, alle ore 21.15, presso la sede dei GD di Senigallia in via Cherubini 4, alla proiezione del film “È stato morto un ragazzo” di Filippo Vendemmiati.

Il film ricostruisce la vicenda giudiziaria del caso Aldrovandi e la ricerca coraggiosa dei genitori di Federico, ucciso a Ferrara il 25 settembre 2005 da quattro poliziotti, verso la verità.

I responsabili della morte sono stati condannati in via definitiva dalla corte di cassazione a 3 anni e sei mesi di carcere.

 

da Damiano Priante

Commenti
Solo un commento
maria garbini 2014-11-07 11:09:33
Le sentenze si rispettano......ma.......
Un lungo scritto per dire: Non sempre! ......
Risponde al vero che: 1) la famiglia Cucchi è stata indennizzata dall'ospedale con 1 milione e 330mila? 2) il ragazzo aveva già avuto numerosi ricoveri al pronto soccorso? 3) Esistono alcune foto ante-mortem in cui non si vedono segni del massacro? 4) Era o NO rivenditore oltre che consumatore di sostanze? ....s.n.d.-610
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