Al Musinf lo scrittore Franco Fusco parla del suo incontro con Fosco Maraini
L'Assessore alla Cultura Schiavoni fa partire il progetto di una mostra fotografica
Venerdì sera, 24 ottobre, al Musinf, negli incontri del corso di fotogiornalismo c’è stato l’atteso incontro con lo scrittore Gianfranco Fusco, che ha presentato un suo recente libro, edito da Pendragon, che avuto largo successo nazionale per l’originalità dell’impianto narrativo.
A parlare del libro, oltre all’autore, sono stati il dr. Sergio Vitali ed il prof. Bugatti, direttore del Musinf. A salutare l’avv. Fusco c’erano il fotoreporter Giorgio Pegoli e l’assessore alla cultura Stefano Schiavoni. Molti gli interventi e le domande all’Autore, che è stato lungamente applaudito.
L’assessore Schiavoni, ricordando la collaborazione di Fusco con il famoso fotografo Fosco Maraini, uno dei fondatori dello storico Gruppo fotografico Misa, ha chiesto al Musinf di attivarsi per giungere alla realizzazione di una mostra delle fotografie che erano state raccolte nell’ambito della collaborazione Fusco-Maraini. Come è noto Fosco Maraini si appassionò alla fotografia fin da giovane, tanto che, parlandone, amava segnalare un suo “complesso di Edipo al bromuro d’argento”. Della fotografia agli esordi Maraini apprezzava l’aspetto imitativo.
Un aspetto che considerava alternativo rispetto alle capacità plastiche e figurative del padre, Antonio, noto scultore, di cui Fosco Maraini riconobbe sempre l’influenza almeno nel gusto per la sintesi e l’inquadratura. In campo fotografico Maraini si segnalò ben presto. Infatti nel 1932 espose per la prima volta alla Mostra nazionale di fotografia futurista. Nel 1936 vinse il primo premio nel concorso nazionale Ferrania.
Fu tra i primi ad aderire all’elaborazione teorica di Giuseppe Cavalli per il Gruppo Misa. L’infanzia di Maraini fu caratterizzata dalla molteplicità familiare di abitudini linguistiche e culturali. Importante nella sua prima formazione fu anche l’ambiente anglo-fiorentino frequentato dai genitori. Associatosi al CAI partecipò a gite sci-alpinistiche sull’Appennino tosco-emiliano e poi sulle Dolomiti, dove ebbe occasione di accompagnarsi anche a grandi scalatori come Piaz e Comici. Nel 1934 pubblicò una Guida dell’Abetone per lo sciatore (Firenze 1934). Nel 1932 aveva conosciuto Topazia Alliata di Salaparuta, di passaggio a Firenze, erede di una nobile famiglia siciliana, pittrice e appassionata d’arte, che lo indusse a visitare e conoscere la Sicilia.
Nel 1934 allargò ulteriormente il suo orizzonte nel Mediterraneo e nel vicino Oriente partecipando, come insegnante di inglese dei cadetti dell’Accademia di Livorno, alla crociera del veliero “Amerigo Vespucci”. L’anno successivo, già richiamato alle armi nell’imminenza della guerra in Abissinia sposò Topazia, da cui avrebbe avuto le tre figlie: Dacia (1936), Yuki (1939-95) e Toni (1941). Dopo un breve trasferimento ad Aosta come tenente istruttore degli alpini, tornò a vivere a Firenze e frequentò il corso di laurea in scienze naturali.
Nel gennaio 1937, apprese casualmente che Tucci era in partenza per il Tibet. Scrisse al celebre orientalista, offrendosi come compagno di viaggio con pratica di fotografia. Così partecipò alla spedizione di Tucci diretta nell’Alto Sikkim. Ne nacque il suo primo contatto reale con il Tibet, di cui immediatamente colse e apprezzò i valori naturalistici e le tradizioni culturali. Il rapporto con Tucci non fu facile, con Tucci ma nel complesso, l’esperienza contribuì a convincere il Maraini a dedicarsi definitivamente all’etnologia e allo studio delle culture orientali. Prima di rientrare in Italia, decise di effettuare, da solo, una breve spedizione nell’Himalaya; dalle sue rapide annotazioni trasse poi Dren-Giong. (Appunti d’un viaggio nell’Imàlaia), con proprie fotografie (Firenze 1939).
Tornando in Italia Maraini trovò un soffocante clima politico e dopo essersi laureato in scienze naturali all’Università di Firenze, accettò una borsa di studio per il Giappone offertagli dal Kokusai Gakuyu Kai (Associazione internazionale dello studente), e si trasferì con la famiglia a Sapporo, nell’isola di Hokkaido. Sotto l’influenza delle letture di F. Boas e A.L. Kroeber si proponeva di studiare la cultura e in particolare i miti e i riti religiosi degli Ainu, il popolo “bianco” dalle origini misteriose, che vive nell’isola del Nord del Giappone.
In questa fase collaborò con S. Kodama, medico e antropologo, a sua volta studioso degli Ainu, che affiancò nella cura della prima traduzione in giapponese delle Relazioni del regno di Yezo (Hokkaido), riguardanti i viaggi compiuti nel 1618 e nel 1621 dal gesuita siciliano Girolamo De Angelis. Ricerche e osservazioni dirette del Maraini confluirono nel saggio etnologico Gli iku-bashui degli Ainu, edito, nel 1942, dall’Istituto italiano di cultura di Tokyo. Nello stesso anno il Maraini pubblicò, sempre a Tokyo, una selezione delle foto del viaggio in Tibet con didascalie bilingui in giapponese e in italiano (Lontano Tibet).
Terminata la borsa di studio in Hokkaido, nell’aprile 1941 il Maraini si trasferì a Kyoto come lettore d’italiano nella locale Università. Dopo l’otto settembre 1943, avendo rifiutato, con la moglie, di aderire alla Repubblica sociale italiana, fu internato come “nemico“, insieme con le tre figlie, in un campo di concentramento a Nagoya in cui la famiglia rimase fino alla resa del Giappone (15 agosto 1945). Gli anni della durissima prigionia furono ricordati in Ricordi d’arte e prigionia di Topazia Alliata, a cura della figlia Toni (Palermo 2003) e in La nave per Kobe, diari giapponesi di mia madre dell’altra figlia Dacia (Milano 2001). Lo stesso Maraini ripercorse ripetutamente quel periodo in Segreto Tibet, Ore giapponesi e Case, amori, universi.
Nel Giappone sconfitto e devastato dai bombardamenti, il Maraini trovò lavoro come interprete dell’ottava armata statunitense. Nel maggio 1946 i Maraini iniziarono il lungo viaggio di rientro in Italia; raggiunsero dapprima Firenze, ma decisero poi di trasferirsi a Bagheria, presso Palermo, nella villa degli Alliata.
Dal Giappone il Maraini aveva portato con se vari numerosi oggetti della cultura materiale degli Ainu, che donò al Museo nazionale di antropologia ed etnologia di Firenze, costituendo un apposito fondo (1954). Tornò in Tibet con Tucci e l’esperienza di questo e del precedente viaggio vennero, raccolte in Segreto Tibet. Nel 1953, dopo un breve periodo negli Stati Uniti, per studiare i musei d’arte orientale, il Maraini tornò in Giappone allo scopo di preparare una serie di documentari per la casa di produzioni romana Filmeco, oggi in gran parte andati perduti.
Nel 1954 girò L’isola delle pescatrici, che offre un’immagine inedita della vita e del lavoro delle pescatrici di conchiglie di awabi nella piccola isola di Hékura, nell’arcipelago delle Nanatsu-to, abitata dal popolo degli Ama; alle Ama è dedicato anche il volume illustrato, L’isola delle pescatrici (Bari 1960); poi in Gli ultimi pagani.
Nel 1972 il Maraini tornò a Firenze, dove l’Università gli affidò l’insegnamento di lingua e letteratura giapponese, che tenne fino al 1983 come associato. L’attività di diffusione e di studio della cultura del Giappone, dove soggiornava spesso, continuò anche attraverso l’Associazione italiana per gli studi giapponesi (Aistugia) di cui era stato, nel 1973, fra i fondatori, quindi primo segretario generale, presidente dal 1983, e presidente onorario dal 2000 fino alla morte.
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