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La mafia che “uccide solo d’estate” negli occhi limpidi di un bambino

Screenshot, la rubrica di cinema di Senigallia Notizie, si occupa dell'appassionato esordio di Pif

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locandina "La mafia uccide solo d'estate"

Inconsciamente tutte le persone uccise dalla mafia ti spingono a fare delle scelte. Ed è grazie a loro che le conseguenze di queste scelte oggi non sono più violente. Ad esempio: io ho girato il mio film a Palermo senza pagare il pizzo a nessuno. Se l’ho fatto è grazie a chi è venuto prima di me. La mia è una commedia drammatica per conoscere e non dimenticare un tragico segmento della nostra storia” (Pif).


Finzione ed elementi di repertorio, cronaca nera e commedia, risa e lacrime condite dalla giusta dose di ingenuità e consapevolezza, il tutto mescolato da un’ottima mano d’artista, autore e regista, Pierfrancesco Filiberto (in arte Pif), un pizzico di umorismo e ciò che si ottiene è, come l’ha definita il presidente del senato Pietro Grasso, la miglior opera cinematografica sul tema mafia che sia mai stata fatta.

Migliore non tanto a livello del “cosa” viene raccontato, ma del “come”. Soffermandoci sullo stile adoperato da questo giovane e brillante autore e presentatore televisivo,  noto per aver partecipato a programmi come Le Iene, Il Testimone e aver lavorato come aiuto regista al fianco di Marco Tullio Giordana nel toccante film I cento passi (2000), notiamo che Pif (lo chiameremo così per comodità) ha parlato con leggerezza della mafia, ridendoci sopra, abbozzando caricature dei boss di Cosa Nostra, facendo trapelare la loro ridicolezza e difettosità, tutelato dalla sua essenza di Palermitano doc, e il tutto mostrandoci attraverso gli occhi azzurri di un bambino una città lacerata dalle guerre di mafia ma omertosa fino alla fine, forse per ingenuità, per ignoranza o più probabilmente per istinto di sopravvivenza.

Il linguaggio utilizzato dal neoregista è fruibile con scioltezza poiché identico a quello usufruito in televisione da lui stesso e da molti suoi colleghi che si dilettano nel genere, oggi molto in voga, del reportage indirizzato ad un target giovanile.

Tutta la pellicola ci si presenta così fresca e nuova e allo stesso tempo così familiare, da renderci praticamente impossibile distogliere lo sguardo dallo schermo e ci catapulta, al contrario, in un Italia conosciuta solo per sentito dire in qualche libro e in qualche talk show, è l’Italia del terrorismo, della mafia che fa pulizia tra le personalità scomode, l’Italia degli anni ’80 e ’90 e il protagonista Arturo, proprio come noi, incontra e si affeziona a personalità gentili ma pericolose per la malavita, che poi vede morire ammazzate, distese ad occhi sgranati sul pavimento del solito bar, esplosi da una bomba o trapuntati da colpi di pistola.

Seguendo forse l’esempio del più maturo collega Roberto Benigni, applaudito internazionalmente per l’enorme successo conseguito con La Vita è Bella, anche Pif ha voluto usare la leggerezza e la dolcezza di un bambino per far conoscere un segmento tragico della storia del nostro paese. Ed in fondo, sia l’uno che l’altro film affiancano alla cronaca il tanto osannato e sfruttato cinematograficamente, tema dell’amore.

Tante le personalità ricordate da quest’opera che nasce come monumento alla memoria di molti martiri laici che spesero la vita contro la mafia, ricordiamo per esempio Boris Giuliano, Pio la Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa ed altri ancora, ma come ci racconta Pif, ci vollero le tragiche uccisioni dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per far comprendere al popolo palermitano le reali intenzioni di Cosa Nostra e scendere in piazza a protestare.

Il suo film, così come i genitori nei confronti dei propri figli, ha il compito fondamentale di difendere i suoi spettatori dalla malvagità aiutandoli a riconoscerla e raccontandogli una storia spesso e volentieri taciuta e per questo troppo superficialmente conosciuta.

Perché la mafia, ci tiene a specificare il regista, ha influito sulla vita di tutti gli italiani, non solo sul popolo siciliano.

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