Le “Città (in)visibili” di Mirko Silvestrini in mostra al SenBhotel
L'esposizione sarà visitabile dal 12 al 27 luglio dalle 12.00 alle 24.00
In mostra la SenBhotel le “Città (in)visibili” di Mirko Silvestrini. L’esposizione fotografica sarà visitabile dal 12 al 27 luglio dalle 12.00 alle 24.00.
L’aforisma di Italo Calvino “d’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda” è ormai da tempo il refrain che guida l’autore nelle quotidiane riflessioni e smarrimenti urbani nella deludente Italia, negli opulenti Emirati Arabi, nelle composte rivolte taiwanesi o nella amata Los Angeles.
La mostra è introdotta da un testo a firma di Enzo Carli dal titolo NEGLI SPAZI TRA LE FIGURE
L’immagine è manifesto degli stati d’animo, del grido di disperazione o dei fantasmi del sogno del fotografo nel rapporto quasi organico tra l’oggetto rappresentato e le proprie motivazioni. I pretesti individuati nell’esistenza banale, l’inquietudine, deformata, liberatoria conducono l’operatore ad una stretta simbiosi con quello che intende rappresentare, che converge con l’immagine. Lo sguardo di Mirko Silvestrini è interstiziale, nel congiungimento tra le linee di uno stesso soggetto o di più soggetti cerca il ricorrersi di un motivo, un’armonia psichica, qualcosa di non dissimile dal fascino discreto e ammaliante di certi refrain o messaggi subliminali che agiscono sulle terminazioni nervose in modi nient’affatto imprevedibili, come ben sanno i creativi pubblicitari o chi, come Silvestrini, studia le moderne neuroscienze. Ma cerca anche, il suo sguardo, di suturare lo spazio, saldare gli interstizi con la fucina della luce e del punto di vista, così da decifrare un codice visivo che si allarga intellegibile intorno agli abitanti della città, un muro di superfici congiunte che si dispiega come un contenitore di forme remote. Qualche isolato rettangolo-finestra si apre nero su possibili attività umane, ma il tutto si svolge altrove, suggerito, forse persino ipotizzato, come se non fosse del tutto certo che una qualche forma di vita possa abitare simili scenari. C’è uno strano silenzio luminoso in questi scatti, la promessa di un’assenza che permane e quasi si auspica, una quiete inumana di luoghi disabitati. Matrici di sagome e toni che le nostre sinapsi non riconoscono come oggetti/edifici ma come composizioni astratte, metafisiche, piani di realtà specifica che tuttavia trascende le superfici. Se avvertiamo piacere nell’osservare questi scenari, è un tipo di piacere non mediato o filtrato dalla cognizione, ma quasi il riconoscimento di un dettaglio già visto e perduto sul quale non ci siamo soffermati abbastanza. Queste immagini sembrano far leva su quella parte dell’occhio che vede e registra ogni cosa per poi passare rapidamente oltre: sono il ricordo improvviso di qualcosa che non pensavamo fosse rilevante notare e che lo sguardo del fotografo ha catturato con la precisione e l’indole delle proprie ossessioni.
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