“Mangia, menti e scrocca”: quell’immagine dell’Italia che non va giù
Il boccone amaro ce lo fornisce un celebre film con Julia Roberts. Ma anche noi non siamo da meno
Si, avete perfettamente ragione: “Mangia, menti e scrocca” è un titolo che non vi è affatto familiare, e non perché siete distratti o poco aggiornati sulle nuove uscite al cinema. Semplicemente non si tratta di un nuovo prodotto del botteghino ma della descrizione dell’Italia vista dal grande schermo.
Giorni fa mi sono imbattuta in un articolo di una rivista italiana in cui si recensiva un passato flop cinematografico che voi tutti sicuramente ricorderete, sto parlando di “Mangia, prega, ama“, con Julia Roberts, “massacrata” dalla critica. Munita di chioma bionda e del suo solito gigantesco sorriso d’avorio, la Roberts, nei panni della giornalista Liz Gilbert lascia il marito e il nuovo sensualissimo toy boy per avventurarsi nei meandri di un’Italia bucolica, così da riscoprire il vero piacere del cibo, la purezza, l’eleganza, ma anche il calore e l’orgasmo che un morso di pizza o una sforchettata
di pastasciutta può donare al corpo e all’anima.
Il viaggio prosegue poi in ambienti e paesaggi dal clima molto più spirituale rispetto a quello italiano in cui l’attrice è stata accolta. Nella nostra cara vecchia patria, il massimo dello “spirito” è stato rappresentato da urla di gioia e da “olè” di un gruppo di tifosi al solito bar dello sport, con una molto penetrante distribuzione casuale di parolacce e volgarissime avances, appese artificialmente come i panni sporchi tra le vie ricostruite di Roma e Napoli.
Nel guardare questo film tutto sommato piacevole, mi sono immedesimata in uno spettatore NON italiano: beh, devo dire che ho trovato la rappresentazione del nostro paese perfettamente coerente alle mie aspettative e alle mie conoscenze. Si sa, escludendo i talenti e i pregi di un passato che ci sta facendo vivere di rendita, oggi giorno l’immagine dell’Italia che arriva oltreoceano è proprio questa. Gente che nulla sa fare e nulla ha voglia di fare. Naturalmente esclusi i soliti superstiti della passata generazione di “Italiani brava gente”, un batuffolo microscopico di geni e artisti che
preferisce lasciarsi trasportare dal vento oltr’Alpe perché sa benissimo che qui nella terra di Renzo Piano e di Fellini (per non citare i soliti Michelangelo e Da Vinci) non c’è più latte da succhiare.
Sterile, malconcia, ancor suadente e bugiarda, la nostra Italia è un po’ la prostituta delle nazioni, la cui passata bellezza e la cui magistrale capacità di dare piacere non è assolutamente dubitabile. Ma, dati i suoi capelli unti e cadenti, i denti sporchi e il seno non più sodo, una donna con cui nessuno oggi giorno si vorrebbe “maritare”.
Tantissime le critiche che gli italiani hanno mosso al lavoro di Ryan Murphy, regista del film, insultato e denigrato per la cattiva e totalmente erronea rappresentazione data dell’Italia. Ma che cosa vogliamo pretendere, signore e signori, se siamo i primi a ridere e a far commedia e cinema su questi stessi identici problemi? Noi ci scherziamo su, facciamo della satira, usiamo questi stessi tratti “somatici” per comprar qualche risata in film che tutti apprezziamo nel loro tentativo, in parte riuscito, di ridare aria alla Commedia Italiana.
Parlo, ad esempio, dei recenti “Viva L’Italia” di Massimiliano Bruno e de “Il Principe Abusivo” di Siani. Sconsigliati dalla gran parte dei critici perché troppo distanti dai drammi alla Bergman, ma tanto simili (seppur ancora inferiori) alle vecchie interpretazioni di Totò, di Sordi, o di un meno lontano Troisi, anche in questi film si sceglie di rappresentare la nostra terra come un cumulo di scrocconi e di raccomandati, palesemente nullafacenti che passano le loro vite a girovagare in questa terra dove il termine “Meritocrazia” probabilmente qualcuno non lo sa neppure pronunciare.
Non offendiamoci dunque se all’estero ci vedono come un mazzo di fiori appassiti, di talenti sprecati, di disoccupati incalliti. Se vogliamo darci un taglio con questi pregiudizi, diamo allora modo a chi ci vede da altri paesi di giudicarci in altra maniera.
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