Stromboli (terra di Dio), la triste verità di un fenomeno incancellabile
Nuovo appuntamento con "Screenshot", rubrica di cinema di Senigallia Notizie
“Rosa china in gambo pungente che stille rosse segnano di dolore come parole di oltraggio nel cuore. Nel corpo abbandonato pudore svelato, la vita umiliata, il germe spento dal silenzio del respiro.” (Mariella Mulas)
È strabiliante come un film del 1950 riesca ad essere più di sessant’anni dopo ancora molto attuale. Strabiliante quanto triste e drammatico, poiché la pellicola di cui stiamo parlando racconta la storia di una donna costretta a vivere in un ambiente a lei ostile, fatta schiava da un marito oppressivo, geloso e violento.
È la storia di Karin, la ragazza lituana protagonista di Stromboli (terra di Dio),un personaggio fragile ma allo stesso tempo combattivo e coraggioso. Una donna bellissima, nordica, atea e razionale che si ritrova imprigionata in un paese del sud Italia, abbandonato dalla società e dai suoi stessi abitanti che migrano ogni anno nel nuovo continente attratti dal profumo di un progresso che nella loro terra natale non esiste.
Strade deserte, macerie, pianti strazianti ,vecchie di nero vestite che tutto sentono e tutto vedono, che fanno la spia, criticano e infamano la povera Karin, la quale, con gentilezza e senza pregiudizi, cerca di farsi degli amici non dando conto alle dicerie e alle reputazioni.
Violentata psicologicamente dal soffocante comportamento del marito e dei vicini, la giovane donna sembra trovar conforto solo nel gentile parroco del paese che riesce ad accendere in lei la fiammella, seppur traballante, della fede e della fiducia in un Dio da Karin sempre rifiutato. Ma i suoi sforzi non bastano, le gentilezze riposte nei confronti di questo marito, non amato e sconosciuto, non sono ben accolte e ricompensate con altrettante delicatezze e premure.
Questo film, che propone un tema che purtroppo non passa mai di moda, fu protagonista di uno scandalo mediatico che trovò coinvolti in prima persona il regista, maestro del neorealismo, Roberto Rossellini, e le due donne più importanti della sua vita, la ex compagna ovvero l’attrice Anna Magnani e la bellissima straniera Ingrid Bergman che ricevette addirittura il Nastro d’Argento per l’interpretazione.
La Magnani, alla quale era stato promesso dall’ex amante il ruolo di protagonista del film e che poi se lo vide portar via dalla bionda e algida Ingrid, per ripicca e per gelosia pensò bene di girare un’altra pellicola dalla simile storia: Vulcano, che godette molto della pubblicità dell’ attesissimo “nuovo” capolavoro Rosselliniano.
Travolgente e commovente, anche se ricco di tempi aimè troppo lenti rispetto ai canoni a cui siamo abituati, questo film riesce a raggiungere e a schiaffeggiare la sensibilità di ogni donna che non solo si rende complice della povera Karin, pregando per lei fino alla fine del film, ma si sente a sua volta vittima di una società ancora troppo maschilista.
La storia di una straniera che sposa un uomo italiano e si ritrova a vivere in un ambiente a lei ostile e soffocante appare molto autobiografica. Ingrid Bergman infatti, dando vita a questo amore con Rossellini, dovette patire non poche pene. Fu insultata e maltrattata da Hollywood che lesse questo suo emigrare nel vecchio continente come un oltraggio, un tradimento inaspettato. Ma non solo, anche nella nuova casa, l’Italia, la povera attrice si ritrovò quotidianamente spiata e assalita dai paparazzi e giudicata dai giornalisti.
“L’ultimo grido… L’ultimo sguardo… Mai più sarò nella coscienza a dirti infame a dirti t’ho amato… E tu impaziente mi hai reciso… Ti lascio il mio inferno come veste di perdono.” ( Mariella Mulas)
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