A Senigallia il convegno sul commercio e sulle liberalizzazioni – FOTO
Il decreto Salva Italia, nella ricerca di Univpm, ha portato soprattutto svantaggi alle attività tradizionali
Quasi il 70 per cento degli esercizi commerciali tradizionali delle Marche non ha riscontrato un impatto positivo delle liberalizzazioni sui risultati economici della propria attività, mentre l’84 per cento ritiene addirittura che comportino maggiori svantaggi. E’ quanto emerge da una ricerca condotta dall’Università Politecnica delle Marche, presentata venerdì 4 luglio al Convegno nazionale di Senigallia, promosso dalla Regione.
I risultati sono stati illustrati dal prorettore Gian Luca Gregori. La rilevazione è stata svolta in collaborazione con l’Osservatorio regionale del commercio e i Centri di assistenza tecnica. Ha coinvolto un campione di 534 titolari di esercizi commerciali al dettaglio (rappresentativo del territorio regionale) per valutare il grado di adesione agli interventi di liberalizzazione del commercio, previsti dal decreto “Salva Italia”, con specifico riferimento agli orari e alle giornate di apertura.
A due anni di distanza dall’entrata in vigore della norma, le Marche hanno testato gli effetti ottenuti – sia sotto il profilo economico, che sociale – dagli esercizi che hanno usufruito delle possibilità offerte. Un terzo del campione è composto da persone tra i 41 e 50 anni, due terzi risulta coniugato, il 61 per cento in possesso del diploma di scuola superiore. Nella maggioranza dei casi sono soggetti con una significativa esperienza di lavoro nel settore del commercio. L’81 per cento del campione commercializza generi non alimentari e il 67,5 per cento dei negozi è situato nei centri storici.
Si tratta di esercizi di piccole dimensioni (quasi la metà ha una superficie di vendita inferiore ai 50mq e con una media stimata di 85 mq), a prevalente conduzione familiare. Le aperture domenicali rappresentano l’intervento maggiormente adottato dal campione, seguito dalla aperture anche in altri giorni festivi, dall’estensione del normale orario di apertura e dall’eliminazione della chiusura infrasettimanale. Il 36,4 per cento del campione non ha adottato alcun intervento previsto dal “Salva Italia” per mancanza di convenienza economica, seguita dalla volontà di preservare il proprio tempo libero e la vita sociale. L’85,9 per cento di questo gruppo evidenzia l’intenzione di non adottare alcun intervento neanche in futuro.
In merito agli effetti riscontrati, la ricerca segnala che il 60 per cento degli esercizi commerciali tradizionali non ha registrato l’arrivo di nuovi clienti per effetto della liberalizzazione, il 74 per cento non ha segnalato un aumento degli acquisti (ma, piuttosto, una loro distribuzione temporale), il 65 per cento ha registrato un aumento dei costi non sostenibile a fronte del fatturato realizzato, quasi il 92 per cento ha riscontrato una riduzione del tempo libero o un peggioramento della vita sociale.
Complessivamente, la maggior parte del campione ritiene che le liberalizzazioni non rispondano alle esigenze dei consumatori, non migliorino i risultati economici dei negozi e non aumentino l’occupazione, avvantaggiando, invece, le grandi superfici di vendita a discapito dei piccoli esercizi. Inoltre, gli interventi volti a facilitare l’apertura di nuovi esercizi commerciali, per l’82,9 per cento, determina un inasprimento della concorrenza e, per il 75,8 per cento, un peggioramento dei risultati economici delle attività commerciali. Il 66,3 per cento ritiene anche che non si conseguirebbero effetti positivi per la vitalità dei centri storici.
Alla pubblica amministrazione viene chiesto di bloccare la costruzione di nuovi centri commerciali, interventi per riqualificare i centri storici e una riduzione della pressione fiscale.
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