E’ domenica, ma Senigallia non si ferma. E continua a spalare
Dal lungomare alle frazioni, viaggio in una città ferita dall'alluvione, ma che non vuole mollare
E’ una domenica di primavera piuttosto calda e – almeno in mattinata – soleggiata, quella dell’11 maggio. Ma non è, né potrebbe mai essere, una domenica come quelle dello stesso periodo degli scorsi anni.
L’alluvione del 3 maggio è ancora troppo vicina per pensare alla prima tintarella in una spiaggia con i segni evidenti di quanto successo e praticamente deserta, popolata non da ombrelloni ma soltanto da pochi temerari.
O quasi. Perché in realtà lungo il litorale in tanti lavorano per ripulire la sabbia, gli stabilimenti balneari, gli alberghi, per ridare alla “Spiaggia di Velluto” almeno un minimo di decoro.
Altrove, le aree alluvionate di una città dal 3 maggio praticamente spaccata in due, non presentano scenari diversi: dal Portone a via Podesti, passando per la Cannella, il Vallone e Borgo Bicchia, i segni del disastro sono ancora nelle vie, così come gli uomini che provano a cancellarli, nonostante tanto si sia fatto. E si continua a fare.
Quella dell’11 maggio è una domenica diversa da tutte le altre: è un giorno festivo che di festa non è però, perché c’è ancora molto da lavorare. E sono in tanti ad aver voglia di farlo: titolari di attività commerciali, semplici cittadini che hanno fretta di ridare una parvenza di abitabilità a case costruite con sudore, dove a volte sono rimaste soltanto le pareti. Niente mobili in stanze tutte uguali, rese vuote e fredde dalla perdita di ogni ricordo personale, dalle foto, ai quadri.
Non sono soli però: ci sono tanti volontari, giovani soprattutto, che a colpi di ramazza non cancellano soltanto il fango ma pure tanti luoghi comuni su una generazione senza ideali né valori.
Ci sono i vicini, che tra una spruzzata e l’altra d’acqua per scrostare pareti annerite dal fango, hanno tempo per darti una mano.
E’ facile, in circostanze simili, abbandonarsi alla retorica nel descrivere situazioni come questa: ma è quello che si vede in giro, in una città in larga parte ancora spettrale e ferita, ma viva.
Incontriamo uno di questi giovani, del posto, che ci dice parole che racchiudono il pensiero di tanti: “perché sono qui? Perché era giusto dare una mano a gente che ha perso quasi tutto. E poi per la città. Non tutto è perfetto a Senigallia, ma è pur sempre il luogo dove vivo. E non mi va che affoghi nel fango“.
Senza nulla togliere al lavoro di Protezione Civile, Vigili del Fuoco e forze dell’ordine, l’impressione è che senza l’impegno di tanti volontari la ricostruzione sarebbe ancora più lontana. E non di poco.
Ma un grazie lo meritano pure coloro che a questi giovani ogni giorno aprono le porte: hanno perso beni e ricordi di una vita, ma non la dignità e il coraggio di battersi per salvare quanto resta e ricominciare. Gente che fa fatti, non parole.
E’ difficile capire quanto la solidarietà nata sull’onda emotiva di un fatto così tragico, possa protrarsi una volta che l’emergenza sarà finita, in una città troppo spesso ostaggio di contrapposizioni.
Ora c’è e dovrà continuare a esserci, perché, l’alluvione, c’è stata il 3 maggio, certo, ma c’è ancora.
Serviranno altre giornate come l’11 maggio.
Una domenica di una Senigallia che non molla. E continua a spalare.
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