Gent’d’S’nigaja – Dialetti nel dialetto?
Stavolta niente striscia dialettale, ma un articolo di approfondimento sulle varianti del nostro vernacolo
Pubblicazione speciale di Gent’d’S’nigaja su Senigallia Notizie. Speciale perchè la rubrica non si ferma neppure il giorno di Pasquetta, ma soprattutto perchè non propone una delle consuete strisce in vernacolo, ma un articolo di approfondimento sui dialetti che convivono nel dialetto senigalliese, redatto da Andrea Scaloni.
Buona lettura!
Nei dieci chilometri che separano Senigallia da Ostra passa il confine tra i dialetti gallo-italici e i dialetti “mediani”, confine linguisticamente molto rilevante.
Tutti abbiamo ben presenti le differenze tra la parlata senigalliese e quelle ad esempio ostrense o jesina. Due su tutte: la sonorizzazione nel gallo-italico della [s] intervocalica in [z] (uno jesino pronuncia la parola “casa” con la “s” di “sapone”, un senigalliese evidentemente no); la totale assenza di raddoppiamento sintattico: uno jesino direbbe “gimo lì ccasa” raddoppiando la “c”iniziale di “casa”, un senigalliese direbbe “andàŋ malà a casa” senza raddoppiare la “c” di “casa”.
Tuttavia, se appena 10 chilometri possono tracciare un solco tra due aree linguistiche, ci si potrebbe chiedere se analoghe differenze esistano all’interno dell’area linguistica cui appartiene il territorio senigalliese, che da estremo a estremo si estende per più di 15 chilometri, distanza tutt’altro che trascurabile nei secoli passati.
La risposta a questa domanda è: sì, le differenze esistono e sono significative. O meglio, lo erano nel passato, quando gli spostamenti erano molto limitati e molto spesso tutta la vita si svolgeva, dalla nascita alla morte, nel raggio di pochissimi chilometri.
Rispetto al dialetto “cittadino”, parlato all’interno della vecchia cinta muraria, si possono individuare due varianti:
- Una variante “rurale”, parlato nel contado senza troppe differenze tra le frazioni, anche a causa del sistema della mezzadria che fino agli anni ‘60 del secolo scorso imponeva ai contadini una certa mobilità.
- Una variante “marinara”, diffusa tra i pescatori e più in generale də là (di là dal fiume, nel quartiere Porto), contrapposto a də qua (di qua dal fiume, in città).
Variante “rurale”
Oltre ovviamente ai termini specificamente agricoli, la parlata rurale adotta verbi diversi o coniuga gli stessi verbi in modo diverso:
- Birà invece di girà (girare): Nn acada chə biri tondə a l’ara, chə tantə n t’òprə
- Gì invece di andà (andare): Giŋ a fà na buta?
- Féva invece di faceva: Si l sapeva nun el féva ‘se lo sapevo non lo facevo’
O risente più marcatamente di influenze dei dialetti mediani, ad es. della zona di Jesi:
- Acuscitta o acuscì invece di acusì, con la fricativa prepalatale [ʃ] al posto della s sonora [z] usata in città.
- Valtri/valtra invece di vujaltri/vialtri (voi), che si riflette nella coniugazione del verbo:andé/andati, magné/magnati, dicé/diceti ecc.
C’è poi il caso di Scapezzano, la cui parlata risente di influenze dalla valle del vicino Cesano:
- il toponimo è pronunciato in modo diverso dai locali (Scapəzàŋghə) e dai senigalliesi (Scapəzàŋ)
- ci sono – o meglio c’erano in passato – tracce di epitesi tipiche della sponda nord della media/bassa valle del Cesano: tùe invece di te (tu), vóe invece di vó (voi): l’hai vist’ anca tùe?
Variante “marinara”
La parlata del porto e in genere dell’ambiente marinaro risente (o meglio risentiva) della pronuncia settentrionale e in particolare veneta, talvolta anche di influenze giuliano-dalmate, dall’altra sponda dell’Adriatico. Segno inconfondibile la fricativa alveolare sorda [s] al posto della fricativa prepalatale [ʃ]:
- péss invece di péšc ‘pesce’
- pəsaròlə invece di pəsciaròlə
- siòj invece di sciojə ‘sciogliere’
Molto frequenti nel linguaggio marinaresco erano poi i termini di derivazione veneta:
- Gugùllə (sacco terminale delle reti da esca), dal veneto cògolo (rete per pescare le anguille)
- Vòlliga, imparentato con il bàligo giuliano-dalmata (rete simile alla volliga ma senza manico)
- Murè (mozzo, ragazzo di bordo), dal veneziano morè, a sua volta vocativo del greco μωρóς(matto, semplice, ma anche bimbo, ragazzo nel senso di immaturo)
- Paróŋ (comandante dell’equipaggio e/o armatore, proprietario della barca, capobarca) è una voce settentrionale, d’area veneta e giuliano-dalmata. Qui il dialetto è più preciso dell’italiano, perché ha una parola specifica, da non confondere con la parola generica padróŋ, che invece indica genericamente il proprietario di terreni, case, negozi, ecc.
- Schiérə: squero, darsena, apertura nell’argine del porto-canale atta ad alare le barche per il rimessaggio o il varo. È anche un quartiere della città. È una voce di provenienza veneta, che a sua volta deriva dal greco escharion (sostegno della nave nel cantiere).
- Sciabəgòtt’: pescatore che usa la sciabica tirata da terra. La connotazione dispregiativa (sciocco, sempliciotto) deriva dalla minor considerazione in cui è tenuta la pesca di terra (con la sciabica) da parte di coloro che pescano i mare (con le paranze e le lance).
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