La figura di Bartali protagonista del 70° anniversario della liberazione di Senigallia
Andrea, figlio del grande campione di ciclismo, sarà presente giovedì 3 aprile alla Chiesa dei Cancelli
Giovedì 3 aprile primo appuntamento del calendario degli eventi coordinato dall’amministrazione Comunale per celebrare il settantesimo anniversario della liberazione. Il protagonista sarà Andrea Bartali, figlio del grande campione del ciclismo Gino Bartali, che alle ore 10, presso la Chiesa dei Cancelli, incontrerà gli studenti di alcune classi degli Istituti Scolastici Superiori di Senigallia.
175 chilometri separano Assisi da Firenze, la strada della salvezza per molti ebrei, nascosti tra il capoluogo toscano e l’Umbria, per scampare all’incubo della deportazione nei campi di concentramento. Un tragitto che tra la fine del 1943 ed i primi mesi del 1944 Gino Bartali percorse molte volte in bicicletta, nascondendo nella canna e nel manubrio documenti falsi e foto.
Li portava ad Assisi per essere stampati clandestinamente dai tipografi Luigi e Trento Brizi, in collaborazione con il francescano Padre Rufino Niccacci. Una rete clandestina, coordinata dai due vescovi di Assisi e Firenze, Placido Nicolini ed Elia Della Costa, grazie alla quale vennero salvati migliaia di rifugiati ebrei. Una storia rimasta nascosta per decenni perché, come ripeteva Gino Bartali: “Il bene va fatto, ma non bisogna dirlo“, e che solo ora viene alla luce grazie all’opera di testimonianza del figlio Andrea (bellissimo il suo libro edito da Limina: “Gino Bartali, mio papà“), ed al recente riconoscimento del grande ciclista toscano, scomparso nel 2000, come Giusto d’Israele.
L’arcivescovo di Firenze, il cardinale Elia Dalla Costa conosceva bene Bartali e per questo lo convocò nell’autunno 1943 nella sede dell’arcivescovado. “Dalla Costa – racconta Andrea Bartali – propose a mio padre di diventare il postino segreto dell’organizzazione clandestina di soccorso ai profughi ebrei. Gli chiese di andare periodicamente in bicicletta fino ad Assisi, nascondendo nella canna le foto ed i documenti dei rifugiati, che avrebbe dovuto consegnare a Padre Rufino Niccacci per essere poi trasformati in carte d’identità false nella tipografia dei Brizi. Tutti avrebbero pensato che si stesse allenando e a nessuno sarebbe mai saltato in mente di controllarlo. Mio padre ci pensò una ventina di secondi e poi chiese: quando si parte?“.
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