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Arena Italia, la Fiamma Tricolore approva il falso d’epoca per recuperare la città

De Amicis: "Senigallia ha bisogno di un ritorno all'architettura"

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Comì di Cucina
Il progetto dell'ex arena Italia

In questi giorni si è tornati a discutere dell’ex Arena Italia, uno dei quattro ambiti di riqualificazione legati al piano Cervellati. Non è facile in poche righe spiegare il nostro pensiero, che tocca diversi aspetti, da quello culturale, parlando di architettura e urbanistica, per arrivare a discorsi più pratici di fattibilità, di opportunità dei progetti e quindi di scelta politica nell’interesse pubblico da parte dell’Amministrazione.

Già in passato, rivolgendoci all’assessore Ceresoni, abbiamo spiegato che Senigallia, oltre alla rigenerazione, ha bisogno di un ritorno all’architettura. Dal dopoguerra in poi la pratica urbanistica è diventata lo strumento il cui unico e vero compito è stato quello di dare una veste moderna ai valori immobiliari, dare corpo ai capitali investiti secondo una logica puramente economica.

Ed è per questo che non siamo d’accordo concoloroche criticano la filosofia del falso d’epoca. Oggi passando per Senigallia in treno o in autostrada non si ha alcuna percezione dell’antica gloriosa città. Un viaggiatore vede solo forme anonime e indifferenziate. Inoltre, l’eliminazione dell’ornato è stata una diretta conseguenza della cancellazione dei simboli di casta e di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, ma i simboli erano l’essenza dell’arte veramente fruibile.

Fruibilità che è legata alla questione del committente (chi paga e ordina l’opera), concetto cruciale in architettura, più di ogni teoria o di ogni estetica. Nei secoli scorsi il committente (ricchi politici in carriera, papi, principi, mecenati) non consentiva rotture di linguaggio assolute. Perché il linguaggio parlato è comune, nel senso che anche lo scrittore più superbo non s’inventa di sana pianta la sua lingua, ma in massima parte, la riceve già formata dalla comunità storica a cui appartiene, e la vivifica con il suo genio. Chi vuole inventarsi la propria lingua personale dal nulla (come fanno gli schizofrenici), non comunica più, diventa non intelleggibile. Allo stesso modo per l’arte. Anche l’architettura è un linguaggio, i cui elementi, gli archi e le colonne, gli ordini, il fraseggio degli ornati, le regole sintattiche ossia tettoniche vengono da una tradizione appartenente all’intera comunità culturale, storicamente determinata. Anzi possiamo dire che l’architettura è un linguaggio ancor più comune degli altri (come ad esempio la musica o la lirica) per la sua vocazione ad essere essenzialmente pubblica.

L’architetto è tenuto a costruire con elementi che i cittadini, e anche i passanti, possano leggere e capire. Solo nel XX secolo gli architetti (come tutti gli altri artisti) hanno preteso di creare un linguaggio loro e assoluto, rompendo con la lingua secolare comune architettonica; di fatto, si sono rifiutati di parlare alla comunità. Come gli schizofrenici, sono diventati, inintelleggibili, scostanti, anti-umani.

Per chi non lo ricordasse, il recupero del passato tramite copie non è una novità. Durante il Rinascimento, si cercava di realizzare opere rivaleggiando con quelle dell’età classica. Le opere antiche venivano riscoperte, copiate e recuperate dalle distruzioni del medioevo. Michelangelo da giovane creò un falso, una scultura che rappresentava un cupido addormentato che doveva apparire come una statua di epoca romana, grazie ad un invecchiamento artificiale. L’ideale da perseguire era collocato nel passato, in una mitica età dell’oro. Al contrario oggi l’ideale è proiettato nel futuro, anzi tutto ciò che è passato non ha più alcun valore.

Ed allora ben venga quell’architettura che propone copie di antichi monumenti, oppure edifici ispirati al passato quale rimedio per riappropriarsi di quelle aree che ormai da più di trent’anni non appartengono più alla città di Senigallia.
 
da Riccardo De Amicis
responsabile Movimento Sociale Fiamma Tricolore
Sezione di Senigallia

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