L’apprezzamento di Paolo Pizzi per la stampa firmata da Enzo Pettinelli
La raffigurazione del Teatro La Fenice di Senigallia ha colpito l'ex-presidente del Panathlon Club locale
La riproduzione pittorica di Enzo Pettinelli del teatro cittadino “La Fenice”, donata alle famiglie in occasione del Natale, ha incuriosito diversi concittadini che non conoscevano le vicende di un teatro così bello e ricco di storia ma che purtroppo non è stato tramandato alle generazioni prossime.
Proponiamo volentieri il commento del Dott. Paolo Pizzi, noto per l’impegno nello sport (Vigor, scherma, CONI, Pahathlon, Uff. Sport del Comune) che insieme al Prof. Michele Millozzi, Professore ordinario di storia contemporanea presso l’Università di Macerata, sta scrivendo un importante libro sullo sport di Senigallia visto attraverso gli occhi dei suoi protagonisti o dei testimoni. Non (solo) un annuario ma uno spaccato della vita e dei personaggi di Senigallia raccontato con uno stile caldo ed emozionale come il commento che segue.
Sembra un teatro all’aperto, in realtà il terremoto lo ha semidistrutto, solo i racconti della mamma rendono l’idea di come fosse prima del 1930. Tante notizie frammentarie che non si collegano, almeno nell’immediato.
Quel buco sul tetto ha dato libero sfogo alle voci dei tenori, dei baritoni, le orchestre suonano in mondi lontani. Gli applausi fragorosi o i fischi assordanti non si ripetono.
Tante volte Enzo passa intorno alle rovine di quel gioiellino scomparso, quando va al fiume o verso la campagna, coltiva altri interessi, è preso da altre cose.
Alle volte succede qualcosa di strano, affiorano parole, episodi narrati dagli anziani davanti a una tavola con pochi cibi.
Le storie del passato servono a distrarre l’attenzione dai piatti poveri che vengono messi a tavola, gli animali portati sul palcoscenico incuriosiscono, poi la fame riprende il sopravvento.
C’è quasi un rifiuto ad ascoltare certe storie, la Fenice è parte viva della città, c’è differenza tra chi è ricco e chi è povero, lì dentro si distingue solo chi è intenditore sopraffino.
Alle volte c’è un po’ di noia, alcuni racconti sono ripetitivi, lui non lo sa ma ogni volta un tassello trova posto nella memoria quella vera, non quella fredda arida del computer.
Mentre passa a fianco del rudere ogni tanto qualche tassello si mostra ai suoi occhi e rende reale ciò che non può esserlo più.
Le parole della mamma o dei vicini sono gli strumenti che rendono vivi momenti, eventi, protagonisti del passato. In pochi secondi il mondo si ferma e torna indietro nel tempo, molto indietro.
La musica soave, le opere liriche sono rappresentate dal vivo, immaginario ma dal vivo. Impossibile? No. I racconti molto precisi irrompono nel quotidiano, la storia di giorni lontani improvvisamente diventa il presente.
Non basta, è venuto Pietro Mascagni o Giuseppe Verdi, non è difficile scoprirlo, basta consultare qualche rivista, qualche giornale.
Gli anni passano, la fantasia, l’immaginazione sono carburanti sempre pronti capaci di esprimere la propria potenza nei momenti più impensabili.
Un cartoncino ingiallito schiaccia tocca il punto giusto nei meandri dei sentimenti.
C’è la riproduzione fedele del teatro, vera? Chissà?
Giuseppe Verdi, Pietro Mascagni, Arturo Toscanini, Ruggero Leoncavallo lo potrebbero dire, ma non ci sono più.
Quella cartolina gira tra le mani di Enzo, passa da un polpastrello all’altro, non c’è la retina che la ferma. Memoria, sentimenti, immagini, parole si mescolano, qualcosa esce dalle mani.
I quattro artisti sono dipinti nella volta immaginaria del teatro, dal cielo, per decenni, hanno potuto vedere cosa stesse accadendo alla gloriosa Fenice. Il loro sguardo rivolto alla platea con tante poltrone allineate serve a controllare che tutti siano presenti. Quando salgono alla prima fila dei palchi rimangono sorpresi, stupefatti. Sono vuoti, non ci sono sedie, poltrone, la stessa cosa avviene per le file superiori, dove sono finiti? Hanno disertato? Oppure se ne sono andati spazientiti per il tempo non utilizzato a ricostruire il teatro. Ogni palco sembra una finestra aperta verso la città o, forse, ognuno dalla città si può affacciare e vedere cosa stia succedendo a quel luogo intriso di storia vera, di persone appassionate dell’arte, della musica.
Non vanno nemmeno in Comune a vedere in che condizioni sia il lampadario, l’unica cosa concreta, reale rimasta del tempo che fu.
Ma il dipinto a colori riporta tutto alla luce, non è una fotografia.
La memoria ha utilizzato frammenti di storia narrata in famiglia, davanti alla stufa o con le finestre spalancate per il caldo.
L’eco si è spenta, le voci tacciono, le orchestre hanno deposto gli strumenti, i drappi, i velluti li ha portati via un vento particolare, quello che affianca il tempo nel suo scorrere veloce.
Enzo ha fermato tutto, lo ha ricostruito con sapienza e con precisione, chi non crede a questo sogno divenuto realtà, può chiederlo ad Antonio Meucci.
L’inventore in questo caso è il notaio che certifica che tutto è stato tremendamente vero, stupendamente reale. Si trova in un angolo della decorazione, ma non perché sia meno importante, semplicemente perché in quella posizione controlla meglio tutto. Lo spettacolo deve ancora iniziare, ognuno attraverso i tratteggi di Enzo può rappresentare la cosa che più gli aggrada. Giuseppe, Ruggero, Arturo, Pietro, Antonio aiuteranno Enzo Pettinelli a discernere con giudizio.
Basta sedersi in poltrona e fissare il dipinto. Buona visione……
Paolo Pizzi
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