La giornalista Barbara Schiavulli a Senigallia con ‘La Guerra Dentro’
“Per me raccontare la guerra significa prima di tutto stare in mezzo alla gente”
Barbara Schiavulli è una corrispondente di guerra freelance. Una razza in via di estinzione che si prende gli oneri e gli onori di raccontarci quello che avviene negli angoli più remoti del globo, luoghi spesso lontani, di cui gran parte dei media nazionali parlano poco: conflitti in Iran, Iraq, Yemen o Afganistan tendono così a ‘svanire’ nella percezione pubblica, ad essere catalogati come guerre ‘passate’ .
Ecco allora l’importanza salvifica di giornalisti come Barbara Schiavulli; persone che hanno scelto di essere i portavoce di quegli avvenimenti, perché senza nessuno che li racconti, interi pezzi di storia, significativi, memorabili, tragici o terribili che siano, si perdono quasi sempre tra le pagine della storia stessa, quasi come non fossero mai avvenuti. Dire che i ‘giornalisti’ fanno la storia può sembrare provocatorio, ma non lo è: che si tratti di miracoli o di genocidi, di dittatori o di ribelli, se non ci fossero gli occhi, le orecchie ed i taccuini di queste persone tutto ciò sarebbe quasi come se non fosse mai avvenuto.
Barbara Schiavulli da più di dieci anni racconta e vive le storie del Medio Oriente, dell’Africa e del Centro Asia. “Per me raccontare la guerra significa prima di tutto stare in mezzo alla gente”, questa è la frase con cui si è presentata alla platea di Senigallia presente alla Biblioteca Antonelliana in occasione della presentazione del suo ultimo libro “La Guerra Dentro” (Midia Edizioni).
“Con questo scritto ho voluto far vedere la guerra attraverso gli occhi dei militari. Spesso ci si ricorda dei soldati solamente quando muoiono, si parla di loro solo per qualche giorno e poi il silenzio. Ho voluto per una volta parlare dei vivi, non curandomi essenzialmente solo dei fatti ma della percezione che ha chi fa un mestiere che può essere rischioso e travolgente. Ho voluto tratteggiare il profilo di dieci militari, scandagliando tra i pensieri e le emozioni di chi vive al fronte. Il risultato è un libro di guerra e orrore, ma anche di fratellanza, rispetto e umanità.”
La giornalista, ripercorrendo le esperienze che l’hanno portata a scrivere ‘La Guerra Dentro’, ha risposto alle tante domande del pubblico raccontando retroscena ed aneddoti che riguardano la propria carriera, cercando di fare il punto sul giornalismo estero e sul complesso ruolo del corrispondente di guerra e le sue responsabilità.
“Quando ho scelto di fare questo mestiere avevo circa 13 anni e lo volevo fare perché pensavo che avrei potuto cambiare alcune ingiustizie che ci sono nel mondo. Crescendo purtroppo ho capito che non sarebbe avvenuto. Credo che il nostro scopo debba essere quello di scardinare l’indifferenza; il mio mestiere credo non consista solo nell’informare ma abbia anche la finalità di fare breccia su chi mi ascolta. Posso dire di stare combattendo il decadimento ‘degli esteri’ in Italia. Nel nostro paese sembra quasi che di ciò che accade fuori dai confini non se ne debba parlare. Questo silenzio credo sia un’anomalia del nostro paese.
Il fatto che la politica estera italiana latiti e che il nostro paese non venga spesso preso in considerazione per quello che concerne il coordinamento diplomatico di altri stati in crisi è strettamente collegato con l’ignoranza dell’opinione pubblica. Ignoranza che porta spesso l’Italia a doversi semplicemente accodare alle scelte di altri quando ci si siede ai tavoli esteri diplomatici”.
La Schiavulli ha voluto anche puntualizzare come il fare giornalismo stia mutando a causa dell’ibridazione del ruolo dei social network.
“Sicuramente questo lavoro sta in qualche modo cambiando nel corso degli anni: i social network hanno cambiato il modo di fare informazione anche se credo che non avrebbero dovuto cambiare il modo di fare giornalismo, che deve rimanere una cosa diversa. Vorrei che ci fosse una distinzione netta tra informazione e giornalismo. E’ importante che da luoghi remoti e lontani dove è difficile o quasi impossibile inoltrarsi ci arrivino delle segnalazioni, però è dovere di ogni giornalista recarsi sul campo per verificarle. Il giornalista dovrebbe essere la persona fidata che viene inviata per poter constatare che quello che è stato segnalato corrisponda a realtà e faccia da filtro con tutto quello che sta succedendo. Credo sia indispensabile distinguere nettamente questi due filoni come avviene in altri paesi. Mischiandoli, invece, c’è il rischio reale che sia vero tutto e il contrario di tutto, con la conseguenza che chi legge tende a non credere più a quello che viene riportato sui quotidiani. Servono analisti, servono cronisti, sono tante le sfaccettature in cui inserirsi ma ogni realtà va raccontata e verificata sul campo.”
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