Fiabe perché non diventino come i furbetti del quartierino
Da Riccardo De Amicis una proposta all'Assessore Schiavoni per contrastare l'abbandono scolastico
Nei giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge dal titolo “l’istruzione riparte”, in cui tra le altre cose è previsto un programma di didattica integrativa per combattere il fenomeno dell’abbandono e dell’evasione dell’obbligo, con attenzione particolare alla scuola primaria.
Colgo l’occasione per ricordare che lo scorso 28 maggio si è concluso con grande successo il progetto “un anno da sfogliare”, in cui ha visto coinvolti i bambini della scuola Marchetti-Nord e le fiabe. Ne ero assolutamente certo dell’esito positivo, in quanto fin dalla notte dei tempi, fiaba, favola ed educazione sono strettamente legati. Per questo motivo, suggerisco all’Assessore Schiavoni di estendere il progetto a tutte le scuole d’infanzia del Comune di Senigallia perché, come in altre occasioni ho cercato di spiegare, le favole ed i miti hanno educato generazioni di bambini e di adulti e sono un ottimo deterrente contro l’abbandono scolastico.
Vi siete mai chiesti perché i bambini ascoltano con estrema attenzione le favole? Perché il bambino, oscuramente, sente nella favola un mito. E nella recitazione di un mito, il bambino, il quale è anzitutto un metafisico, riconosce un rito. La fiaba insegna loro a bassa voce: non chiederti come va a finire. Come va a finire, lo sai: “e vissero felici e contenti”. Infatti il bello dell’antica storia non è la sua fine: è il suo indugio, il suo percorso lento e tortuoso come un fiume, le sue anse dietro a cui può esserci il folletto o la principessa, il grillo parlante che ti aiuterà o l’orco che ti getta nel pentolone. La storia è così bella in sé, che tu non vuoi che finisca. Vuoi che essa indugi, che tardi a concludersi.
E così impari a sospendere la domanda: che cosa c’è di vero? E’ tutta inventata la storia? Ci sarà tempo per scoprirlo. Per adesso, ascolta l’antica storia perché il mondo interiore è ciò che distingue l’uomo da ogni altro animale, è sufficiente osservare le scimmie dello zoo per capire che esse fissano costantemente il mondo esterno: ogni piccolo movimento, le noccioline in mano ad un bambino le rende agitate lanciando urli, saltando, incontenibili. Ma il mondo interiore non è meno doloroso. Anzi, da lì vengono tutti i nostri arcaici terrori. Ma esplorarlo è compito proprio dell’uomo, e le fiabe sono le guide primarie in questa foresta primordiale.
Insegnano a vincere gli orchi e le streghe che ci attendono alle svolte inevitabili della vita umana: anche tu, sartorello che in un sol colpo uccide sette mosche, puoi vincere il drago e conquistare la principessa che, in giorni lontani, era chiamata Psiche. Può esserti accanto il gatto con gli stivali, questa strana creatura che, in un’altra e più arcaica metamorfosi, accompagnò Tobia figlio di Tobi, e si chiamava Raphael. Questo Raphael aveva infatti gli stivali delle sette leghe, perché con lui accanto Tobia fece a piedi in due giorni la strada da Rage ad Ecbàtana, che sono almeno 300 chilometri. E quando il demone Asmodeo uscì da Sara, mentre Tobia godeva la prima notte con la sposa, quell’essere inseguì il demone fino in Egitto e lo legò con catene ad una montagna. Una creatura magica, che indicò a Tobia come catturare il pesce con il cui fiele, cuore e fegato si può guarire un cieco e cacciare i demoni assassini. E’ una vecchia fiaba, narrata molte volte, in molti modi diversi, ma sempre con lo stesso significato. Quel pesce risanatore divenne vero molti secoli dopo, quando in molti tra loro si riconobbero col segno del Pesce, Ichtyos. Lo videro ridare la vista ai ciechi e cacciare i demoni.
Ma per il bambino sono favole. Per ora, basta sapere che il Mago, che si chiamava Merlino e in tempi ancora più lontani si chiamava Wotan (Odino), anzi Ouranos (in greco è il cielo stellato, parola antichissima che in sanscrito suona Varuna (Uaruna), l’Onnisciente, il primo e più alto dio) diventa invisibile, sembra che non ci sia e alla fine l’eroe della fiaba scopre che gli è stato sempre accanto, gli ha segnato la strada, l’ha soccorso e sostenuto in ogni istante. Questo raccontano le fiabe, mentre ti introducono nel mondo interiore in cui vivrai come uomo e ai suoi terrori. Ma la scuola attuale e la pedagogia illuminista-modernista non vuole (e poi ci stupiamo degli abbandoni precoci). Vuole che il bambino non sogni, vuole che diventi immediatamente un cittadino e magari un agente di cambio che non spera mai nell’aiuto del Mago a costo di farne degli iperattivi che si bloccano nel pensare, dei malati (e da qui l’abbandono).
Io credo che i padri della pedagogia illuminista (Rousseau, Diderot) lo sapessero benissimo, ma abbiano vietato le fiabe per un semplice motivo: per impedire ai bambini di sognare Raphael con gli stivali delle sette leghe, o di fantasticare sul Mago sempre invisibile. In fondo, nessuno è realista come le scimmie dello zoo: dateci le vostre noccioline! Tutte e subito! A quanto le noccioline oggi? Con gesti spiritati, con urla, saltellando esattamente come i brokers di Wall Street, come i padroni del vapore, come i furbetti del quartierino, come i politici nello zoo attuale. Gente coi piedi per terra. Che non crede a nessuna favola.
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