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25 luglio, le donne di Senigallia possono votare e Mussolini cade

Anni diversi, il 1906 e il 1943, ma stesso giorno per due eventi che hanno segnato la storia d'Italia

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Diritto di voto per le donne in Italia (1946)

25 luglio, una data che ha segnato più volte la storia d’Italia e in particolare quella del Novecento. A distanza di tanti anni e con una prospettiva storica adeguata, si possono considerare cruciali almeno due episodi, che nel secolo scorso hanno fissato un bivio nelle vicende del paese.

Due fatti diversi e distanti tra loro, e nei confronti dei quali la memoria – storiografica e collettiva – ha agito in maniera completamente differente: da una parte, celebrazioni e ricordi annuali – anche se non sempre condivisi ed adeguati – dall’altra l‘oblio più totale, almeno fino a tempi recentissimi.

Partiamo dal 25 luglio più noto, quello del 1943: sono passate poche ore dal Gran Consiglio del Fascismo che ha approvato l’Ordine del giorno Grandi che di fatto segna la caduta di Benito Mussolini, quando in un incontro avvenuto a Villa Savoia tra quest’ultimo e il re Vittorio Emanuele III, viene formalizzata la fine del regime dell’ex direttore dell’Avanti, che viene arrestato. Al suo posto, subentra Pietro Badoglio. La notizia riempie le pagine dei giornali del giorno successivo, alimenta alcune speranze, ma lutti, sofferenze e dolori sono ancora lontani dal terminare: la seconda guerra mondiale sarebbe durata fino al 1945 con l’Italia sempre più divisa dopo la costituzione della Repubblica sociale italiana (Repubblica di Salò), avvenuta nel settembre 1943, a pochi giorni di distanza dall’entrata in vigore dell’armistizio dell’8 settembre stipulato con gli angloamericani.

Ma c’è un altro 25 luglio, che riguarda da vicino Senigallia e il suo territorio, ma che per tanto, troppo tempo, è rimasto nascosto all’interno di documenti impolverati.

E’ il 25 luglio 1906, quando una clamorosa sentenza emessa dalla Corte di Appello di Ancona presieduta dall’insigne giurista Lodovico Mortara, permette a nove maestre di Senigallia e ad una di Montemarciano, di ottenere il diritto di voto politico. Un diritto mai esercitato, perché già pochi mesi dopo la decisione fu ribaltata dalla Cassazione.

Eppure, quelle dieci maestre – le cui vicende sono state riportate recentemente alla luce da una fondamentale ricercadello storico Marco Severini – sono state – grazie al loro coraggio civile svincolato da legami politici – le prime elettrici della storia italiana. Quarant’anni prima del diritto esercitato – questo sì – il 2 giugno 1946 per il referendum istituzionale monarchia-repubblica, che sancì la partecipazione a pieno titolo del genere femminile alla vita politica italiana.

Commenti
Ci sono 5 commenti
Graziella Passaro 2013-07-25 11:25:03
Il secondo evento del 25 luglio 1946 l'ho vissuto anch'io anche se non
ne capivo l'importanza, ma mi fa piacere dire : io c'ero!
Melgaco 2013-07-25 15:29:54
Questo ripassino di storia insegna a molti che a far cadere Mussolini furono i fascisti (e non chissà quali rivoluzionari che si assumono meriti sfruttando le nebbie del tempo).
Michele 2013-07-25 18:56:58
@Melgaco la storia e in particolare quella Italiana è una enorme matassa di stronzate, già la versione ufficiale è da vergogna, tra mafia, voltagabbana, esecuzioni e tanto altro, pensa se ci raccontano la verità! Che poi tanto non la vuole sapere nessuno, siamo un popolo che vive bene anche in ginocchio, come insegna la storia.
Mauro 2013-07-25 19:18:01
Mussolini già non èra presente in scena da tempo. Il voto del 25 luglio delle donne invece è stato determinante per la Democrazia in cui ci troviamo.I veri Fascisti non tradirono mai il DUX. tanto per rendere alla storia quel che è della storia
giomoni 2013-07-26 13:16:08
Che a distanza di 70 anni ci siano ancora contrasti politici su fatti che dovrebbero essere diventati pacifico oggetto di libri di storia la dice lunga sul carattere del popolo italico.Sempre pronto ad azzuffarsi su fatti passati e defunti ma mai disposto a valutare in concreto situazioni contingenti e sopratutto mai disposto, per vantaggio comune, a rinunciare al proprio partito. E così il dividi et impera continuerà a far gioco sul vantaggio della nazione.
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