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Il cacciatore di antenne: intervista a Emiliano Zucchini

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Le Marche. Questa regione incantata, tanti paesi in uno, culla e giardino d’Italia, patria di borghi e paeselli. Io, da “adottiva” bolognese poi pentita (si fa per dire) e cuore Gucciniano, l’ho sempre vista un po’ come “una vecchia signora coi fianchi un po’ molli, col seno sull’Adriatico e il culo sui colli”. Regione da cui, prima o poi, si ha necessità di evadere, ma in cui – quando prima o quando poi – si ha l’esigenza di tornare (“Tutti i marchigiani è destino tornino a casa” – mi disse una volta una milanese approdata nelle Marche per amore – potevo darle torto?).

Tuttavia, soprattutto nell’ultimo decennio, pare che siano in molti a innamorarsene, tanto da decidere di farne nuova “casa”. In molti la conoscono come terra di poesia, di musica e d’arte, e forse, siamo solo noi marchigiani a dimenticarcene spesso.

Così è arrivato anche Emiliano Zucchini, giovanissimo video artista (ma non solo) che, di punto in bianco, sceglie di abbandonare i colli romani a favore di quelli marchigiani: anzi, sarebbe più corretto dire che i colli li ha “piantati” e basta, dato che ha scelto il mare di Senigallia.

Per prima cosa, quella domanda a cui sarai oramai abituato: come mai Senigallia?

E’ stato per intercessione, diciamo così, di Maurizio Cesarini. Ho conosciuto prima lui, durante una collettiva a Roma. Abbiamo stretto da subito un’amicizia fatta di stima reciproca e di scambi professionali. Attraverso lui ho conosciuto Senigallia e subito ne sono rimasto colpito. Mi è piaciuta, l’ho trovata una città viva, mi è sembrata piena di opportunità, ma a misura d’uomo.

Ho sempre trovato Roma una delle città più affascinanti del mondo intero. Io ci sarei andata volentieri a vivere e lavorare, tu sei scappato: non ti manca?

Sì, e molto, anche. Però considera che sono nato e cresciuto fra i Castelli Romani, una realtà non molto distante da quella di borgata o di paese. Ho avuto la necessità di scappare, di evadere altrove, di trovarmi un posto dove non conoscessi nessuno e ricominciare tutto da capo, reinventandomi completamente. All’inizio è stato così, ormai sono a Senigallia da due anni, quindi è un discorso un tantino superato, anche se amo stare per i fatti miei e avere pochi amici, ma buoni. Un altro motivo è che, paradossalmente, nelle grandi città si fa molta più fatica a fare qualsiasi cosa. A volte è davvero difficile intrattenere dei contatti professionali diretti, fatti del “faccia a faccia” utile a costruire rapporti di fiducia e quindi necessari ad andare avanti e a costruire un qualcosa di solido. Vero poi che, mi sono accorto, questo vale un po’ ovunque, di conseguenza anche qui…

Curiosando nella tua produzione “storica” (si fa per dire, data l’età), ho visto installazioni, video, fotografia, il tutto però legato a un mondo prettamente digitale ed elettronico: qualcosa che rimanda al futuribile e al post-umano. Hai sempre lavorato in questo ambito o, in realtà vi sei approdato tramite altro?

Antenna-bag di Emiliano ZucchiniSono sempre stato legato al video e all’elettronica. Solo che inizialmente, l’elettronica soprattutto, la sfruttavo in altro modo: dal ’95 al 2000 avevo un gruppo con cui condividevo la passione per la musica elettronica. Il gruppo si è sciolto, ma a me la passione è restata, tanto che ancora continuo a produrre qualcosa. Nel campo visivo invece, ho cominciato lavorando con tele monocrome nere e cerniere che richiamassero, per fattezza e materiale, il sacco nero che si usa per i cadaveri, nonché un omaggio allo spazialismo di Fontana, anche se reinterpretato. Poi, ho scoperto che a questa soluzione era già giunto negli anni ’60 Elio Marchegiani. L’ho voluto conoscere a tutti i costi e siamo addirittura diventati amici! A quel punto ho però reinterpretato oltremodo il sacco nero, cominciando ad inserire gli schermi e i video televisivi, così che, il cadavere, diventassela TVe ogni mass media in genere.

Gli schermi, le TV, video e antenne: come mai tante proficue analisi sulla diffusione mediale attraverso il caro, vecchio “tubo catodico”?

Il mondo della comunicazione di massa mi ha sempre attirato particolarmente. Per molto tempo mi sono dedicato – e mi dedico tuttora – alla critica televisiva, quindi ho iniziato, per forza di cose, ad affrontare questo settore con un occhio più attento e analitico. Questo vale tanto per il contenuto, quanto per il contenitore. È così che mi è sembrato naturale restituire una sorta di anima agli oggetti mediali. Ciò che intendo dire è che schermi, cavi e antenne (soprattutto queste ultime) possono essere classificati attraverso i loro sensi, la loro capacità di distinguere, ricevere ed emettere segnali. So che può sembrare paradossale parlare di oggetti inanimati e di percezione sensoriale, ma la loro “intelligenza” adeguata a codificare e decodificare messaggi anche complessi, riconsegna loro un’abilità nella comprensione molto simile a quella conferita ai cinque sensi, da sempre monopolio del mondo animale e animato…

Fra la tua produzione ho visto serie fotografiche, installazioni, video e pure video installazioni dedicate a un’approfondita ricerca sulle antenne. Come mai, hai scelto di lavorare proprio sulle antenne?

Croci e antenne di Emiliano ZucchiniMa perché… sono ovunque! Sono migliaia, in ogni paese e in ogni città, a solcare una netta linea di orizzonte e sempre presente fra tetti e cielo. Se guardi Roma dall’alto, ad esempio, vedi solo una ragnatela fittissima di antenne enormi, piccole, piegata dalla vecchiaia e storte dal vento. Ma sono pur sempre antenne che restano lì, slanciate verso l’alto, con la loro dignità di essere fragili e onnipresenti, molto simili alle croci che sovrastano le cupole o gli architravi delle chiese. È su questo che ho voluto lavorare anche… antenne e croci, sono ormai talmente annoverate e stabili nel nostro usuale patrimonio visivo, che non le notiamo più, come fossero elementi invisibili o automaticamente scansati dall’occhio. Sono ovunque e sono belle: come sculture minimali e perfette che l’uomo è stato in grado di rendere tali, solo ragionando sulla loro potenzialità funzionale. Io, vorrei restituirgli una specie di onore estetico, come credo meritino. E voglio farlo ancora per un po’, finché non avrò completamente esaurito questo settore nel mio ambito di ricerca artistico…

Dove ti sta portando questo tipo di ricerca, al momento?

Uomo-antenna di Emiliano ZucchiniAll’uomo antenna… un’identità disturbata, come un segnale che arriva a singhiozzi e che non riesce a prendere campo e stabilità nello schermo. Come se essere umano e “essere” tecnologico si confondessero, fondessero e lottassero per sovrastare sull’altro fino a inglobarlo.

Cambiando argomento… fra le tue serie ho visto numerosi scatti fotografici dedicati ad altrettanti artisti noti. Ci racconti qualche scatto a cui sei affezionato più degli altri?

Yoko Ono di Emiliano ZucchiniE’ vero, per un po’ ho lavorato sui miei miti immortali dell’arte, quelli di cui vorrò per sempre conservare un ricordo… ed è stato proprio con Elio Marchegiani che ho cominciato! Gli scatti a cui sono più legato sono quelli che sono riuscito a rubare a Yoko Ono. Non è stato facile, ma avvicinandola al di fuori di un ambiente iper-protetto dove era presente come ospite, h

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