Acqua pubblica: Libertà e Giustizia Senigallia tuona contro l’immobilismo
"Berlusconi e Monti hanno evitato la questione, ora in mano ai Comuni. A Senigallia si riprenda dibattito"
Era lo scorso novembre quando dopo un ciclo di cinque Commissioni si era arrivati ad una mozione su “acqua bene comune” e “rispetto dell’esito referendario” che trovò un’ampia condivisione in Consiglio comunale.
Si era anche deciso il successivo percorso di approfondimento, sempre in terza Commissione, quello riguardante la modalità di gestione del servizio idrico e quale mandato assegnare al Sindaco in sede di Assemblea dei soci di Multiservizi Spa affinché si rispettasse il voto del 12 e 13 giugno 2011 dove ben 27 milioni di italiani hanno riempito le urne chiedendo che l’acqua tornasse a essere un bene comune, sottraendola al mercato.
Dopo quel referendum Deputati e Senatori non hanno fatto praticamente nulla di fronte a un voto che partiti e forze politiche hanno semplicemente subito, evitando di portare la questione in Parlamento. I governi Berlusconi prima e Monti poi si sono ben guardati dall’avviare un processo legislativo in merito, limitandosi a cercare di ostacolare in tutti i modi l’applicazione dei due quesiti referendari.
Al posto di prendere atto della volontà dei cittadini di sottrarre ai mercati la gestione dell’acqua, si è osteggiato soprattutto il secondo dei due quesiti: l’abrogazione del famoso 7% di remunerazione del capitale, e di conseguenza anche il rispetto dell’abrogazione della privatizzazione del servizio idrico.
Il 7% è stato fatto rientrare con l’idea che si debbano coprire gli interessi pagati per sostenere gli investimenti sotto altre spoglie (“oneri finanziari“) con il nuovo Metodo Tariffario Transitorio 2012-2013 per il Servizio idrico Integrato dell’AEEG approvato il 28 dicembre 2012, come fu per il referendum sul finanziamento pubblico ai partiti.
Parlamento e governo hanno trasformato la questione in un problema locale, lasciandolo ai singoli Comuni. Il Patto di stabilità e i tagli imposti alle amministrazioni hanno così di fatto impedito ai Comuni di agire nel senso del mandato referendario, mettendo in difficoltà i Sindaci per primi sul realizzare il percorso dei due quesiti.
La domanda senza risposta dopo tutto questo percorso è la seguente: l’acqua è “pubblica” quando è gestita con una Spa “a capitale pubblico”? Vi sono perplessità che devono essere affrontate – del resto come da impegno preso dalla Commissione del Consiglio comunale – come quella che una Spa, anche se a totale o parziale capitale pubblico, deve fare profitti e, di conseguenza, si comporta come un gestore privato. Ed anche che una Spa pone il rischio di future privatizzazioni vendendo una quota della società.
Il referendum ha avuto come esito che la gestione del servizio idrico sia pubblica e affidata ad Aziende Speciali, enti di diritto pubblico. Speriamo di vedere presto nella Commissione competente il proseguire doveroso di questa discussione e quale mandato consegnare al Sindaco.
Intanto LeG si augura che la discussione sia costruttiva per Pd, Sel e M5S che possono, a partire da una personalità come Stefano Rodotà, eleggere un Presidente della Repubblica custode del bene comune e dei valori costituzionali, capace di aprire una stagione costituzionale e di cambiamento.
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