Matteo Fraboni: dietro la batteria c’è di più!
Spentesi le luci della Piccola Fenice, torno a parlarne
C’eravamo lasciati i primi di agosto del 2010 dopo il primo incontro-intervista in una panchina del Parco della Pace. Lui si stava arrotolando una sigaretta con la cartina, con la stessa abilità con cui usa le bacchette sugli elementi della batteria. Poi ricordo che ci eravamo sentiti quando aveva messo in cantiere il suo disco “This Is My Music!” e successivamente, quando Confindustria Giovani lo aveva scoperto e lo aveva nominato “Giovane Cavaliere del lavoro delle Marche“. Era il 15 aprile 2011.
Giorni or sono ho saputo che il 12 gennaio, avrebbe finalmente suonato nella sua Senigallia, alla Piccola Fenice, in occasione della presentazione del suo primo CD e sarebbe stato un piacere rivederlo.
Ci siamo dati così appuntamento e ci siamo ritrovati al mattino della vigilia dello spettacolo nella sala-bomboniera con le poltroncine in rosso della più accreditata Fenice.
– Ciao Matteo – gli faccio appena lo vedo. Lui si gira verso di me, si toglie gli occhiali e resta per un attimo disorientato.
– Va bene che son passati due anni e mi sono invecchiato ancora maggiormente, ma non mi riconosci? – Non termino la frase che mi si fa vicino e – Franco! – e mi abbraccia.
Così è iniziato il nostro secondo incontro, che ci ha tenuti vicini, per quasi tutta la giornata.
Lo incontro mentre stanno allestendo il palco su cui si esibirà. Stanno sistemando il pianoforte a coda, mentre dalla parte opposta ci sono le borse contenenti alcuni pezzi degli elementi della batteria che dovranno essere assemblati.
– Vedo che ora sei impegnato e non voglio intralciare il tuo lavoro, quindi mi siedo in un angolo, scatto qualche foto e quando hai terminato, parliamo un po’ di te! Ok!
Mi sorride ed un po’ timidamente mi fa – Se non hai fretta, sistemo allora qua e poi anche tu mi racconti un po’! –
Intanto che il piano viene posizionato e si controllano gli accordi, io, senza un preciso motivo mi ritrovo a contare il numero dei posti a sedere ed a constatare che sono 80. E subito mi chiedo se non siano pochi.
Intanto, per ammazzare il tempo, così sovrappensiero mi ritrovo a scattare qualche foto: la panoramica della sala, il posizionamento del piano, Mat che dà istruzioni ed infine quando inizia a montare la sua batteria.
E da qui allora che piano piano, nel timore di disturbare comincio a muovergli qualche domanda.
“Chi ti ha aiutato Matteo a raggiungere i primi piani alti di questa carriera in due soli anni…?”
“Posso rispondere: NESSUNO!? Sicuramente l’attività musicale mi è cambiata molto dopo che ho iniziato a collaborare con tanti musicisti di livello nazionale nell’ambiente jazzistico che era quello che più mi interessava per suonare questo strumento che come vedi sto montando adesso e che è la batteria. In altri generi musicali è solo il motore d’accompagnamento, molto pesante come volumi sonori. Invece nella musica jazz il fascino di questo strumento è che dialoga, colora e improvvisa nella musica con gli altri strumenti come se fosse al pari di un pianoforte o di un fiato quale la tromba o un sax. Quindi le collaborazioni in tutta Italia sono state la chiave di volta anche dal punto di vista di presenza nel panorama italiano per avere un nome, se vogliamo, tra i giovani che si stavano facendo notare sul territorio nazionale. Nel mio primo ingaggio a Roma sostituii un batterista americano su trecento, quattrocento batteristi che potevano essere al mio posto, segno evidente che in qualcosa mi ero distinto. Poi dopo di questo io mi sono trasferito a Bologna, dove facevo il Conservatorio che ho terminato l’anno scorso e dove da allievo sono passato Professore, in quanto ho vinto ben due borse di studio. Ho collaborato con il conservatorio Martini per un progetto musicale di didattica ai ragazzi delle superiori con il mio professore di corso di Jazz Giampaolo Ascolese, un batterista romano. In seguito mi sono trasferito a Roma dove ci sono una miriade di musicisti, diversi spazi, anche se la vita è abbastanza complessa, però lì sicuramente ho avuto modo di incontrare tanti altri musicisti ampliando le mie collaborazioni e il mio bagaglio musicale. Sono tutte esperienze che ti fanno crescere per quanto riguarda l’abilità musicale, ma ti fanno crescere anche per quanto riguarda la sicurezza personale di sapere come suoni, per come sai fare tutto il resto. Roma mi ha portato anche ad avere la voglia di registrare questo disco a New York, perché io quando ho iniziato a suonare, fin da quando avevo iniziato a suonare a livello jazzistico, il mio sogno era quello di registrare un disco dove la musica era la mia, dove oltre suonare la batteria componevo anche la musica. Ed è quello che ho fatto, che ho registrato a N.Y e che presento qui questa sera. Nella musica Jazz è andata sempre di moda la ricerca del musicista sempre più bravo, spaventosamente più preparato a livello tecnico di un altro, ma a me la competizione della musica è una cosa che non mi ha mai affascinato, bensì invece mi ha attirato di più la ricerca di una identità musicale, di essere un musicista che suona con un determinato stile, che è riconoscibile sia per come suona uno strumento, ma anche e soprattutto per la sua visione musicale. Ovviamente questo è un approccio non dilettantistico né tanto meno commerciale. Comunque la musica Jazz è una musica che non è che ha accesso ad un grande pubblico, purtroppo o per fortuna, non so, come può essere vista. Con questo disco ho cercato, sto cercando e forse ci sono riuscito, a realizzare proprio questa componente qua. Ho firmato un contratto discografico con una delle etichette storiche che si chiama Via Veneto Jazz che racchiude la crema dei migliori musicisti italiani e questo l’ho fatto da solo, e da batterista con un disco che la critica internazionale ha messo il timbro di Modern Jazz.
Quindi un musicista che fa il jazzista, musica che per antonomasia prevede un’evoluzione, un arricchimento di altre musiche tradizionali, di altri posti e va avanti e non scrive come scriveva Charlie Parker, che era un innovatore degli anni ’50, ma scrive come Matteo che vive nel 2012 e quindi è immerso in una dimensione sociale, in una realtà che è diversa da quella degli anni ’50.
Ed è questo che adesso mi mette in una luce, come leader di un quintetto con una identità musicale con un proprio disegno della musica.
Questa sera al pubblico senigalliese chissà se questo modello di jazz sarà digeribile o sarà complicato, ma a me non interessa. Comunque già diversi biglietti sono stati venduti e considerando che il jazz è una musica molto raccolta ed i posti in sala non sono poi tanti, è di già di buon auspicio per la serata”.
“Matteo, credo che avrai notato che il mio modo di colloquiare con te, fin dai primi tempi, non è quello di una intervista di natura tecnica, perché non ne sarei assolutamente capace e come vedi non chiedo nè nomi nè quantomeno scendo in terminologie specifiche della materia. Il mio è un interesse dell’uomo della strada, o se dovessi darmi un tono, di informarmi su notizie che potrebbero essere necessarie per costruirti una biografia su Wikipedia, perché oramai sarebbe ora. Allora tu mi hai parlato di essere andato a New York ad incidere un disco. Come se fosse la cosa più semplice di questo mondo. Ma come hai fatto, che difficoltà hai incontrato se le hai incontrate, chi ti ha finanziato… E come è nata la storia degli Awards…?”
Matteo sorridendo e prendendo un trepiede della batteria per continuare nel montaggio, mi interrompe proseguendo nel racconto e partendo dall’ultimo pezzo della mia domanda.
“No, Franco erano semplicemente dei soldi che mi ero guadagnato e che ho utilizzato per fare questo lavoro. A parte l’edizione, la pubblicazione del disco il resto ho fatto tutto io, tutto, dall’inizio alla fine, dal disegnare le pagine del sito per poi passare alla grafica, alla copertina del disco, a tutto quello che c’è scritto, l’utilizzo delle foto, a come è fatto il CD, l’ordine dei brani il perché di ogni brano che in qualche modo per me era una cosa intima dal momento che per me ogni brano era stata dono di una esperienza: che fosse stato il primo viaggio a N.Y. o l’esperienza in Africa quando sono stato per quasi due mesi piuttosto che una qualsiasi altra. Un brano ad esempio mi è venuto in mente quando in un anno ho fatto 88 mila Km con la macchina e quando passavo le ore in macchina oltre che ascoltare musica me ne canticchiavo altra che avevo in testa, perché i musicisti hanno un po’ questa tendenza, ripassarsi delle melodie, cose così, e quindi un brano è nato in questo modo. Ci sono state poi altre tendenze: un valzer molto più nostalgico che scrissi quando avevo 22 0 23 anni – ne parla come se parlasse della notte dei tempi, non tenendo conto che oggi ne ha solo 29! – che ho scelto di ritirare fuori per registrare questo disco, perché mi rappresentava, sempre per portare ad un discorso di identità musicale. E questo con il contratto discografico, la distribuzione all’estero del disco e tutto il resto, credo di aver fatto i passi giusti per iniziare a sviluppare questa dimensione qua, che per avere 29 anni credo che sia un lavoro abbastanza discreto e nel quale mi sono profondamente impegnato. Quindi mia intenzione è quella di avere la possibilità di continuare sicuramente a fare la cosa che più mi piace: fare musica ricercata e sempre con una mia impronta”.
“Vuoi, per dirla in breve, che chi ascolta la tua musica, un tuo disco, la identifichi immediatamente: questo è Matteo Fraboni,…giusto?”
“Esattamente, proprio perché sono consapevole che il linguaggio che utilizzo non è un linguaggio alla Madonna degli anni ’80, la cosa che mi interessa di più è quella lì senza per forza rifarmi ad un modello o alla tendenza del momento…”
“Si, perché le tendenze poi passano e la buona musica rimane…”
“…appunto e l’identità ugualmente. Poi dopo sono pienamente consapevole che ci saranno persone a cui può piacere ed ad altre no, questione di gusti, ma credo andare a vedere un concerto di Jazz, nelle sue multiforme, è un’esperienza per chiunque, appassionati e non.
Ahh mi chiedevi anche degli Awards. Posso dirti che mi ha informato della cosa il discografico, (in quanto avendo pubblicato un disco di un certo livello…), il resto, per arrivarci bisogna ‘fare’ il musicista, con le collaborazioni, le produzioni discografiche (CD prodotti ed editi da etichette discografiche vere…), concerti etc. … altrimenti non ha senso candidarsi. Per me, in più le gare lasciano sempre il tempo che trovano…a meno che non sei un velocista, un atleta, non un musicista! Come far fare una gara a Van Gogh e Gauguin, chi vince? Chi va più veloce con il pennello? Non credo proprio…..e comunque ancora non ho visto i risultati”.
“Comunque ritornando al disco, sei soddisfatto per come sta le vendite e per quanto ti sta portando a livello di notorietà?”
“La mia casa discografica è la migliore d’Italia. Per quanto riguarda la distribuzione del disco è stata fatta in Italia, in Francia, in Inghilterra, in Giappone dal gruppo EMI (colosso dell’industria discografica mondiale), quindi per quello non ci lamentiamo, (!) per i concerti qualcosa si sta muovendo, sembra che ci sia un contatto per Sofia, per presentare il mio progetto lì e… ci diamo da fare, dall’estero mi contattano in tanti. Le vendite del disco sono ottime, aspettiamo di vedere i prossimi sviluppi dato che siamo appena partiti”.
“Questa sera, se non sbaglio, chi suona con te non sono gli stessi artisti che hanno inciso il disco a “Brooklyn”?”
“No non sono quelli Newyorkesi, sono tutti italiani, perché purtroppo qui in Italia non ci sono le condizioni economiche per promuovere le serate. Questi sono in effetti i due quintetti:
MATTEO FRABONI QUINTET “USA”
George Garzone sasofono tenore
Logan Richardson sax alto
Aruan Ortiz piano/rhodes
Rashaan Carter contrabbasso
Io- drums, dirctions&compositions
MATTEO FRABONI QUINTET “ITA”
Massimo Morganti trombone, effects
Simone Lamaida sax alto,effects
Emilio Marinelli, piano/rhodes
Gabriele Pesaresi, contrabbasso
Io – batteria, direzione, composizione.
“Altre serate, altro lavoro, progetti …?”
“Dopo questa serata io continuerò a lavorare per la promozione sempre di questo progetto in Italia e all’estero perché suonare all’estero è una cosa che mi fa sempre molto piacere”.
A questo punto un lungo rullare dei tamburi, un battere di piatti interrompe il suo parlare, ed appena le note svaniscono, Matteo guardando la sua batteria, ad un tratto esclama:
“Bella eh, vero, Franco?”
Io guardo prima la batteria, poi rivolgo un’occhiata alle poltroncine rosse, dove è seduta tranquillamente intenta ad osservare il suo telefonino, la sua ragazza che poco prima mi aveva presentato. Poi comprendo che l’esclamazione è rivolta alla sua batteria e visto il mio attimo di imbarazzo mi spiega:
“Io ora ho solo questa qua, ma sai questa qui è un gioiellino. Ce ne sono meno di 100 pezzi in tutto il mondo. Comperata in Arkansas pochi mesi fa ed è una delle migliori prodotte nella storia. La Gretsch è un marchio storico. E’ una batteria che fai conto che sia una Stradivari delle batterie. E’ americana, è tutta originale, non è una batteria pesante e questo oramai è diventato il mio set. Quando andavo a Roma mi è capitato spesso di portarmi solo i piatti perché sono legato come sai ad una sponsorizzazione con la ditta turca.
Questa sera sto curando tutto il progetto nei minimi dettagli, dal pianoforte, contrabbasso, tastiera elettronica, poi i due fiati in mezzo composti da un trombonista con gli effetti, perché mi piace sperimentare proporre la musica elettronica però fatta dai musicisti in acustico che mi affascina troppo, il sassofonista contralto e logicamente io alla batteria”.
Altro rullo di tamburo, la batteria è a posto, allora si porta al piano e con una scorsa veloce delle dita sulla tastiera una scala a controllare l’accordo, ma anche a chiudere questa chiacchierata.
Così facendo ci diamo però l’appuntamento per lo spettacolo serale.
Io come al solito giungo un pò prima, la sala si sta riempiendo, ma quello che noto subito si stanno aggiungendo altre sedie ed alla fine vengo a sapere che neppure quelle sono state sufficienti ed alcuni spettatori sono rimasti in piedi.
Degli 80 posti disponibili, si è arrivati alle 130 presenze circa e addirittura alcune persone sono rimaste fuori. Un vero successo se si pensa che questo tipo di musica si potrebbe osare il dire che è riservata a degli intenditori dall’orecchio sopraffino, come quello dei famosi occupanti dei “loggioni” scaligeri e del “Regio” di Parma. Anche il pubblico della Piccola Fenice è stato attento, coinvolto ed estremamente Caloroso. Ha infatti chiesto ed ottenuto il bis e tutto l’insieme dello spettacolo offerto dal quintetto è stato di altissimo livello e quindi apprezzatissimo. Quello che ha fatto oltremodo piacere è il vedere che sono stati venduti anche diversi dischi insomma un vero ‘successo’… come si suol dire.
E credo che la macchina si sia solo messa appena in moto e Matteo mi fornirà quanto prima, altre interessanti occasioni per ritornare ad informare ed aggiornare i suoi concittadini sul suo percorso che ci rende tutti orgogliosi del suo lavoro.
Allegati
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Guarda il VIDEO: prove tecniche alla Piccola Fenice
Sei stato bravo anche perchè il tuo spirito curioso ti ha portato oltre a quanto pensavi, tutto il mondo musicale detto nei particolari mi ha fatto capire che esiste tanto che io non so ma è parte di un mondo affascinante.Bravo Franco per quanto spieghi e sei capace di non commuoverti bensì scendere nei particolari che sono inerenti il mondo dell'artista da te fattoci conoscere.
Ho visto il video che mi è servito, resto in attesa del seguito dell'avventura musicale del nostro geniale cittadino.Complimenti a te ed a Fraboni.....ciao caro ,
il tuo amico dario.
www.dariopetrolati.it
dario petrolati-
"Ciao a tutti,
oggi ho il piacere di comunicarvi che un brano del mio disco, 7 on 4 (Exit Whole), è stato scelto come colonna sonora di "UNCONFORTABLE SILENCE", Short Film diretto da Gabriele Altobelli, Official Entry at the 2013 SOHO International Film Festival of New York City. ENJOY! "
Uno dei pochi in Italia che vede una luce, ma intensa, in fondo al tunnel... e non è un treno che venga contro, ma un successo sempre più a portata di mano!!
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