Spese veterinarie nel redditometro: Silvana Amati fortemente contraria
La senatrice di Senigallia: "Non è questo il modo per scoprire l'evasione. Sono con gli animalisti"
Condivido l’allarme sollevato dalle associazioni animaliste contro la proposta di inserire le spese veterinarie nel redditometro, nell’illusione di far così emergere l’evasione fiscale. Non è questo il modo.
Già in un articolo del novembre 2011 polemizzavo contro la politica-spettacolo dell’allora Governo Berlusconi a fronte della decisione dell’Agenzia delle Entrate di inserire appunto le spese veterinarie nel redditometro. Scrivevo allora che “è sbagliato considerare gli animali generi di lusso”, con le spese veterinarie e per i generi alimentari tassati addirittura al 21%; quando le cure veterinarie sono un obbligo di legge sia per gli animali domestici sia per quelli di allevamento, ma non possono divenire un onere insostenibile per i privati e per le imprese agricole. Tanto più poi che un animale è spesso l’unico conforto proprio delle persone più deboli, sole e meno abbienti.
Si tratta di un problema culturale e di civiltà, prima ancora che politico. Gli animali non sono meri “oggetti di utilità” per il lavoro dei campi o passatempo per ricchi, ma soggetti senzienti, capaci di reagire in modo complesso fra di loro e con gli esseri umani. Non cose da inserire nel redditometro e da sottoporre a esose tassazioni, che non hanno riscontro in Europa.
La lotta all’evasione è una priorità del programma di governo del centro-sinistra, ma è altresì parte di un progetto culturale e civile alternativo alla destra di cui il rispetto e la tutela degli animali è elemento qualificante.
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