La riqualificazione di Piazza Garibaldi non può ignorare la tutela archeologica
Italia Nostra: "Si spera che almeno in questo caso si possa avere una visione preventiva degli elaborati"
Con il prossimo avvio del progetto di riqualificazione del comparto detto “orti del vescovo” di fianco all’episcopato si procederà al rifacimento della pavimentazione di piazza Garibaldi. Trattandosi di uno spazio di grande valenza strategica per la città, si spera che almeno in questo caso si possa avere una visione preventiva degli elaborati al fine di un confronto in ambito istituzionale e poter esprimere un parere.
In ogni caso abbiamo già fatto presente quello che a nostro parere rappresenta la chiave di interpretazione di tutto lo spazio e cioè la percezione della sua unitarietà e indivisibilità, senza distinzione fra piazza e strade ed eliminando quindi insieme alle alberature quella la sopraelevazione centrale introdotta non si sa quando, che spezza l’unità e la piena fruibilità dello spazio e taglia la veduta dei palazzi.
Ma c’è un’altra questione aperta che riguarda il destino di questo spazio ed è quella relativa alla possibilità di conoscere e studiare ed eventualmente valorizzare le testimonianze archeologiche sottostanti.
Come è noto ancora nel ‘700 tutta questa area fuori delle mura cinquecentesche denominata i “Prati della Madddalena” conservava vestigia e reperti della città antica e i ritrovamenti nell’area dell’Opera Pia e nelle cantine del vescovato, oltre quelli recenti in via Cavallotti, testimoniano la centralità di questo settore urbano in età romana. Perciò, prima di coprire tutto lo spazio con una spessa coltre di cemento, è assolutamente indispensabile attuare saggi di scavo seri e sistematici per verificare la consistenza, la qualità e il valore storico di quello che si nasconde nel sottosuolo.
Anche qui sarebbe opportuno attuare quella buona pratica di archeologia preventiva sperimentata positivamente in altri parti della città ed elaborare fin da ora un progetto di scavo nell’ambito del progetto di archeologia urbana gestito dall’Università di Bologna. Indispensabili a questo riguardo il ruolo della sovrintendenza archeologica e del Comune e auspicabile il sostegno di sponsorizzazioni private.
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