Batteria, Jazz e …’This is my Music’: intervista a Matteo Fraboni
Il batterista senigalliese presenterà il 12 gennaio alla Piccola Fenice il suo album
Classe 1983, Matteo Fraboni è considerato uno dei talenti jazzistici più brillanti sul panorama nazionale. Il suo primo disco, This is my Music, edito dalla nota etichetta Via Veneto Jazz e registrato a New York, è già distribuito in Francia, Inghilterra e Giappone dal gruppo EMI. Una rivista come 5 Stars!Critical Jazz US lo ha definito “Un artista di finezza, eleganza e fierezza… un debutto letteralmente impeccabile e un artista il cui nome si ricorda facilmente”.
Ecco l’intervista di Senigallianotizie.it rilasciata da Fraboni alla vigilia della presentazione ufficiale del suo This is my Music alla Piccola Fenice.
Partiamo dall’inizio: come nasce il Matteo Fraboni musicista? Quando hai capito che la tua passione sarebbe diventata la tua professione?
Credo che il ‘me’ musicista sia nato gradualmente, in quanto in maniera spontanea mi sono avvicinato alla musica da bambino: ricordo che passavo molti pomeriggi ad ascoltare musica alla radio e in casa avevo alcuni strumenti giocattolo tra cui una tastiera ed è stato proprio con quella che mi sono avvicinato incosapevolmente alla musica (avevo circa 7/8 anni). Ho scoperto la batteria ascoltando alcuni dischi che mi diede un amico, rimasi completamente affascinato dall’energia di questo strumento, avevo 13 anni e già a 15 ero pienamente convinto che nella mia vita volevo fare il musicista, suonando la batteria.
Quali sono state le tappe fondamentali che ti hanno fatto diventare il musicista che sei oggi?
Le tappe principali sono senza dubbio la moltitudine di esperienze fatte negli anni di studio, i seminari, le masterclass, suonare in diverse realtà musicali e in differenti stili musicali. Tutto questo mi ha portato in ultimo ad amare la musica jazz, perché storicamente si è sempre arricchita da altri generi musical; la possibilità di utilizzare un linguaggio ‘forbito’ (in senso musicale), per comporre e suonare qualcosa di personale, è stata sicuramente la cosa che più desideravo e che più mi interessa oggi di questo linguaggio. Non per ultime le collaborazioni nel corso degli anni con importanti musicisti (F.Zeppetella, Dario Deidda, Aruan Ortìz, Tino Tracanna, Barend Middellohf, Logan Richardson, Rashaan Carter, George Garzone ed altri), che mi hanno portato in ogni concerto ad imparare qualcosa, fino a che ho iniziato a maturare l’ idea di realizzare un progetto a mio nome, dove oltre suonare la batteria volevo suonare ‘la mia musica’ e cioè quella che sentivo dentro, ispirandomi ai grandi del jazz e cercando di mettere ‘del mio’ in quello che facevo.
Quali sono i musicisti che più ti hanno influenzato nella tua formazione? Quali sono le tue figure di riferimento per la batteria?
Emulare i miei riferimenti, primi su tutti i batteristi Elvin Jones, Tony Williams e Art Blakey, per quanto riguarda i giganti della batteria jazz di questo secolo, è stata una parte importante della mia formazione.
Prima di iscrivermi al conservatorio, ho studiato privatamente con molti musicisti interessandomi a tanti linguaggi musicali, (rock, pop, funk, jazz, latin, tradizione indiana, africana, elettronica, etc. …). Essendo partito come autodidatta, ho sviluppato un’indole ‘da autodidatta’ e cioè ogni qualvolta mi sono trovato davanti un nuovo argomento, ho sempre cercato di compararlo con le conoscenze precedentemente acquisite, cercando di trarne una conclusione ed un metodo personale di utilizzo. Un ruolo fondamentale lo ha giocato l’ascolto della musica: soprattutto per un batterista, allenare l’orecchio ad ascoltare il più possibile, è cosa fondamentale.
Il tuo disco di debutto ‘This Is My Music’ sta raccogliendo una miriade di recensioni più che positive da molti addetti ai lavori tra cui Tokyo Jazz Notes (“è un album davvero piacevole e segna l’arrivo di un nuovo talento”), 5 Stars!Critical Jazz US (“Un artista di finezza, eleganza e fierezza… un debutto letteralmente impeccabile e un artista il cui nome si ricorda facilmente!”) o anche Jazzit (“Ottimo livello di gruppo performativo che testimonia la spiccata personalità di Matteo Fraboni”)… Ti aspettavi questo tipo di accoglienza?
Sinceramente no e ne sono rimasto molto colpito. Posso dire di avere fatto del mio meglio e che continuerò a farlo, proprio perché grazie a questa esperienza ho maturato molti aspetti della mia persona, sia come musicista che non; essendo questo un punto di partenza, la mia intenzione è quella di continuare a studiare e migliorarmi.
This is my Music è stato interamente registrato a New York con un quintetto di eccezione … che ti è rimasto di questa esperienza?
Di questa esperienza mi è rimasta la semplicità ed “il credo” che hanno i musicisti americani, cosa che in Italia non è mai troppo scontata. Fare musica per loro è normale ed è come ci fosse un solo modo per farla…Effettivamente se consideriamo che non abbiamo praticamente fatto prove, il risultato è stato sopra le aspettative, tanto che i brani originali registrati non li avevo mai suonati neanche io ma sono venuti esattamente come li immaginavo.
Tra i musicisti con cui hai registrato il tuo album c’è anche un certo George Garzone, una sorta di mostro vivente, considerato l’erede di Coltrane: come è stato lavorare gomito a gomito con un mostro vivente?
George si è rivelato un musicista di una disponibilità rara e, nonostante sia un vero gigante a livello mondiale (è anche professore al Berklee di Boston), il suo approccio musicale è molto pragmatico. George Garzone è attaccato alla tradizione jazzistica della sua terra ma, quando ho portato questi brani di concezione più moderna, George mi chiamò addirittura la sera stessa, dopo la registrazione, per dirmi che la musica gli era piaciuta e che era suonata bene, piena di energia e che questo aspetto era il più importante.
Come mai hai scelto di registrate a NY il tuo disco? Qual’ è la situazione del movimento jazzistico italiano odierno?
Mi ero trasferito da poco a Roma e, nonostante le esperienze didattiche e musicali positive che ho avuto, ho pensato di registrare il mio primo disco a New York, in quanto avevo suonato da poco con il pianista Aruan Ortìz residente a Brooklyn. Credo che in Italia ci sia molto fermento ma pochi spazi e, a differenza di altre realtà europee o statunitensi che ho visto personalmente, ci sia una grande differenza tra le possibilità di presentare progetti tradizionali e non.
Dopo la presentazione ‘in patria’ alla Piccola Fenice, come proseguirà la promozione dell’album e della tua carriera?insomma … progetti futuri?
Presentare il mio disco in patria è una cosa molto bella, emozionante e che mi fa estremo piacere. La promozione dell’Album continuerà nei club italiani e non solo. Tra i progetti futuri rientreranno anche l’attività didattica presso l’Accademia Musicale di Pesaro e altre scuole della zona e le collaborazioni con altri musicisti.
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