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“L’università italiana? Un fallimento totale. Meglio non laurearsi”

E' la tesi di un libro che sta facendo discutere, scritto da uno studente di 21 anni

Optovolante - Ottica a Senigallia
Lezione universitaria

Lui si chiama Simone Colapietra, e per la gran parte dei lettori è niente più che un illustre sconosciuto.

Ma nell’ambiente universitario italiano, da diverse settimane, sta facendo discutere per alcune sue idee particolarmente critiche sul funzionamento degli atenei italiani, sulla talvolta scarsa serietà di chi vi insegna e sull‘(in)utilità della laurea.

Critiche pesanti, magari già esposte da altri in passato, con la differenza però che stavolta sono state messe su un libro che proprio nelle università italiane viene presentato in questi giorni. E con un piccolo particolare: l’autore, Colapietra appunto, ha soltanto 21 anni ed è uno studente di Economia e Commercio.

Nell’edizione del 2 novembre Senigallia Notizie ospiterà una lunga intervista esclusiva allo stesso, ma è intanto opportuno segnalare alcuni punti cardine di questo piccolo opuscolo (84 pagine), che vanta un titolo che è tutto un programma – “Il fallimento dell’Università italiana” – e che è stato pubblicato dalla casa editrice Cerebro.

Come Colapietra premette, l’obiettivo dell’opera “è rompere le troppe false speranze di chi si iscrive all’università, perché è meglio una delusione vera che una gioia falsa”.

L’università italiana, continua, “non funziona e non serve, in quanto crea una società di laureati dietro ai quali si camuffano però un sacco di ignoranti e incompetenti. L’idea odierna è che senza università non si trovi lavoro. Io con questo libro oltre a voler analizzare il fallito sistema universitario italiano, voglio dimostrare il contrario: l’università in alcuni casi è del tutto inutile, spesso controproducente per la ricerca di un lavoro. E per come funziona ora è parzialmente complice della disoccupazione”.

“Negli ultimi anni – spiega Colapietra – si è assistito alla produzione in serie di laureati, che ha fatto seguito alla diffusione esagerata di lauree triennali prive di valore e dai curiosi appellativi (“Scienze per la pace”, “Scienze dell’allevamento, dell’igiene e del benessere del cane e del gatto”, “Lingua, letteratura e cultura della Sardegna”, “Produzione e lavorazione del latte e dei derivati”). Molti, ma non tutti i mali, hanno origine dal sistema del 3+2 (triennale+biennio specialistico), che ha deteriorato il valore della laurea”.

Il biennio specialistico secondo l’autore del libro infatti “non serve a nulla, se non a ripetere esami già sostenuti in malo modo alla triennale; soprattutto, ed è la cosa più grave, l’Università italiana non offre più preparazione culturale. Il 21% dei laureati
italiani è fermo al livello elementare di decifrazione di una pagina scritta e non riesce ad andare oltre. Lo dicono le statistiche ufficiali: d’altronde, il tempo per approfondire è sempre meno, mentre gli esami sono sempre di più”.

La requisitoria continua con un linguaggio equilibrato e che si avvale dell’utilizzo di dati nazionali ed internazionali, ma che non nasconde i problemi: il sistema del numero chiuso per l’accesso agli atenei ad esempio “può favorire le raccomandazioni”, i master post laurea nella gran parte dei casi sono solo “mezzi per arricchire gli stessi atenei che li organizzano”, i volumi per le lezioni consigliati dai docenti sono spesso “mediocri libriccini che hanno scarso valore scientifico“; per non parlare della figura peggiore, che per Colapietra è quella dei baroni universitari “elemento delinquenzale a tutti gli effetti, un criminale che, a parte poche eccezioni, generalmente utilizza l’università pubblica come un’azienda privata”, occupando posti per sè stessi e per le loro “parentopoli”.

Colapietra risponderà su quella che è stata la reazione del mondo accademico, approfondendo alcuni aspetti del libro e ipotizzando alcune soluzioni all’“attuale fallimento dell’università italiana”, nell’edizione del 2 novembre di Senigallia Notizie.

Commenti
Ci sono 9 commenti
Un povero tra i poveri (di politica) 2012-11-01 13:02:31
"FINALMENTE"
Complimenti Simone. Finalmente un giovane che scrive quello che molti giovani pensano ma non hanno il coraggio di combattere il sistema. Mi piace il modo con cui lo ha fatto Simone dicendo la verità di quel sistema fatto da Baroni (anche loro) che nel 68 hanno combattuto le ISTITUZIONI usando mezzi estremi e non leciti ed ora che sono li si comportano peggio di quelli che hanno combattuto. Il sistema è tutto falso quindi un Bravo a Simone che ha trovato un modo legale per combatterlo.
giulio barbieri 2012-11-01 13:49:07
Parole sante....Fa impressione che a dirle sia un ventunenne...(a queste conclusioni ci sono arrivato, dopo laureato, successivamnete..) Mi piacerebbe leggere il libro. Saluti a tutti i lettori.
Simone P. 2012-11-01 19:49:19
Mi fa piacere vedere che qualcuno comparte l'opinione di un ragazzo giovane e dalle idee chiare...cosi' come mi fa piacere vedere che avevo ragione nel sostenere che il 3+2 del nuovo ordinamento, entrato in vigore circa 10 anni fa, era ed é un totale disastro che scredita il valore dei corsi di laurea stessi...chissa' se qualcuno dei miei ex compagni di facoltá leggera' questo mio commento ed(ora) mi dara' la soddisfazione di essere della mia stessa idea!
Saluti!
Andrea Cesanelli
Andrea Vercellik 2012-11-01 22:04:56
La questione non è più la diagnosi del male, ma l'individuazione di una cura da prescrivere.
Alessia N. 2012-11-01 22:18:14
premesso che condivido le riflessioni varie sul baronato e sulle mille difficoltà e mancanze del sistema universitario italiano, tuttavia trovo eccessiva l'idea del "totale fallimento". sono sempre convinta che se uno evita di andare a trovare il corso di laurea sconosciuto in "scienze del non so cosa" per farsi 3/4/5 anni lontano da casa ma punta su facoltà più tradizionali, possibilmente area scientifica e le fa seriamente e in tempi ragionevoli...qualche frutto si possa raccogliere. o almeno sperarci. se rinunciamo anche a questa di speranza...non ci resta che piangere (o giocare a win for life... che mi pare essere diventata una alternativa valida presa in consoderazione da molti..) la cultura e
la preparazione sono la base per crearsi un decente percorso professionale...e se l'università pecca nell'offrirci poco, forse è meglio consigliare agli studenti di darsi da fare il doppio per sfruttare al massimo quel poco che l'università ha da offrire, piuttosto che lasciar perdere perchè nn ne vale la pena. ne vale sempre la pena.
Andrea Cesanelli
Cesanelli notturno Andrea 2012-11-02 00:03:30
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Andrea Cesanelli
Cesanelli notturno Andrea 2012-11-02 00:04:07
'Di qualsiasi cosa i mass media si stanno occupando oggi, l'università se ne è occupata venti anni fa e quello di cui si occupa oggi l'università sarà riportato dai mass media tra vent'anni. Frequentare bene l'università vuol dire avere vent'anni di vantaggio. È la stessa ragione per cui saper leggere allunga la vita. Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e incontrato nani e giganti. Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità.'
O. Manni
Paul Manoni 2012-11-02 11:15:49
Per "rompere le troppe false speranze" di chi si iscrive all'università oggi, serve semplicemente intraprendere quel percorso, senza le aspettative con cui è stato finora intrapreso. Desideri ed aspettative che non vengono esaudite al termine degli studi, automaticamente generano frustrazione...Molta frustrazione. Sono certo che sarebbe diverso, se il percorso di studi universitari, fosse fatto per il semplice arricchimento personale, o per la conoscenza fine a se stessa, rispetto che con il fine ultimo di ottenere l'occupazione precisa per la quale ci si specializza. Almeno su questo, Colapietra ha ragione da vendere.
Dino Candido 2013-08-26 15:16:18
Sono d'accordo, io lo dico da una vita, molti professori sono anche ignoranti, messi per raccomandazione. Abbiamo perso per le facoltà tecniche quasi ogni legame col tessuto produttivo che sta andando altrove, nel migliore dei casi questi professori possono insegnare tecnologia degli anni 70, completamente inutile. Passano la vita a spartirsi posti e a litigare su commissioni senza dare nulla alla società
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