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Il 19 luglio 1992 moriva Paolo Borsellino: quale verità 20 anni dopo via D’Amelio?

Tanti i lati oscuri da chiarire e l'ombra di un patto tra Stato e Mafia mai dissolta

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Paolo Borsellino insieme a Giovanni Falcone

Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo“.

Paolo Borsellino

Il 19 luglio 1992 il magistrato Paolo Borsellino perdeva la vita nell’attentato di via D’Amelio. Una Fiat 126 con circa 100 kg di tritolo a bordo detonò al passaggio del giudice uccidendolo sul colpo. Con lui persero la vita anche i cinque agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. All’esplosione scampò miracolosamente solo Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta.

Pochi mesi prima, il 23 maggio, Giovanni Falcone era stato fatto saltare in aria nei pressi dello svincolo di Capaci a pochi chilometri da Palermo con 500 kg di tritolo posizionati in una galleria scavata sotto l’A29.

Esplosioni che non hanno spazzato via né l’idea né il messaggio che Paolo Borsellino e Giovanni Falcone hanno trasmesso con la loro dedizione alla lotta alla mafia. Falcone e Borsellino hanno il merito di aver compiuto una vera e propria rivoluzione culturale di cui il nostro paese in quegli anni particolarmente bui aveva bisogno; una visone ‘nuova’ di giustizia che non si è spenta assieme alle loro vite.

Eppure, vent’anni dopo il biennio 1992-93, passato agli annali come ‘le stagioni delle stragi’, rimangono insolute troppe domande che l’Italia non riesce e non può lasciarsi alle spalle. Basti pensare che le sentenze di colpevolezza di svariati protagonisti di quegli attentati sono state negli ultimi anni, completamente ribaltate: sono emersi depistaggi colossali, inquinamento di prove e test fasulli.

Per le generazioni che non hanno vissuto quegli anni è veramente difficile cercare di capire quali fossero le parti in causa, chi fosse il ‘male’ e chi il ‘bene’ e se mandanti ed esecutori giocassero o meno nella ‘medesima squadra’.

Chi sono quelli che la stessa Corte d’Assise di Caltanissetta ha definito come ‘mandanti oscuri‘.

Ecco, questa la domanda che più di ogni altra tormenta l’Italia da 20 anni: Cosa Nostra ha agito autonomamente o sulla base di patti oscuri? Esiste il tanto discusso patto tra Mafiae Stato?. L’ Argomento  è tornato tremendamente in voga in questi giorni con la chiamata in causa nella medesima inchiesta di Marina Berlusconi  per fare chiarezza tra i presunti rapporti di Silvio Berlusconi e Dell’Utri.

Proprio nell’ultima intervista rilasciata da Borsellino prima dell’attentato, il magistrato affermò: “All’inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo di poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso”.

Tanti i lato oscuri ancora da chiarire e c’è chi da anni si batte nella speranza che la verità venga a galla: Salvatore Borsellino, fondatore di www.19luglio1992.com da anni sostiene e si batte per una versione diversa dalla storia ufficiale:

Perché quello che è stato fatto è proprio cercare di fare passare l’assassinio di Paolo e di quei ragazzi che sono morti in via D’Amelio come una strage di mafia. […] Hanno messo in galera un po’ di persone – tra l’altro condannate per altri motivi e per altre stragi – e in questa maniera ritengono di avere messo una pietra tombale sull’argomento. Devo dire che purtroppo una buona parte dell’opinione pubblica, cioè quella parte che assume le proprie informazioni semplicemente dai canali di massa – televisione e giornali – è caduta in questa chiamiamola “trappola” […] Quello che noi invece cerchiamo in tutti i modi di far capire alla gente […] è che questa è una strage di stato, nient’altro che una strage di stato. E vogliamo far capire anche che esiste un disegno ben preciso che non fa andare avanti certe indagini, non fa andare avanti questi processi, che mira a coprire di oblio agli occhi dell’opinione pubblica questa verità, una verità tragica perché mina i fondamenti di questa nostra repubblica. Oggi questa nostra seconda repubblica è una diretta conseguenza delle stragi del ’92 “.

Una verità che potebbe trovarsi forse in quella che è stata definita ‘la scatola oscura della seconda Repubblica‘: l‘agenda rossa scomparsa in quel 19 luglio 1992.

Nella speranza di conoscere la verità definitiva dei fatti, ci rimane l’eredità e l’insegnamento di Borsellino da preservare e tramandare alle generazioni future.
Un giudice vero fa quello che ha fatto Borsellino, uno che si trova solo occasionalmente a fare quel mestiere e non ha la vocazione può scappare, chiedere un trasferimento se ne ha il tempo e se gli viene concesso. Borsellino, invece, era di un’altra tempra, andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibili.
(Antonino Caponnetto, su Borsellino in un’intervista a Gianni Minà, maggio 1996)

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