La storia di Ostra attraverso i primi cento anni del Giornalaio della città
Uno sguardo alla ricerca delle botteghe che furono...e che sono tuttora, grazie alla famiglia Barchiesi
Nei giorni scorsi nella elegante cornice del Teatro Comunale “La Vittoria” di Ostra è stato presentato il libro “Alla ricerca delle botteghe perdute” a cura di Bruno Landi. Un omaggio ad Ostra, all’artigianato e al commercio locale.
Un itinerario composto da foto, documenti, ricordi per non dimenticare l’identità più profonda del paese. In questo contesto va ad inquadrarsi la storia della famiglia Barchiesi che proprio in quest’anno festeggia i suoi primi 100 anni di attività.
Nel luglio del 1912 Fermigliano Barchiesi (1896 – 1939), garzone presso il Caffè del Teatro di Ostra, all’età di 16 anni decise di mettersi in proprio ed intraprese una specie di commercio ambulante. All’inizio la sua attività affiancò quella di ragazzo tutto fare nel salotto cittadino. Acquistò una vetrina da banco per l’esposizione e lo spaccio di cartoline e carta da lettere sotto il porticato comunale, investendovi un capitale iniziale di Lire 10.
Nel suo primo registro di contabilità, “Conto per incassi spese guadagni“, annota felicemente che in quel primo anno, “avendo acquistato e non avendo tolto il guadagno,” a fine esercizio ha a disposizione £. 65. Nel 1913 incassa £. 1325,49 contro una spesa di £. 1105,30 con un guadagno netto di L. 224,19 e un capitale di L. 100,00. Dal 1914 non annota più nulla nel registro.
La sua attività si sposta dagli archi del Comune a quelli della Chiesa di San Francesco e, ambiziosamente, nel 1915 diventa “editore“, commissionando la sua prima cartolina illustrata di Ostra.
A 19 anni è quindi un “mini” commerciante. Vende un po’ di tutto: cartoline e carta da lettere, ma anche becche, noccioline, caramelle di panna, d’orzo e di caffè, che confeziona in piccoli cartocci da vendere durante gli spettacoli e i ritrovi mondani al Teatro Comunale.
Sicuramente non fece il militare e non partì per la guerra (1915/18), perché a lui spettava il compito di “capo famiglia“, dovendo mantenere le tre sorelle più piccole: Emma (1898), Arduina (1901) e Quartina (1904). Il padre Domenico era infatti morto giovanissimo a 34 anni, il 24 dicembre del 1905, quando Fermigliano non aveva compiuto ancora 10 anni.
Insieme alla mamma Anna Mazzanti (1872 – 1944) e alla nonna materna, Maria Abbrugiati, tirava avanti come poteva. La morte prematura del babbo incise anche sugli affetti familiari, che furono rivolti maggiormente verso la famiglia della mamma. Ciò avrà notevole importanza anche nel matrimonio quando, al termine della “Grande Guerra“, conoscerà e sposerà Ventesima Sellari, già legata da vincoli di parentela proprio con la mamma Anna.
In una nota del 23 settembre del 1919, conservata presso l’archivio storico di Ostra, riguardante un’indennità di viaggio e di soggiorno in Ancona dinnanzi al Consiglio di Leva, la sua professione risulta quella di giornalaio.
Quando il 6 agosto del 1922 nasce il primo figlio, a cui mette nome Domenico, in ricordo del padre, gestisce con la moglie Ventesima il negozio di verdura e generi vari, giornali, merceria ed altro, in Via Gramsci, proprio nel sito ove cinque lustri prima esisteva la Chiesa Parrocchiale di Santa Lucia.
Fermigliano, però, continua anche la sua attività commerciale sotto il porticato di San Francesco, dove tra il 1918 e il ‘19 il falegname Domenichino Sbriscia aveva costruito il chiosco dei giornali. Nel 1923 è intenzionato ad allargare la sua attività e chiede il patentino per la vendita di sigari e sigarette. Il 24 marzo del 1924, il diniego dell’Intendenza di Finanza di Ancona gli viene comunicato dal Sindaco di Ostra.
Il fallimento
Gli affari cominciarono ad andare male già dal 1924 e le difficoltà si trascinarono anche nell’anno successivo. L’iter fallimentare iniziò il 31 marzo del 1926 e si protrasse sino al 25 luglio del 1929. Vi fu quindi la sentenza del fallimento il 2 aprile 1926, con i sigilli al negozio. La riunione dei creditori si tenne il 20 aprile 1926. Infine, la vendita in più riprese della merce esistente e il pagamento ai fornitori in proporzione al corrispettivo ricavato. Il conto finale venne così ripartito: credito vantato dai fornitori £. 98.069,65 contro un attivo di cassa, completate le vendite, di £. 14.730.
A questo disastro finanziario, si aggiunsero i problemi familiari. Se l’arrivo di Giulietta, il 28 febbraio del 1925, fu accolto con grande gioia dalla mamma Ventesima, certamente la sua prematura scomparsa, il 20 settembre del 1926 a soli 18 mesi, fu un ulteriore dolore per la famiglia, fortemente provata e stretta nella morsa del fallimento.
L’ultimo figlio, Aldo, arrivò il 29 maggio del 1928, quando ancora non si era concluso l’iter fallimentare. In seguito le condizioni familiari cominciarono a migliorare, ma non di molto.
“Firmino”
Fermigliano (nella foto, forse da sposo, nel febbraio 1921) meglio conosciuto come “Firmino“, amava il fiaschetto del vino. Lui, lo strillone del paese, era solito urlare “Il Resto del Carlino …” . E gli amici, conoscendo il suo “vizietto”, rispondevano “… le sbornie di Firmino!” altre volte “le bugie di Firmino!“.
Nel 1935, al tempo delle famose “sanzioni“, Firmino fu tra i primi a consegnare l’oro alla patria, privandosi subito della fede nuziale e tale atto venne annotato anche sul giornale.
Morì il 26 giugno 1939, all’età di 43 anni, a seguito di una caduta accidentale nella sua abitazione di Via XX settembre n. 8. Non riuscì a sopportare il grandissimo dolore provocato dalla frantumazione del femore e, trasportato a spalle da un suo parente, vana fu la corsa al vicino ospedale.
Molte volte aveva delegato il “timone” della casa alla moglie Ventesima, una donna dall’aspetto minuto, ma energica, capace, sveglia: insomma una donna tutto fare, che seppe fronteggiare con risolutezza molte evenienze in anni difficili.
Ventesima Sellari e Benito Mussolini
Ventesima, nella foto forse nel giorno di nozze, gestiva insieme al marito il negozio di frutta e verdura con la rivendita di giornali. I figli Domenico ed Aldo ricordavano con orgoglio un episodio di quegli anni difficili, in cui i solleciti di pagamento venivano da tutte le parti e ve ne fu uno anche dal Popolo d’Italia che, tra l’altro, comunicava la sospensione degli invii. Il Popolo d’Italia era un quotidiano diretto da Benito Mussolini.
Per fronteggiare questa ennesima situazione negativa, Ventesima prese carta e penna e scrisse direttamente al Direttore, spiegando la propria situazione. Chiese, inoltre, il proseguimento dell’invio della testata, con la promessa esplicita del pagamento dilazionato del debito sino ad allora accumulato. La risposta di Benito Mussolini fu sorprendente e risolutiva: riprese l’invio del quotidiano, condonò il debito pregresso, sollevando dal pagamento la Signora Ventesima Sellari, per alcuni mesi!
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